“Tenere in bocca un ago di silenzio”. Finalmente un’antologia di poesia ucraina in italiano

Ricordare anche attraverso i versi la tragedia che sta vivendo il Paese quotidianamente è un esercizio utile per capire a fondo le ragioni degli ucraini e dei loro poeti, in un contesto culturale segnato dal tradizionale ruolo di questi ultimi come guide della nazione.

(di Alessandro Achilli, ricercatore presso l’Università di Cagliari, e Yaryna Grusha Possamai, pubblicista, traduttrice, docente di Lingua e letteratura ucraina presso l’Università Statale di Milano)


23 ottobre 2022 
Ore 14:53


Ritenendo che è anche attraverso la conoscenza della cultura che si può meglio mettere a fuoco quanto sta avvenendo, Memorial Italia ha accolto con gran piacere la pubblicazione da parte di Mondadori dell’antologia Poeti d’Ucraina, a cura di Alessandro Achilli e Yaryna Grusha Possamai. Si tratta di un evento eccezionale, data la scarsa attenzione dedicata alla letteratura e alla cultura dell’Ucraina in genere in Italia. Il libro raccoglie traduzioni italiane di poesie scritte originariamente in buona parte in ucraino, ma anche in russo, offrendo un saggio di una produzione molto varia e differenziata, segnata negli ultimi anni dalla guerra, che non ha tuttavia ridotto al silenzio le voci dei poeti di questa terra. Questo volume va ad aggiungersi a un’altra raccolta di letteratura ucraina, dedicato alla prosa: Negli occhi di lei. Antologia di scrittrici ucraine contemporanee, a cura di Lorenzo Pompeo, pubblicato nel 2021 da Besa Muci Editore.


La poetessa Viktorija Amelina
(foto di Osabadash, CC BY-SA 4.0,

via Wikimedia Commons)


Un’antologia di poesia ucraina contemporanea ampia e pubblicata possibilmente con una casa editrice che le desse la giusta visibilità era un sogno da anni, ma prima del febbraio di quest’anno idee come questa erano destinate a rimanere – si pensava – delle utopie. L’allargamento della guerra a tutto il paese a partire dal 24 di febbraio, come ben sappiamo, ha cambiato ogni cosa, anche l’idea che si è fatta della cultura ucraina e della sua “spendibilità” il mondo editoriale italiano, fino ad allora alquanto restio ad aprirsi a progetti che non fossero sporadici o decisamente coraggiosi.


Condensare più di quarant’anni di poesia ucraina in circa duecentocinquanta pagine – incluso il testo a fronte, fondamentale – significava fare salti mortali tra epoche, stili, lingue e visioni del mondo e della poesia stessa. Abbiamo cercato di mettere in evidenza che, pur senza dimenticare la centralità della tematica nazionale e identitaria, la poesia e la cultura ucraina non sono solo lotta politica e risposta alla violenza della storia. La ricchezza e la complessità della lirica di Vasyl’ Stus con cui il volume si apre ne sono un esempio eloquente. E la risposta all’oscurantismo sovietico dei poeti della Scuola di Kyjiv – il volume presenta qualche assaggio di Mykola Vorobjov, Mychajlo Hryhoriv e Vasyl’ Holoborod’ko –, che riscoprono la possibilità di un dialogo con la natura, l’interiorità e il linguaggio poetico stesso, è la migliore dimostrazione dell’ampiezza del panorama poetico ucraino dell’ultimo mezzo secolo. Si pensi proprio a Vorobjov, la cui lirica alterna una sete di apertura (“Sento il bisogno di pulire la finestra. / Ché le nevi, zelanti, non le plachi”), con la chiusura nel mistico spazio dell’io (“La pioggia sgocciola, e io / mi chiudo, come un diamante…”).


Con gli anni Ottanta e l’avvicinarsi della fine dell’esperienza sovietica, la materialità della vita quotidiana e delle aspirazioni a una vita altra, sia nella sfera personale che in quella pubblica, si fanno sentire con grande intensità, come ben emerge dalle liriche di poeti quali Attyla Mohyl’nyj, Hryc’ko Čubaj e Natalka Bilocerkivec’, Oksana Zabužko [di quest’ultima in italiano è uscito Sesso ucraino: istruzioni per l’uso – N.d.R.]. La tensione verso l’ideale paradossalmente ancorata al reale di certi versi di Čubaj (“Uscimmo dalle notte senza voltarci / sulle punte delle dita / dorme ancora lo stupore e noi / con le mani quasi mute a sfiorare / tutto quello che c’è intorno”) dà spazio pochi anni dopo alla resa dei conti con la brutalità del quotidiano sovietico nell’opera di Bilocerkivec’ (“ci rimane la sola stazione sul binario tronco / e rigonfia e arriccia il vapore del grigio addio / lava via i palmi delle mie mani inermi / mi impasta la bocca di caldo sudicio e smielato / ci rimane il solo amore ma perché non farne a meno”). E anche l’inebriante ermetismo delle liriche di Ihor Rymaruk, ad esempio, ci ricorda come la poesia degli anni Ottanta sia ben lontana dall’essere omogenea (“Non brillare! Ché sulla luce / si son posate zitte le farfalle, / ma poi bruciano e la mano spezzerà / il vetro del silenzio con una parola”). E la penna roboante di Jurij Andruchovyč – che fonde i miti ucraini a quelli dell’Occidente, le stazioni reali e metaforiche dell’Ucraina tardo- e postsovietica con quelle dell’Europa riscoperta – guarda in avanti, al nuovo mondo che sta arrivando o che è già arrivato [di Andruchovyč sono disponibili in traduzione italiana i romanzi Moscoviade e I dodici cerchi – N.d.R.].


