(di Aleksej Nikitin, a cura di Marco Puleri, ricercatore dell’Università di Bologna e socio di Memorial Italia)
03 ottobre 2022
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 15:29
Dal 14 al 18 settembre le giornate del festival letterario Pordenonelegge hanno rappresentato un’occasione importante per ascoltare dal vivo in Italia le voci di alcuni dei maggiori attori culturali dell’Ucraina contemporanea. Le parole di intellettuali come Ija Kiva, Halyna Kruk e Aleksej Nikitin hanno aiutato non solo a comprendere le dinamiche della drammatica guerra d’aggressione portata avanti dalla Federazione Russa in Ucraina, ma anche l’impatto che questa guerra probabilmente avrà sulla società e sulla cultura del Paese negli anni a venire. Nel corso degli appuntamenti che lo hanno visto protagonista, Nikitin, autore di romanzi editi in Italia da Voland come Istemi e Victory Park, ha messo in evidenza la continuità tra gli eventi drammatici che sconvolgono oggi il suo Paese con il graduale depauperamento dell’arte e della cultura ucraine nel corso delle maggiori transizioni politiche del XX secolo. In particolare, Nikitin, autore di lingua russa originario di Kyїv, ha aiutato il pubblico italiano a riflettere su uno dei maggiori paradossi del conflitto in corso: la guerra portata avanti da Putin nel Paese in nome della difesa della lingua russa finirà con tutta probabilità per eliminare quella stessa lingua dal tessuto sociale e dalle pratiche linguistiche e culturali. Secondo Nikitin non si tratta di un processo nuovo per l’Ucraina, il cui tessuto multiculturale è caduto di frequente vittima dei colpi della guerra e della strumentale appropriazione politica a fini propagandistici.
Nel brano che riportiamo in traduzione italiana, lo scrittore ucraino ci aiuta a riflettere in prospettiva storica sulla posizione precaria dell’arte e della cultura in tempo di guerra.
L’arte e la cultura sono indifese di fronte alla guerra. Non sto parlando solo dei preziosi manufatti materiali: il contenuto di gallerie, musei e archivi, il fragile patrimonio delle generazioni precedenti. Le tracce dei carri armati stanno macinando la superficie dello strato superiore della civiltà e spargendo le sue ceneri al vento, lasciando dietro di sé solo terra morta. La produttività e il fervore culturale torneranno un giorno, ma fino ad allora il paesaggio sarà alterato in modo irriconoscibile: ciò che è stato distrutto non può essere riportato indietro.
In ogni circostanza, e in particolare in tempo di guerra, le opere d’arte, e in misura più ampia il patrimonio culturale dell’umanità, non devono essere toccate dalla passione nazionale o politica. Questa premessa, formulata dallo scrittore britannico John Galsworthy dopo la Prima guerra mondiale, è uno dei punti fondamentali della Carta del PEN International. La sua premessa sembra affermare l’ovvio, ma guerre come quelle che hanno colpito l’Europa nel secolo scorso mostrano quanto siamo lontani dal vivere all’altezza dell’ideale di proteggere le nostre più alte espressioni culturali.
La storia della cultura ucraina è la storia delle quattro principali culture che esistevano in Ucraina all’inizio del secolo scorso: polacca, ebraica, ucraina e russa. Possiamo solo immaginare come avrebbero potuto svilupparsi se fossero rimaste intatte per completarsi, rafforzarsi e arricchirsi reciprocamente. Oltre alla complementarità, l’interrelazione delle culture nazionali comporta anche un’influenza reciproca in molteplici modi: lo scambio di idee, di citazioni, di traduzioni, e così via. Quasi niente di tutto questo ha avuto la possibilità di concretizzarsi in Ucraina.
La prima di queste quattro culture ad essere distrutta è stata la cultura polacca d’Ucraina. La sua scomparsa fu il risultato della guerra sovietico-polacca del 1919-1921. I giornali sovietici in Ucraina in quegli anni erano pieni di un’aggressiva propaganda anti-polacca che chiedeva l’annientamento dei polacchi stessi. E per molti anni dopo il 1921, essere polacchi in Unione Sovietica era un segno di inaffidabilità e di mancanza di lealtà al regime. Non a caso, i polacchi furono spesso vittime delle repressioni sovietiche (comprese le esecuzioni) durante il terrore stalinista.
