(di Andrej Zorin, professore dell’Università di Oxford e della Scuola superiore di scienze sociali ed economiche di Mosca)
17 ottobre 2022
Ore 09:58
Memorial Italia osserva da vicino la discussione che si sta sviluppando sulla situazione in Russia e, per dar modo anche al lettore italiano di seguire questo interessante dibattito, ha deciso di tradurre una serie di interventi anche molto polemici. Per iniziare viene qui presentato un articolo di Andrej Zorin, storico della cultura russa, professore dell’Università di Oxford e della Scuola superiore di scienze sociali ed economiche di Mosca. Si ringrazia Re:Russia per l’autorizzazione a pubblicarlo. Tradotto da Luisa Doplicher e Claudia Zonghetti.
L’aggressione militare contro l’Ucraina iniziata dal regime politico in Russia lo sta trasformando: esso diventa sempre più repressivo e pretende di esercitare un controllo ideologico sempre maggiore sulla vita pubblica, sull’istruzione, sull’educazione e sulla vita culturale. La guerra richiede inoltre la mobilitazione politica della gente e, di conseguenza, potenti narrazioni e costrutti ideologici per sostenerla. Come sappiamo, ai regimi totalitari del secolo scorso questi tratti e strumenti non facevano difetto, laddove i nuovi autoritarismi del XXI secolo sono caratterizzati più spesso da mercantilismo e passività ideologica. Allo stesso tempo, però, è dal 2005 circa che l’autoritarismo russo cerca un suo fondamento ideologico. Con quali risultati? E quali sono le prospettive di una tale ricerca in tempo di guerra? Il contesto aiuterà finalmente a trovare un’ideologia mobilitante per l’autoritarismo russo? Re:Russia lancia una discussione sul tema: “L’attuale regime russo ha un’ideologia?”. Andrej Zorin, professore all’Università di Oxford, autore di una monografia sull’ideologia di Stato nell’autocrazia russa dei secoli XVIII-XIX, ripercorre i cambiamenti dell’ideologia del regime di Putin negli ultimi vent’anni, dalla formula “Stato forte e stile di vita civile” al messianismo revanscista che è diventato il fondamento ideologico dell’attuale azzardo militare. La forza trainante di questi cambiamenti, sottolinea il professor Zorin, è la necessità di giustificare l’immutabilità del potere russo. Ma se la prima versione del revanscismo ideologico di Putin, basata sui cliché conservatori dei “valori tradizionali” e dei “punti fermi ortodossi”, non presupponeva una particolare eco da parte dei cittadini, l’attuale retorica della “battaglia apocalittica” e della crociata esige di passare a un modello di mobilitazione.
Nemmeno i regimi relativamente stabili – e il regime politico russo è tale da più di due decenni – possono esistere senza ideologia, essendo quella la lingua in cui essi formulano desideri, prescrizioni e tabù rivolti alla popolazione. Un regime senza ideologia è impossibile quanto un regime senza forze di polizia o senza un sistema economico. Altro è chiedersi, piuttosto, fino a che punto è stabile, coerente e articolato e qual è il suo potenziale mobilitativo reale?
Va da sé, l’attuale potere in Russia non può contare su una solida filosofia politica, su un programma ben elaborato e su un’idea unificante di stampo religioso, ma strumenti di tale potenza sono comunque rari nell’arsenale ideologico delle tirannie più recenti. La maggior parte di loro si accontenta di un insieme elementare di simboli e metafore condivise da tutti o quasi, che permettono al potere di spiegare chiaramente ai sudditi cosa ci si aspetta da loro, quali tratti distinguono i “nostri” dagli “altri” e perché dovrebbero sopportare qualche scomodità temporanea nella vita quotidiana e sostenere inderogabilmente chi li comanda. Questo, di fatto, è lo scopo dell’ideologia di Stato che, per risultare efficace, deve fondarsi su un insieme di miti politici condivisi dalla maggioranza in maniera relativamente consapevole. Nel corso degli ultimi vent’anni, con abilità, il regime di Putin ha sfoderato urbi et orbi tutta una serie di questi insiemi elementari che si sono succeduti via via.
