“In Russia è lotta senza quartiere contro i giornalisti”. Conversazione con Tikhon Dzyadko

l caporedattore di Dožd’: "Negli ultimi 25 anni abbiamo sempre lavorato nonostante qualcuno o qualcosa. Il problema principale è l’impunità assoluta sia per i crimini contro i giornalisti, sia per le pressioni nei loro confronti".

A cura di Giulia De Florio (professoressa di letteratura russa presso l’università di Modena e Reggio e membro del consiglio direttivo di Memorial Italia) e Viviana Nosilia (professoressa di filologia slava presso l’università di Padova e socia di Memorial Italia)


11 ottobre 2022 
Ore 15:44


Memorial Italia ha realizzato un’intervista con Tikhon Dzyadko, caporedattore di una delle più importanti emittenti russe indipendenti, Dožd’, conosciuta all’estero come TV Rain, costretta a interrompere la sua attività pochi giorni dopo l’aggressione russa all’Ucraina del 24 febbraio 2022. Molti collaboratori si sono dovuti rifugiare all’estero per sfuggire alle repressioni e poter continuare a lavorare. Lo scorso 18 luglio Dožd’ ha ripreso parzialmente la sua attività, trasmettendo da studi siti in città diverse (Riga, Amsterdam, Parigi, Tbilisi), ma conta di tornare a operare pienamente dal prossimo autunno. All’interno della Federazione Russa Dožd’ si può guardare su YouTube, ma ha perso la licenza necessaria per trasmettere.


Tichon Dzjadko
Tikhon Dzyadko, redattore di TV Rain (Foto di Dhārmikatva, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=100876214)


Quando è diventato caporedattore di Dožd’ quali erano i principi che la guidavano?


Quando sono diventato caporedattore di Dožd’ era il dicembre del 2019. Mi guidavano gli stessi principi che hanno sempre guidato la nostra televisione: in primo luogo, l’assenza di qualsiasi censura o liste nere di ospiti da invitare; in secondo luogo, noi non manipoliamo e non mentiamo, raccontiamo ai nostri spettatori ciò che accade e offriamo un quadro di quello che succede ogni giorno. Il terzo principio di Dožd’ è rispettare determinati valori: quelli della Convenzione Europea per i Diritti Umani. Da ultimo, per noi la cosa più importante è l’essere umano, l’individuo, non un’idea astratta, un gruppo di persone in astratto, ma la persona concreta, piccola o grande che sia; sono le storie dei singoli a interessarci più di ogni altra cosa.


Quali sono i principali risultati raggiunti in questi ultimi anni?


Tra i risultati oggettivamente misurabili ricordo che nei due anni e mezzo in cui dirigo Dožd’, per la prima volta in otto anni, il bilancio si è chiuso in attivo e che il pubblico è aumentato, di mese in mese, e la crescita è stata costante. Passando a risultati meno tangibili, abbiamo ridestato in centinaia di migliaia di persone l’interesse per l’attualità e quindi le abbiamo convinte che tenersi al corrente su ciò che succede è importante, perché nel corso degli ultimi vent’anni la narrazione diffusa dalla propaganda russa è stata sempre la stessa: bisogna tenersi al di fuori della politica, non interessarsi di ciò che accade, ma limitarsi a vivere la propria vita perché non si può influire su nulla, tutti mentono e la politica è una faccenda sporca. Al contrario, l’idea di Dožd’ è che si possa influenzare la realtà e che, anzi, sia necessario farlo, basta voler agire. Aver ridestato l’interesse per l’attualità significa anche aver ridestato nelle persone la consapevolezza di sé, e questo è molto importante.


“Non mi riguarda, non dipende da me” sono gli slogan che la propaganda vuole sentire dai propri lettori o spettatori.


Proprio così.


Qual è la specificità del giornalismo in Russia che, per chi osserva dall’estero, è difficile comprendere?


La specificità del lavoro del giornalista in Russia oggi è questa: negli ultimi 25 anni non lo abbiamo mai svolto “grazie a” qualcuno o qualcosa, ma sempre “nonostante” qualcuno o qualcosa. Le autorità russe hanno escogitato una dopo l’altra leggi restrittive per ostacolare il lavoro dei giornalisti. Se alcuni regimi autoritari ricorrono alla violenza senza nasconderla, in Russia per lo più le autorità, almeno fino al 24 febbraio del 2022, hanno sempre cercato di ammantarsi di un’apparenza di legalità incolpando di tutto i mass media o le aziende private o l’economia o altro ancora; pertanto le leggi approvate negli ultimi tempi miravano soltanto a complicare la vita ai mezzi di informazione di massa dal punto di vista economico, a livello sia federale, sia regionale.


