L’ultimo addio della Russia agli Oscar

Non candiderà nessun film per l'ambito premio cinematografico. Già nel 2015, dopo l'annessione della Crimea, il Primo Canale della tv russa rifiutò di trasmettere in diretta la cerimonia. In quell’anno Leviathan era candidato alla vittoria ed era un problema. Fin dall'inizio si è trattato di politica e di censura

(di Anton Dolin, critico cinematografico)


21 ottobre 2022 
Ore 08:16


Il cinema russo si “emancipa” dall’accademia cinematografica americana, ma questa difficilmente se ne accorgerà, secondo il critico cinematografico Anton Dolin. Per gentile concessione di Meduza. Traduzione a cura di Memorial Italia.


Anton Dolin, critico cinematografico (foto di Mark Nakoykher, CC BY-SA 4.0)


Il 26 settembre la Russia annuncia che non candiderà un suo film agli Oscar che si terranno nel febbraio 2023. Peraltro, solo tre giorni prima, il comitato russo degli Oscar aveva comunicato che il film da nominare sarebbe stato scelto tra 122 pellicole. Eppure secondo il presidente dell’Associazione cinematografi della Federazione Russa Nikita Michalkov, lui stesso premio Oscar, questa sarebbe stata una “mossa insensata”. Successivamente il direttore del comitato russo degli Oscar Pavel Čuchraj ha lasciato l’incarico, assieme ai registi Nikolaj Dostal’ e Andrej Zvjagincev, membri organizzativi. Il critico cinematografico di Meduza Anton Dolin ricorda le relazioni tra l’Oscar e l’industria cinematografica sovietica prima e quella russa poi.


La Russia quest’anno non candiderà nessun film agli Oscar. Cosa comporta questa decisione? Per l’Academy assolutamente niente. La categoria “Film straniero” in cui rientrano le pellicole che non sono in lingua inglese non è una categoria fondamentale, anche se al di fuori degli Stati Uniti, per ovvi motivi, è seguita con molta attenzione. Hanno già abbastanza candidati e ogni novità – come il Bhutan, lo scorso anno – risulta talvolta più interessante e importante dei partecipanti storici della competizione. L’inclusione di nuovi partecipanti è la riprova della crescente autorevolezza di questo premio che non perde lustro/prestigio.


Per la Russia questa è la fine della sua lunga storia negli Oscar, almeno per il momento – un momento, questo, che si spera non duri in eterno.


In epoca sovietica il premio Oscar rappresentava un qualcosa di lontano, esotico, imperscrutabile. Era certamente importante per il prestigio del paese, e non tanto per coloro che ne erano stati insigniti, come Sergej Bondarčuk (Guerra e pace del 1969), o Vladimir Men’šov (Mosca non crede alle lacrime del 1981). Solo Akira Kurosawa con la sua statuetta del 1976 per Dersu Uzala, girato in coproduzione tra Giappone e URSS, aveva percepito il trionfo come una vittoria personale.


Nel periodo postsovietico il rapporto con gli Oscar iniziò a cambiare. Negli anni Novanta la cinematografia russa era giovane e molto promettente, e questa sensazione si materializza nel 1995 con la vittoria di Nikita Michalkov e il suo Sole ingannatore.



Più volte i film russi sono stati nominati nella categoria miglior film straniero. L’ultimo fortunato è stato Andrej Zvjagincev, peraltro doppiamente, con Leviathan (2014) e Loveless (2017). Parallelamente agli Oscar, nella categoria “Miglior cortometraggio di animazione”, erano stati nominati autori di film di animazione sovietici, in particolare Konstantin Bronzit. Nel 2000 Aleksandr Petrov aveva ricevuto l’Oscar per il cortometraggio d’animazione della storia di Ernest Hemingway Il vecchio e il mare.


Dopo il 2000 si alternavano aspre critiche all’Academy, accusata ripetutamente di non prendere in considerazione il cinema russo, fino a ignorarlo – di sicuro per motivi politici, secondo gli addetti ai lavori nostrani, che rispondevano con snobbismo: a cosa serve l’approvazione degli americani?


Rifiutarsi di presentare un film agli Oscar nel 2022 sembra dunque l’epilogo naturale di questa storia, rifiuto peraltro che viene dall’unico regista russo che in epoca post-sovietica aveva ottenuto questo premio tanto agognato, ovvero Nikita Michalkov. L’ineffabile, lenta morte dell’industria cinematografica russa avviene sullo sfondo dell’esodo di studi, film e distributori hollywoodiani che hanno lasciato la Russia. Un esodo che ben si intona con quest’ultimo gesto del cinema nostrano.