Uno Stato forte e uno stile di vita civile
La matrice ideologica dei primi anni della presidenza Putin può essere definita come “uno Stato forte e uno stile di vita civile”. Si è data per assodata la continuità con ideologemi degli anni ‘90 quali “unirsi al mondo civilizzato” e “diventare un Paese normale”, enfatizzata dall’obiettivo dichiarato di “arrivare al livello del Portogallo”. Allo stesso tempo, si riteneva che il regime di Eltsin non potesse raggiungere questi obiettivi perché il governo centrale era debole, incapace di gestire le fronde interne e il terrorismo ceceno; la normale quotidianità dei cittadini andava perciò integrata con una “verticale del potere”, una “dittatura del diritto” e così via. Nel discorso di Capodanno che pronunciò neanche dodici ore dopo essersi insediato nel ruolo di presidente, Putin era in piedi e a capo scoperto accanto al muro del Cremlino. Mentre il Paese brindava tranquillo, il Presidente custodiva la pace. E dopo avere fatto gli auguri a tutti i russi, Putin è volato in Cecenia. Va detto che questa costruzione ideologica era sostenuta sia dalla maggioranza, sempre più nostalgica dell’epoca sovietica che, a distanza di tempo, iniziava a sembrare florida e serena, sia dalle élite cittadine in rapida europeizzazione. Quel sostegno però ha smesso di essere unanime, non tanto perché la crescita economica si è arrestata, quanto perché la leadership del Paese non riusciva più a garantire l’immutabilità del governo, cosa che un tempo riteneva di assoluta importanza. Lo slogan della “democrazia sovrana”, chiamato a giustificare l’immutabilità di cui sopra, era stato promosso già prima dell’inizio della crisi economica.
Punti fermi e valori
Dopo le proteste degli anni 2011-2012 in piazza Bolotnaja, l’ideologia ufficiale ha definitivamente abbandonato i suoi pochi elementi di modernizzazione sostituendoli con “punti fermi” e “valori tradizionali” che soli avrebbero potuto garantire “stabilità”; ancora una volta, questo termine stava a indicare l’immutabilità del potere. Oltre al punto fermo del “governo forte”, dotato di una sua importanza, i “valori tradizionali” erano di fatto due: il culto della Vittoria [nella Seconda guerra mondiale, N.d.T.], che è diventato una vera e propria religione ufficiale, e un’omofobia becera, estranea alla cultura russa tradizionale, e che proviene dall’arsenale ideologico dell’estrema destra statunitense. La “conquista della Crimea”, le sanzioni e le controsanzioni hanno finito per plasmare un modello ideologico in cui la popolazione del paese si divideva tra una “maggioranza schiacciante” e una “minoranza” che ne subiva la pressione; ai membri dell’ex “classe creativa” è stato dato il nuovo nome di “parmigiani” e “jamóni” [per ridicolizzarne la passione per le squisitezze straniere, N.d.T], in poche parole erano considerati dei potenziali traditori. Questo era un modello essenzialmente isolazionista che derivava, in qualche modo confuso, dalla concezione della “via particolare” della Russia e che, a detta del Centro Levada [ente di sondaggi, N.d.T.], è condivisa dalla maggioranza della popolazione. Il concetto di “via particolare” ha di fatto sostituito l’aspirazione della Russia di diventare un Paese “normale” e porta con sé tratti nettamente antioccidentali. È questa la ragione per cui oggi parecchi osservatori sottolineano l’aspetto isolazionistico del costrutto ideologico che si è declinato dopo l’inizio della guerra, e lo collegano all’eredità concettuale degli slavofili. Trovo che questa interpretazione sia a dir poco incompleta, ma a ben guardare la definirei sbagliata su tutta la linea.