Oggi la portata e la profondità di questa perdita in Ucraina possono essere valutate semplicemente ricordando i nomi di coloro che sono riusciti a fuggire in Polonia e a salvarsi: Jarosław Iwaszkewicz, che con il tempo è stato riconosciuto come l’ultimo poeta polacco classico del XX secolo; il compositore Karol Szymanowski, stella della musica polacca nel periodo tra le due guerre; il compositore Witold Maliszewski, fondatore e primo rettore del Conservatorio di Odesa; l’architetto Władysław Gorodecki, la cui Casa delle Chimere rimane l’iconico “biglietto da visita” di Kyїv ancora oggi.
Nel 1918, durante il breve periodo dell’indipendenza dell’Ucraina successivo alla caduta dello zarismo, fu fondata a Kyїv la Kultur Lige, una lega della cultura europea, che univa scrittori, artisti, registi ed editori ebrei. Nel giro di pochi mesi furono aperti più di cento sedi della lega: da Riga, Varsavia e San Pietroburgo, a nord, alla Crimea, a sud. Tra i suoi fondatori e partecipanti, troviamo i nomi di artisti e scrittori che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’arte del XX secolo: Marc Chagall, El Lissitzky, Issachar Ber Ryback, Abraham Manievich, Perec Markisz.
In URSS, tuttavia, l’esistenza di organizzazioni culturali non comuniste era vietata: pertanto, già nel 1920 i bolscevichi avevano preso sotto il loro pieno controllo la Kultur Lige. Nel 1924 quest’ultima fu definitivamente sciolta e molti dei suoi membri se ne andarono dall’Unione Sovietica. Tuttavia, la vita culturale ebraica in Ucraina rimase attiva fino all’inizio della Seconda guerra mondiale. A Charkiv, e successivamente a Kyїv, erano ancora presenti importanti teatri ebraici gestiti dallo stato e la letteratura ebraico-ucraina scritta in yiddish era una delle più ricche e ammirate d’Europa in quegli anni. Questa incredibile varietà artistica fu completamente soffocata durante la Seconda guerra mondiale e infine distrutta da Stalin alla fine degli anni ’40. Il culturologo di Kyїv Miron Petrovskij ha spiegato la scomparsa della letteratura ebraica ucraina con cupa ma lucida brevità: “Hitler ne ha ucciso i lettori e Stalin ne ha ucciso gli scrittori”.
Nella prima metà degli anni ’30 un colpo terrificante fu inferto anche alla cultura di lingua ucraina. Nella Russia imperiale era stata vietata la pubblicazione di libri in ucraino; inoltre, il teatro ucraino era stato relegato in periferia, per via degli enormi costi legati alla concessione dei permessi per mettere in scena spettacoli nelle città più grandi. Ma nei quindici anni successivi alla caduta dell’Impero russo, in Ucraina aveva preso forma una letteratura giovane e dinamica, orientata più alla cultura europea contemporanea che alla cultura russa. Si poteva così assistere allo sviluppo del teatro d’avanguardia, del cinema e di scuole per le arti.
Questa rinascita culturale venne letteralmente liquidata negli anni ’30. Un numero enorme di scrittori, attori, registi e artisti furono vittime di repressione e successivamente giustiziati. Il controllo sulla libertà di parola e di pensiero sfocia sempre e ovunque inevitabilmente anche in ambito culturale, a prescindere dalla lingua: e la cultura ucraina non fece eccezione, soggetta com’era a un controllo severo che non si indebolì fino agli ultimi anni dell’URSS. La condizione di rigida censura finì per prosciugare anche la cultura ucraina di lingua russa, privando quegli scrittori, poeti, registi e attori dell’ossigeno della libertà. In mancanza di qualsivoglia mezzo di autorealizzazione, gli autori più talentuosi lasciarono l’Ucraina.