Un colpo particolarmente duro ai mezzi d’informazione indipendenti è stato rappresentato dalla “legge sui mass-media agenti stranieri” del 2017. Da allora lo status di agente straniero è stato attribuito a un numero crescente di mass media, con elenchi che vengono tradizionalmente aggiornati il venerdì pomeriggio. Le testate e le emittenti che si trovano nella lista si vedono sobbarcate di interminabili adempimenti burocratici e vedono ridursi drasticamente la possibilità di finanziarsi attraverso la pubblicità e gli sponsor. A questa legge negli ultimi tempi si sono aggiunti provvedimenti contro la diffusione di materiale estremistico, contro le “fake news” sulla “operazione militare speciale” e sullo “screditamento dell’esercito russo”, con pene detentive fino a 15 anni. Come si riflette tutto ciò sulla possibilità di informare sulla guerra in Ucraina restando all’interno della Federazione Russa?


Dovendo sintetizzare in breve i problemi dei giornalisti, direi che il principale è l’impunità assoluta sia per i crimini contro i giornalisti, sia per le pressioni nei loro confronti. Una cosa del genere in Occidente sarebbe impossibile. In Occidente il sistema giudiziario funziona, in Russia no. Infine, in Occidente, in Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti, già da decenni la società e le autorità hanno compreso che i giornalisti rappresentano il “quarto potere”, le autorità seguono molto attentamente ciò che fanno i giornalisti e reagiscono di conseguenza. In Russia è in atto, invece, una lotta senza quartiere. Fino al 24 febbraio anche in Russia i giornalisti potevano influire sugli eventi, ma sempre con sforzi enormi, mentre in Occidente questo è la prassi.


Per quanto può giudicare in base alla Sua esperienza e da quanto Le riferiscono i colleghi, in Occidente quanto si sa della situazione del giornalismo in Russia?


Mi sembra che l’Occidente capisca poco della situazione in Russia. All’incirca alla metà degli anni ’10 in Russia c’era un bel gruppo di giornalisti stranieri di differenti testate che avevano vissuto per molti anni in Russia, molti di loro avevano origini russe, alcuni erano nati in Russia, poi erano emigrati altrove ed erano tornati in Russia per lavoro. Erano persone che scrivevano con cognizione di causa capendo quello che succedeva. Poi la maggior parte di loro se n’è andata, e anche se alcuni bravi giornalisti stranieri sono rimasti in Russia, erano comunque pochi. Negli ultimi tempi i testi sulla Russia che appaiono sui mass media occidentali si basano su stereotipi e sono superficiali. I giornalisti che capiscono quali processi stanno avvenendo nella società russa, che cosa sia la struttura del potere in Russia, sono davvero pochissimi.


Secondo Lei, succede soltanto in Italia o anche in altri paesi, come la Francia e la Germania, che con la Federazione Russa hanno rapporti più stretti e quindi dovrebbero conoscerla meglio?


Ritengo che la Russia rappresenti un meccanismo molto complesso. Negli ultimi tempi, pensando a quanto ho letto e sentito, ho come l’impressione che nella maggior parte dei casi la stampa occidentale abbia descritto la Russia come se fosse un quadrato, mentre è una figura geometrica molto più complessa.


Al di fuori dei confini della Russia è difficile comprendere come funzioni la propaganda. Secondo Lei, perché risulta così efficace?


Bisogna capire che la propaganda in Russia è molto intelligente e articolata. Il governo investe moltissimo denaro e se ne occupano bravi professionisti. È brutta gente, certo, e negli ultimi tempi li possiamo senz’altro definire criminali di guerra, ma ciò non significa che non abbiano talento, perché si tratta di una propaganda molto astuta. Negli ultimi anni la propaganda ha avuto la capacità di seminare dubbi nella gente: “Non è tutto così chiaro”, “Mentono tutti”, “Non bisogna credere a nessuno”, “Non esistono verità assolute”, “Il bianco e il nero non esistono, in ogni cosa ci sono molte sfumature”, “Tutti sono ipocriti” e così via. Su questo si basa la narrazione della propaganda e l’obiettivo è seminare dubbi in modo che la gente non creda più a nessuno. Fatto questo, si passa a limitare tutte le fonti d’informazione alternative, si blocca un’enorme quantità di siti internet. In questo modo la propaganda irrompe con tutta la sua potenza nelle menti di persone ormai abituate a pensare che non si debba credere a nessuno e le convince che la sua visione del mondo è quella corretta.


Com’è possibile contrastarla?