L’ora della rivincita: tendenze messianiche
La versione odierna dell’ideologia ufficiale è, certo, l’erede di quella che l’ha preceduta, sia in quanto a propaganda dei “valori tradizionali”, sia in quanto a venerazione della Vittoria. La passata ossessione per la grandezza d’antan, a ben guardare, mirava solo a ritrovarla, sia che si trattasse di nostalgia per l’Urss che di rimpianto per l’impero russo, oggi invece questa ossessione presenta tratti marcatamente nazionalistici e messianici. La Russia di Putin pretende di mettersi a capo della coalizione delle autocrazie che si oppongono all’egemonia dell’Occidente e che hanno l’obiettivo di infliggere una sconfitta storica, mondiale, a tutto il fronte delle democrazie occidentali. Uno dei mitologemi russi più difficili da intaccare è la sconfitta che si può trasformare in una vittoria. Tutte le guerre, spesso elementi portanti della narrazione storica russa, sono iniziate con sconfitte pesanti, che si sono trasformate alla fine in vittorie trionfali, sia pure a costo di enormi sacrifici. La sconfitta sul fiume Kalka [inflitta dalle orde mongole, 1223, N.d.T.] fu seguita dalla presa di Kazan’; la disfatta a Narva [nella guerra con gli svedesi, 1700, N.d.T.], dalla vittoria a Poltava; l’incendio di Mosca [appiccato da Napoleone, 1812, N.d.T.], dalla conquista di Parigi. “A lungo abbiamo arretrato in silenzio”: così scrisse Lermontov nel poema Borodino, che gli studenti russi hanno imparato a memoria per oltre cinquant’anni. In qualche modo la storia della Grande guerra patriottica [la Seconda guerra mondiale, N.d.T.], dalla sconfitta del 1941 alla caduta di Berlino, cristallizza proprio questa mitologia.
Oggi i riferimenti negativi sono la dissoluzione dell’Urss, la “maggiore catastrofe geopolitica del Novecento”, e gli “sregolati anni ‘90”, che sono considerati una nuova epoca dei torbidi. Seguendo il filo della “sceneggiatura” scelta, è giunta, per la Russia, l’ora della rivincita. Teniamo presente che l’ultimatum all’Occidente del 2021 non comprendeva esclusivamente condizioni relative all’Ucraina, ma anche richieste più generali, di fatto l’invito a rinunciare all’allargamento della Nato e a “sbaraccare”, come ha detto un noto funzionario russo proprio in quei giorni. La Russia nell’attuale alleanza delle autocrazie, è evidente, non può competere con la Cina quanto a peso economico, ma può credere di compensare questa sua debolezza con la potenza delle proprie armi, che la storia ha sempre confermato, insieme al coraggio dei soldati russi. A quanto pare la visita di Putin in Cina durante le Olimpiadi, prima che iniziassero i bombardamenti, era finalizzata a stabilire questa distribuzione dei ruoli.
La trasfigurazione nazionale: la guida e il corpo del popolo
Una simile trasfigurazione nazionale comporta non soltanto un capo forte, immagine che la propaganda ufficiale è riuscita a costruire per Putin fin dal primo giorno della sua presidenza, ma la figura di una guida che incarni la storia del popolo in tutta la sua durata e continuità. A quanto pare, attribuire uno status costituzionale a un certo insieme di quei famigerati “valori tradizionali”, come si è fatto di gran corsa durante gli emendamenti alla Costituzione del 2020, non serviva soltanto a mascherare il progetto di una presidenza a vita, come si pensa in genere, ma a creare un legame tra la guida e il popolo. Quest’ultimo non corrisponde naturalmente a quello che viveva davvero in Russia verso il 2020, ma a un’entità mistica, presente in tutti i millenni della storia russa. In un popolo del genere non c’è posto per chi mette in dubbio la saggezza della guida e il suo diritto di condurre il Paese verso nuovi sacrifici e nuove vittorie. Non bastava più limitare i diritti di simili rinnegati, come li si chiamava in epoca sovietica, o reietti, secondo il termine ottocentesco, e umiliarli; occorreva letteralmente “rinnegarli” ed “espellerli” dal corpo del popolo. Nel quadro della nuova costruzione ideologica, la guida era già pronta e presentata al popolo nel corso di vent’anni, ma ancora mancava un popolo autentico. Allo scopo il passo essenziale era annunciare la restaurazione dell’unità storica del Paese, che Lenin aveva compromesso creando entità quasi-statali sul territorio ucraino e bielorusso, e che poi Gorbačev ed Eltsin avevano distrutto sancendo il distacco dei due nuovi stati. In questo senso l’obiettivo della guerra iniziata il 24 febbraio non era la rinascita dell’impero, ma l’unificazione della madrepatria. Di conseguenza i cittadini di quei Paesi, convinti di appartenere a un popolo distinto che aveva diritto a un proprio ordinamento statale autonomo, sono stati ritenuti non separatisti, come i ribelli ceceni degli anni ‘90, ma traditori: al contempo agenti stranieri, rinnegati e reietti. Nelle fiabe russe i bogatyr’ [cavalieri dell’epos antico, N.d.T.] defunti venivano aspersi dapprima con “acqua morta”, per far ricrescere gli arti mozzati, e solo dopo con “acqua viva”, capace di riportarli in vita. Il corpo del popolo russo è stato mutilato da un Occidente perfido e brutale; per prima cosa era necessario aspergerlo con l’acqua morta della guerra.