Delle quattro principali culture urbane esistite in Ucraina dal 1918 al 1920, solo due – quella ucraina e quella russa – sono rimaste intatte fino al momento dell’indipendenza, ma anche il loro mantenimento è stato palpabilmente distorto dall’ideologia comunista, dalla censura e dalla pervasiva interferenza dello stato nel processo creativo. La caduta del regime comunista ha liberato la cultura ucraina dalla censura e dai dettami dell’ideologia, ma il rinnovamento culturale del Paese ha preso forma lentamente e ha potuto realizzarsi pienamente solo con un cambio generazionale nelle arti. Per tutto questo tempo, vere e proprie discussioni sul ruolo della cultura russofona, in particolare della letteratura ucraina di lingua russa, si sono svolte a tutti i livelli della società.
Può sembrare strano, ma è stato proprio durante gli anni successivi all’indipendenza dell’Ucraina che la letteratura ucraina di lingua russa è apparsa con una portata e una qualità mai viste prima né nell’Unione Sovietica, né nell’Impero russo. Queste opere differivano anche tematicamente e stilisticamente dalla letteratura russa: in questi testi venivano codificate le differenze linguistiche tra le varianti ucraina e russa della lingua russa, che erano sempre state una caratteristica fondamentale del russo d’Ucraina.
Come già avvenuto con le culture polacca ed ebraica dell’Ucraina, il colpo decisivo alle due culture rimaste in Ucraina è stato inferto dalla guerra, quella attuale. Dopo gli annunci demagogici di politici e propagandisti russi tra il 2013 e il 2014 sulla necessità di difendere i cittadini russofoni dell’Ucraina, centinaia e migliaia di ucraini, per i quali il russo era la loro lingua madre, hanno iniziato a rifiutarsi di parlarlo in pubblico e nella vita di tutti i giorni, come a dire: “Non parlo più russo e non c’è più bisogno che tu mi ‘difenda’”. Questo movimento si è intensificato dopo l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbas, ma l’aggressione su vasta scala della Russia contro l’Ucraina nel 2022 gli ha dato un nuovo slancio.
Credo che l’obiettivo della guerra della Russia in Ucraina sia l’annientamento dello stato ucraino e della civiltà ucraina. Le azioni dei leader di Mosca tradiscono la loro retorica sulla guerra difensiva: nei territori temporaneamente occupati dell’Ucraina, l’esercito russo sta distruggendo musei, archivi, monumenti, biblioteche, tutto ciò che preserva la storia ucraina ed è fondamentale per l’identità ucraina. È ovvio per me che la cultura ucraina è uno degli obiettivi dell’aggressione russa, e se la Russia dovesse realizzare i suoi obiettivi militari e conquistare l’Ucraina, allora non c’è alcun dubbio che anche la cultura ucraina verrà distrutta.
Ciò che potrebbe essere meno ovvio è che la cultura ucraina in lingua russa scomparirà in mezzo alla distruzione. Quella cultura sarà sostituita con un surrogato propagandistico, come spesso accade in questi casi e come è già successo nei territori ucraini che la Russia ha annesso.
Mentre scrivo questo testo, sono distratto dalle notizie che arrivano dall’Est del Paese, dove l’esercito ucraino tenta di contrastare l’attacco russo a Sjevjerodonec’k [le forze russe sono riuscite a ottenere il controllo completo della città il 25 giugno – NdR]. Non so come e quando questa guerra finirà, ma la mia fede nel fatto che l’Ucraina prevarrà e conserverà sia la sua sovranità sia la sua cultura non ha mai vacillato, nemmeno ai tempi in cui l’esercito russo si trovava fuori dai confini della città di Kyїv. L’Ucraina ha intrapreso una difesa armata del suo diritto di svilupparsi come civiltà autonoma, del suo diritto alla propria lingua e cultura, del suo posto nella cerchia delle culture europee.
Ma prevedere anche solo il prossimo futuro per la cultura ucraina di lingua russa è più complicato. Si ha la sensazione che un’altra cultura sia caduta vittima di quest’ultima guerra. Nessuno vieterà agli scrittori ucraini di scrivere in russo, ovviamente, ma per chi scriveranno? In un’Ucraina pacifica e fiorente, altre letterature, altre lingue potrebbero svilupparsi insieme all’ucraino. Ora un tale sviluppo sembra impossibile. Chi leggerà mai libri in russo in un paese in cui quella lingua è e sarà per il prossimo futuro saldamente associata all’aggressione non provocata e crudele dalla Russia?