Tra gli anni Novanta e il primo decennio del nuovo millennio la voglia di costruire un mondo e una cultura diversa si scontra con tutte le difficoltà del presente, creando una lirica a tratti trasognata, intrinsecamente libera, come emerge, fra i tanti, da testi pur così diversi tra loro come quelli di Marianna Kijanovs’ka, Oleh Kocarev e Halyna Kruk (si veda da “Lindenstraße” di quest’ultima: “il silenzio è un viale tra i tigli, / le parole si gonfiano allergiche in gola, / da queste nuvole, sbiadite nell’estate, non è caduto mai nessuno”). E sempre in quegli anni inizia a far sentire la sua voce Serhij Žadan, destinato a diventare la star della scena ucraina contemporanea, con la sua riscoperta di tutta la ricchezza culturale del profondo Est (“In qualche modo sei cresciuto in questa buca tra i paesi, / tra monaci, anarchici e rifugi, / comunità ebraiche, repubbliche, / tenendo la lingua tra i denti per non tremare”) [in Italia sono uscite le traduzioni di alcune sue opere in prosa: Depeche ModeLa strada del DonbasMesopotamiaIl convitto – N.d.R.].


A mettere un punto a quella fase lunga, per certi versi sfuggente e disordinata, ma straordinariamente feconda di spunti, sarà il 2014, l’anno che ha portato l’Ucraina a uscire dall’era postsovietica, pagando per questo il prezzo dell’aggressione da parte della Federazione Russa con la sua insaziabile sete di riconquiste neoimperiali. Nel panorama della lirica scritta tra il 2014 e il 2015 spicca il disorientamento di una lingua che si trova costretta a imparare in maniera spietatamente rapida a esprimere una realtà nuova, come mostrano le liriche di Ljuba Jakymčuk (“e voi scrivete versi, belli, ricamati, / scrivete versi lisci come seta / poesia alta, poesia d’oro / di guerra non ce n’è di poesia / di guerra c’è solo marciume / solo lettere / e son tutte rrr”) e Anastasija Afanas’jeva. Ma sono anche i luoghi stessi a cambiare con lo scoppio della guerra (che, come tocca ancora ripetere, non è iniziata il 24 febbraio 2022), come emerge dalla scrittura straordinariamente intensa di Ija Kiva, o dalle mappature del visibile e dell’invisibile di Iryna Cilyk, Kateryna Kalytko e Serhij Žadan. E nonostante l’Ucraina sia in guerra da più di otto anni, l’allargamento del conflitto a tutto il paese non ha potuto non riflettersi nella poesia stessa, non da ultimo a causa dei radicali cambiamenti nella vita quotidiana di molti poeti e molte poetesse attivi in Ucraina, che si sono trovati da un momento all’altro a dover letteralmente combattere per la sopravvivenza del loro Paese. La disarmante trasparenza di alcuni dei testi scritti negli ultimi mesi, come quelli di Viktorija Amelina e Halyna Kruk (“provaci a vivere adesso / a crescere, proteggere, portare / come per mano / una manica vuota / cucita di fili di pioggia / per piangere e piangere”), è testimonianza, ovviamente, del dramma di quello che sta avvenendo ormai da svariati mesi, ma anche della forza della poesia di fronte alla barbarie.


Dal momento che la guerra non è svanita dalle prime pagine dei quotidiani italiani solo grazie alla controffensiva, ricordare anche attraverso la poesia la tragedia che sta vivendo l’Ucraina quotidianamente è un esercizio utile per capire a fondo le ragioni degli ucraini e dei loro poeti, in un contesto culturale segnato dal tradizionale ruolo di questi ultimi come guide della nazione. Senza per questo dimenticare i periodi di tregua, che hanno regalato alla poesia ucraina delle possibilità di riflessione nuove, e che sono altrettanto fondamentali. Mediante i numerosi progetti letterari nati a partire dal 24 febbraio 2022, la cultura ucraina ha assunto un volto ancora nuovo, una fisicità e una dimensione diverse. La poesia ucraina oggi, spesso pubblicata a caldo con un post su Facebook in risposta a un nuovo episodio di guerra, svolge anche una missione terapeutica per i suoi lettori, che siano al fronte o nelle retrovie.