Simbolicamente questa decisione è un gesto di “emancipazione” dall’influenza americana. Almeno così sembra.


L’industria cinematografica russa contemporanea e il sistema di distribuzione sono molto cresciuti grazie all’interesse del pubblico, sempre in aumento, per il cinema americano di intrattenimento – e questo interesse rimane alto, nonostante i “record” dei blockbuster nazionali (comunque ancora classificati come “non peggio di Hollywood”).


Il pubblico russo sarà anche orgoglioso dei registi nazionali – come Nikita Michalkov i cui film recenti, però, sono stati un flop al botteghino – ma più di tutto vuole poter vedere i film di Hollywood. Gli spettatori russi, ora come ora, sono molto più delusi dalla sparizione dei film americani dagli schermi nazionali piuttosto che dalla perdita di premi prestigiosi per gli autori russi.


Era proprio il caso di provocare un’altra divisione, sia pure locale, in ambito professionale? È una domanda retorica. La decisione del comitato russo degli Oscar – che ha fama di essere un’organizzazione estremamente opaca e i cui membri cambiano periodicamente o vengono rinnovati in base a criteri non meglio definiti – è stata presa sopra la testa di alcuni suoi membri. E già ora quattro di loro, tutti registi, hanno lasciato il comitato: Nikolaj Dostal, Pavel Čuchraj (che fra l’altro ne è il presidente, tanto per rendere la situazione anche più assurda…), Andrej Zvjagincev e Vladimir Kott.


Certo, nel 2022, per un film russo le possibilità di essere candidato ad un premio Oscar erano davvero scarse. Dobbiamo anche prendere atto che i film girati in questa stagione non soddisfano i requisiti dell’Accademia americana, eccetto, forse, La moglie di Čajkovskij di Kirill Serebrennikov. Ma escludo che la commissione russa per gli Oscar possa nominare il film di un regista che ha la reputazione di essere un dissidente.


Ma davvero il problema era il rischio di non essere selezionati? È una situazione da Volpe e l’uva o da Joe il latitante di epoca sovietica, che, come è risaputo, non fu mai catturato perché “di lui non frega niente a nessuno”.


Piccola città nel deserto americano, un saloon con due cowboy, uno del posto e uno che viene da fuori, sono seduti a un tavolo e bevono del whisky. D’improvviso, un uomo si precipita in strada di corsa, sparando all’impazzata. Nessuno nel saloon ci fa caso. Il visitatore chiede all’“indigeno”:


– Bill?

– Sì, Harry?

– Cos’è stato, Bill?

– Quello era Joe il latitante, Harry.

– Perché lo chiamano Joe il latitante, Bill?

– Perché nessuno l’ha ancora catturato, Harry.

– Perché nessuno l’ha ancora catturato, Bill?

– Perché di lui non frega niente a nessuno, Harry.


A posteriori ci possiamo domandare se l’Accademia degli Oscar abbia in qualche modo trascurato la Russia. La risposta sorge spontanea: no, al contrario. L’URSS e la Russia sono stati tra i dieci paesi più “decorati” della storia degli Oscar. Un Oscar a Michalkov a tre Oscar sovietici: sono quattro statuette. Per non contare le sedici nomination.


È un risultato di tutto rispetto, non è confrontabile, certo, coi premi delle due punte di diamante, Italia e Francia, ma è comunque paragonabile ai risultati del Giappone (cinque vittorie, diciassette nomination) o della Danimarca (quattro vittorie, quattordici nomination). E questo nonostante l’ultimo Oscar, l’anno scorso, sia stato assegnato al Giappone per Drive My Car, e alla Danimarca due anni fa per One More at a Time – tanto per dire che fino a due anni fa la nostra posizione in classifica era anche migliore. Ma ora questo discorso non conta più.


Vorrei solo tornare indietro al momento in cui il Primo Canale della tv russa ha praticamente rifiutato di trasmettere in diretta la cerimonia degli Oscar: è stato nel 2015, subito dopo l’annessione della Crimea. In quell’anno Leviathan era candidato alla vittoria. Si diceva che la direzione del canale avesse paura: che cosa sarebbe successo se Zvjagincev avesse vinto il premio, chissà che cosa avrebbe detto al microfono. Così la Russia ha iniziato a voltare le spalle agli Oscar, senza che l’American Awards gliene desse motivo. E fin dall’inizio si è trattato di politica e di censura. Ma non di certo da parte dell’America.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

“Mamma, probabilmente morirò presto”: adolescente russo in carcere per volantini anti-Putin riferisce di essere stato brutalmente picchiato da un compagno di cella.