Mi sembra che l’unico modo per contrastare tutto ciò sia in primo luogo lavorare bene. In secondo luogo, sono necessarie due cose: la prima è una grande pazienza, per ripetere cose che sembrano ovvie, e la seconda è una grande empatia nel rivolgersi agli altri, trovare il tono giusto per parlare al proprio pubblico. Ci sono molte persone che si trovano in una zona di confine tra la propaganda e il giornalismo indipendente, hanno dubbi, si fanno domande; è con loro che bisogna parlare, con calma e pazienza, senza abbattersi o arrabbiarsi se non capiscono cose che ci sembrano ovvie. In questo modo, tramite questo dialogo paziente e convincente, si possono strappare a poco a poco un po’ di persone dalle grinfie della propaganda.


Pensa che sia anche una questione generazionale? Molti specialisti rilevano una frattura generazionale. I Suoi spettatori probabilmente sono in maggioranza giovani o comunque persone di mezza età.


Sì, certo, è evidente. I sondaggi che ora si fanno in Russia non possono essere presi troppo sul serio perché sono condotti in un regime autoritario e fascistoide, ma li si può comunque usare per osservare una tendenza. Vediamo che le persone dai 60 anni in su, o addirittura dai 55 in su, sono rispetto ai giovani molto più conservatrici, isolazioniste e a favore del Cremlino. Alla propaganda credono per lo più gli adulti o gli anziani, mentre i giovani e le persone di mezza età guardano e leggono i mezzi d’informazione di massa indipendenti, tra cui Dožd’. La maggior parte dei nostri spettatori appartiene alla fascia d’età tra i 25 e i 45 anni.


Passiamo ora a ciò che è accaduto dopo il 24 febbraio. È evidente che la guerra ha cambiato drasticamente le vostre condizioni di lavoro e di vita. Il 18 luglio avete ripreso le trasmissioni, ma avete annunciato un rilancio in grande stile per l’autunno. Ci può anticipare qualcosa?


Ora stiamo ultimando alcune questioni tecniche, è una cosa che richiede un po’ di tempo e parecchi soldi, ma è indispensabile per far funzionare bene le cose da un punto di vista tecnico, bisogna far sì che studi che si trovano in diverse città, siano collegati fra di loro. Per l’autunno inoltrato vogliamo riprendere i progetti che ancora non abbiamo potuto riavviare e lanciarne di nuovi. Il 18 luglio siamo tornati in onda, più tardi di quanto avremmo voluto, ed è una cosa meravigliosa che sia successo, ma per ora trasmettiamo solo per circa tre ore al giorno. Il nostro obiettivo è riprendere a trasmettere per molto più tempo e presto saremo in grado di farlo.


E come pensate di lavorare all’interno della Russia, viste le leggi repressive a cui abbiamo accennato?


Stiamo creando una rete anonima di persone con cui potremo lavorare. Nello stesso tempo sappiamo che ci sono molti giornalisti regionali che per ora sono rimasti in Russia, continuano a lavorare e meritano tutta la nostra stima e il nostro rispetto. Inoltre, bisogna ricordare che non è più il 1970 e TV Dožd’ non è Radio Free Europe, che trasmetteva da fuori i confini dell’Unione Sovietica: la differenza principale è che esiste Internet, e la gente in Russia può usare i social network e pubblicare i propri testi, tra i quali noi abbiamo la possibilità di leggere e selezionare quello che ci interessa.


Riuscite a collaborare con giornalisti ucraini?


Collaborare nel senso che alcuni di loro sono disponibili a collegarsi in video con noi, questo sì, succede. Alcuni si rifiutano, perché siamo cittadini russi, ed è una cosa che noi capiamo perfettamente. Ma alcuni accettano di partecipare alle nostre trasmissioni, quindi sì, direi che sta nascendo una collaborazione.


Per concludere la nostra conversazione, c’è qualcosa che ritiene importante dire ai nostri lettori italiani?


Mi sembra importante ricordare che è fondamentale che la guerra non diventi una routine, che non si trasformi in normalità. Mi sembra importante per il pubblico italiano non pensare che sia una guerra che si combatte da qualche parte lontano, dove persone sconosciute stanno regolando tra di loro chissà quali conti.


È una guerra nel cuore dell’Europa, è una guerra che ha e avrà conseguenze per tutti, in ogni angolo del mondo, e penso che sia molto importante per il pubblico italiano, come per il pubblico di qualunque paese, rendersene conto, comprenderlo, e non pensare che sia una cosa che non lo riguardi. Al contrario, questa guerra riguarda tutti, e mi sembra che ciascuno debba fare ciò che è in suo potere per far sì che la situazione si evolva, per così dire, per il meglio.

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