Crociate e ruote panoramiche
Non occorre dimostrare l’incongruenza di un simile costrutto, né le sue contraddizioni con i fatti storici. È molto più importante la discrepanza fra il suo contenuto e il suo status. In effetti, si tratta di un’ideologia completamente totalitaria, che esige rispetto come fosse una fede. Ma nella Russia attuale, al contrario dell’Urss o della Germania negli anni Trenta, della Cina negli anni Sessanta o dell’Iran nel decennio seguente, non ci sono i presupposti economici né sociali per far funzionare il totalitarismo. Questi costrutti ideologici corrispondono appieno alle idee, alle aspettative e ai desideri di una parte significativa della popolazione, pronta ad accettarli e farli propri, ma probabilmente non a crederci fino in fondo e a offrire sacrifici in loro onore. Sembra che il potere stesso si renda conto del problema; forse per questo vieta di chiamare la guerra con il suo vero nome, non si affretta a corroborare la retorica propagandistica della mobilitazione con una mobilitazione vera e propria, né ad alzare il tiro, passando a repressioni di massa invece di colpire soltanto qualche individuo [nel frattempo la mobilitazione, sia pure “parziale”, è stata proclamata – N.d.T.].
La situazione attuale è unica perché il Cremlino sta cercando di creare un connubio tra la retorica e i simboli delle crociate e i tentativi di convincere la gente comune che la vita procede come al solito. Mentre l’esercito ucraino avanzava trionfalmente nella regione di Charkiv il presidente Putin inaugurava una ruota panoramica a Mosca. Non è sorprendente che, nella quotidianità della politica russa, si faccia sentire più di tutte la voce di un gruppo di radicali che non sembrano numerosi ma sono aggressivi, biasimano questo timido totalitarismo e vorrebbero andare fino in fondo. Oggi l’apparato ideologico del potere si trova davanti a un dilemma irrisolvibile. Se pure l’esito dei combattimenti lo favorisse almeno in parte, cosa che sembra meno plausibile ogni giorno che passa, il ritorno all’ideologia del tempo di pace equivarrà ad abbandonare il tema della battaglia apocalittica con la civiltà occidentale e, quindi, a sminuire la guerra e i sacrifici compiuti. Se invece si intensificherà la retorica dello stato di emergenza, non solo si rischierà di provocare un’enorme tensione sociale, ma inevitabilmente si finiranno per cercare nemici e traditori ai livelli più alti del potere dello Stato; ne è ben consapevole chi si ritrova già a quei livelli. Il regime al potere in Russia è riuscito abbastanza a lungo a rinnovare efficacemente i suoi modelli ideologici, adattandoli al mutare della situazione politica. Oggi però le possibilità di simili adattamenti si sono quasi azzerate. La ruota panoramica, che Putin aveva solennemente inaugurato, si è bloccata l’indomani per un guasto.