Pubblichiamo la traduzione dell’articolo ‘Mom, I’m probably going to die soon’: Russian teenager in prison for anti-Putin flyers says cellmate brutally beat him della testata giornalistica indipendente russa Meduza. L’immagine è tratta dal canale Telegram dedicato al sostegno per Arsenij Turbin: Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!). In una recente lettera Arsenij Turbin, sedicenne russo condannato a scontare cinque anni in un carcere minorile con l’accusa di terrorismo, ha raccontato alla madre di avere subito abusi fisici e psicologici durante la detenzione. I sostenitori di Turbin, che hanno pubblicato un estratto della sua lettera su Telegram, sospettano che oltre ad aggredirlo, i compagni di cella gli stiano rubando il cibo. Ecco cosa sappiamo. Arsenij Turbin è stato condannato a cinque anni di carcere minorile nel giugno 2024, quando aveva ancora 15 anni. Secondo gli inquirenti governativi, nell’estate del 2023 Arsenij si era unito alla legione Libertà per la Russia, un’unità filoucraina composta da cittadini russi e, su loro preciso ordine aveva iniziato a distribuire volantini che criticavano Vladimir Putin. Turbin dichiara di non essersi mai unito alla legione e di avere distribuito i volantini di sua iniziativa. Il Centro per i diritti umani Memorial ha dichiarato Turbin prigioniero politico. Al momento Turbin si trova in detenzione preventiva in attesa dell’appello contro la sua condanna. Nell’estratto di una lettera inviata a sua madre pubblicato lunedì (1 ottobre) nel gruppo Telegram Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!), l’adolescente scrive che un compagno di cella di nome Azizbek lo ha picchiato più volte. “Questa sera, dopo le 18:00, uno dei miei compagni di cella mi ha dato due pugni in testa mentre ero a letto”, ha scritto. “La situazione è davvero difficile, brutta davvero. Azizbek mi ha colpito e poi ha detto che stanotte mi inc***. Sarà una lunga nottata. Ma resisterò.” Turbin scrive anche che in carcere lo hanno catalogato come “incline al terrorismo” per il reato che gli contestano (“partecipazione a organizzazione terroristica”). In un post su Telegram i sostenitori di Turbin hanno ipotizzato che i suoi compagni di cella gli stessero rubando il cibo: nelle sue lettere chiedeva sempre alla madre pacchi di viveri, mentre questa volta le ha scritto che non ne aveva bisogno. La madre di Turbin, Irina Turbina, martedì ha riferito a Mediazona che il figlio è stato messo in isolamento dal 23 al 30 settembre. Dalla direzione della prigione le hanno detto che era dovuto a una “lite” tra Turbin e i suoi compagni di cella e che tutti e quattro i prigionieri coinvolti erano stati puniti con l’isolamento. Irina Turbina ha anche detto che il personale del carcere non le ha permesso di parlare con Arsenij al telefono e che l’ultima volta che hanno parlato è stata a inizio settembre. La madre ha raccontato l’ultimo incontro con suo figlio al sito Ponjatno.Media: “Quando sono andata a trovarlo l’11 settembre non l’ho riconosciuto. Non era mai particolarmente allegro neanche le volte precedenti che l’ho visto, certo, ma almeno aveva ancora speranza, era ottimista: aspettava l’appello e credeva che qualcosa di buono l’avremmo ottenuto. L’11 settembre, invece, Arsenij aveva le lacrime agli occhi. Mi ha detto: ‘Mamma, ti prego, fai tutto il possibile, tirami fuori di qui. Sto davvero, davvero male qui’.” “Mamma, probabilmente morirò presto”, ha continuato a riferire la madre, citando il figlio. Ha poi detto di avere inoltrato la lettera a Eva Merkačeva, membro del Consiglio presidenziale russo per i diritti umani, chiedendole di intervenire. Secondo le informazioni di Mediazona, ad Arsenij è stato finalmente permesso di parlare con sua madre al telefono l’8 ottobre. Le avrebbe detto che il suo aggressore era stato trasferito in un’altra cella il giorno prima e che si trovava bene con gli altri compagni di cella. Aggiornamento del 20 ottobre dal canale Telegram Svobodu Arseniju!: “Questa settimana Arsenij non ha mai telefonato”. La madre riferisce di averlo sentito l’ultima volta l’8 ottobre scorso. 25 ottobre 2024

Leggi