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Pubblichiamo la traduzione dell’articolo ‘Mom, I’m probably going to die soon’: Russian teenager in prison for anti-Putin flyers says cellmate brutally beat him della testata giornalistica indipendente russa Meduza. L’immagine è tratta dal canale Telegram dedicato al sostegno per Arsenij Turbin: Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!). In una recente lettera Arsenij Turbin, sedicenne russo condannato a scontare cinque anni in un carcere minorile con l’accusa di terrorismo, ha raccontato alla madre di avere subito abusi fisici e psicologici durante la detenzione. I sostenitori di Turbin, che hanno pubblicato un estratto della sua lettera su Telegram, sospettano che oltre ad aggredirlo, i compagni di cella gli stiano rubando il cibo. Ecco cosa sappiamo. Arsenij Turbin è stato condannato a cinque anni di carcere minorile nel giugno 2024, quando aveva ancora 15 anni. Secondo gli inquirenti governativi, nell’estate del 2023 Arsenij si era unito alla legione Libertà per la Russia, un’unità filoucraina composta da cittadini russi e, su loro preciso ordine aveva iniziato a distribuire volantini che criticavano Vladimir Putin. Turbin dichiara di non essersi mai unito alla legione e di avere distribuito i volantini di sua iniziativa. Il Centro per i diritti umani Memorial ha dichiarato Turbin prigioniero politico. Al momento Turbin si trova in detenzione preventiva in attesa dell’appello contro la sua condanna. Nell’estratto di una lettera inviata a sua madre pubblicato lunedì (1 ottobre) nel gruppo Telegram Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!), l’adolescente scrive che un compagno di cella di nome Azizbek lo ha picchiato più volte. “Questa sera, dopo le 18:00, uno dei miei compagni di cella mi ha dato due pugni in testa mentre ero a letto”, ha scritto. “La situazione è davvero difficile, brutta davvero. Azizbek mi ha colpito e poi ha detto che stanotte mi inc***. Sarà una lunga nottata. Ma resisterò.” Turbin scrive anche che in carcere lo hanno catalogato come “incline al terrorismo” per il reato che gli contestano (“partecipazione a organizzazione terroristica”). In un post su Telegram i sostenitori di Turbin hanno ipotizzato che i suoi compagni di cella gli stessero rubando il cibo: nelle sue lettere chiedeva sempre alla madre pacchi di viveri, mentre questa volta le ha scritto che non ne aveva bisogno. La madre di Turbin, Irina Turbina, martedì ha riferito a Mediazona che il figlio è stato messo in isolamento dal 23 al 30 settembre. Dalla direzione della prigione le hanno detto che era dovuto a una “lite” tra Turbin e i suoi compagni di cella e che tutti e quattro i prigionieri coinvolti erano stati puniti con l’isolamento. Irina Turbina ha anche detto che il personale del carcere non le ha permesso di parlare con Arsenij al telefono e che l’ultima volta che hanno parlato è stata a inizio settembre. La madre ha raccontato l’ultimo incontro con suo figlio al sito Ponjatno.Media: “Quando sono andata a trovarlo l’11 settembre non l’ho riconosciuto. Non era mai particolarmente allegro neanche le volte precedenti che l’ho visto, certo, ma almeno aveva ancora speranza, era ottimista: aspettava l’appello e credeva che qualcosa di buono l’avremmo ottenuto. L’11 settembre, invece, Arsenij aveva le lacrime agli occhi. Mi ha detto: ‘Mamma, ti prego, fai tutto il possibile, tirami fuori di qui. Sto davvero, davvero male qui’.” “Mamma, probabilmente morirò presto”, ha continuato a riferire la madre, citando il figlio. Ha poi detto di avere inoltrato la lettera a Eva Merkačeva, membro del Consiglio presidenziale russo per i diritti umani, chiedendole di intervenire. Secondo le informazioni di Mediazona, ad Arsenij è stato finalmente permesso di parlare con sua madre al telefono l’8 ottobre. Le avrebbe detto che il suo aggressore era stato trasferito in un’altra cella il giorno prima e che si trovava bene con gli altri compagni di cella. Aggiornamento del 20 ottobre dal canale Telegram Svobodu Arseniju!: “Questa settimana Arsenij non ha mai telefonato”. La madre riferisce di averlo sentito l’ultima volta l’8 ottobre scorso. 25 ottobre 2024

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