Ucraina, il pluralismo alla prova della guerra. Conversazione con Andreas Umland

"Quello che stiamo vedendo negli ultimi mesi in Ucraina è l’avveramento di un vecchio detto: non sono solo gli stati che fanno le guerre; spesso le guerre fanno gli stati. È in corso un processo di unificazione culturale del paese, e allo stesso tempo di sfaldamento dei vecchi gruppi di potere politico-oligarchici. Certamente la guerra cambierà il paesaggio politico".

(di Niccolò Pianciola, storico dell’Università di Padova e membro del consiglio direttivo di Memorial Italia)


26 settembre 2022 
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 15:28


Andreas Umland è un politologo specialista dei sistemi politici russo e ucraino. Nato a Jena nell’allora DDR nel 1967, dopo un dottorato all’Università di Cambridge ha vissuto per molti anni a Kyiv, dove è professore associato all’Università nazionale-Accademia Mohyliana. Attualmente lavora anche come ricercatore presso l’Istituto svedese per gli affari internazionali di Stoccolma. Molte delle sue pubblicazioni possono essere scaricate da questa pagina. Memorial Italia lo ha intervistato sull’evoluzione politica dell’Ucraina nell’ultimo decennio.


Andreas Umland (Foto di Pavlo1  – , CC BY-SA 4.0)


Come è arrivato a lavorare in Ucraina?


Sono stato inviato in Ucraina da una serie di organizzazioni culturali tedesche, inizialmente dalla Fondazione Bosch. Poi sono andato a insegnare all’Accademia Mohyliana a Kyiv, la più antica università slavo-orientale inclusa nei programmi dell’agenzia tedesca per gli scambi accademici, la DAAD. Ho poi lavorato a Kyiv come esperto per la Società tedesca per la cooperazione internazionale, e ho anche insegnato all’Università nazionale “Taras Ščevčenko”.


Quanto è eccezionale il suo percorso? Quanti sono gli accademici stranieri in Ucraina?


Ce ne sono diversi, quasi tutti finanziati dalla fondazione americana Fulbright o dall’Unione Europea. Ci sono anche studiosi canadesi di origine ucraina venuti a insegnare permanentemente o per un periodo di tempo, ad esempio Mychailo Wynnyckyj (anche lui all’Accademia Mohyliana). Tra gli accademici tedeschi sono quello che ha lavorato più a lungo in Ucraina, in tutto 17 anni, mentre i miei colleghi di solito rimangono per 4-5 anni e poi se ne vanno.


A volte in Italia si fanno paragoni affrettati tra i regimi politici di Russia e Ucraina. Come descriverebbe quello ucraino? Quanto è cambiato il sistema politico tra la Rivoluzione della dignità del 2013-14 e l’invasione russa del febbraio 2022?


Alcuni studiosi hanno sostenuto che nella storia ucraina recente la cesura politica più importante siano state le elezioni presidenziali del 1994, quando Leonid Kravčuk – il primo presidente dell’Ucraina postsovietica che si era presentato alle elezioni contro lo sfidante Leonid Kučma – perse e lasciò il suo posto, creando le premesse di una transizione ordinata al vertice del potere esecutivo, in base alla quale un presidente che perde le elezioni lascia il potere. Questa tradizione recente è stato il retroterra culturale, se così si può dire, sia della Rivoluzione arancione nel 2004-2005 sia dell’Euromaidan nel 2013-2014. In ambedue i casi Viktor Janukovič ha tentato di far deragliare il sistema politico verso l’autoritarismo: la prima volta, nel 2004, quando era un candidato alla presidenza; la seconda volta, nel 2013, quando era presidente. Dopo la Rivoluzione della dignità ci fu un impulso verso la democratizzazione del sistema politico per l’impegno della società civile ucraina, che è diventata molto più influente ed è stata in grado di far pressione su Petro Porošenko, l’oligarca eletto presidente nel 2014. Con l’Unione Europea, e anche il Fondo Monetario Internazionale, si è creato il classico modello a “sandwich” in cui la società civile dal basso e le organizzazioni internazionali dall’esterno spingono i governi a fare le riforme. Molte nuove leggi sono state promulgate, a partire da quelle contro la corruzione, mentre sono state create istituzioni quali l’Ufficio anticorruzione e la Procura contro la corruzione. Questi sono stati tra i maggiori risultati dell’Euromaidan: il potenziamento della società civile e l’allontanamento del sistema politico ucraino dal modello di corruzione sistemica largamente presente nello spazio post-sovietico.


Mi sembra si possa dire che il sistema politico ucraino pre-2014 fosse un sistema caratterizzato da un vero pluralismo nei mass media e basato su elezioni vere, che portavano al cambiamento dei detentori del potere esecutivo. Allo stesso tempo, non vigeva lo stato di diritto e la corruzione era sistemica. Perciò, il potere esecutivo nella persona del presidente poteva tentare di trasformare il sistema in senso autoritario senza incontrare grandi resistenze da parte di altri poteri dello stato. Sia Kučma sia Janukovič hanno tentato di farlo, ma in entrambi i casi il loro tentativo è fallito per la reazione dal basso, per la mobilitazione nella società. È una descrizione accurata?


Sì, è così.


Quanto sono cambiate le relazioni tra l’esecutivo e i media e tra l’esecutivo e il potere giudiziario dopo il 2014?


Dopo il 2014 la tendenza è stata verso una separazione sempre maggiore tra governo e sistema giudiziario, e tra potere politico e sistema mediatico. Era ancora un sistema (e lo è anche oggi) in cui i media non sono totalmente indipendenti da gruppi di potere economici o politici, ma fino all’invasione russa di quest’anno in Ucraina c’erano vari centri di potere che competevano l’uno con l’altro. Spesso non si aveva buon giornalismo, ma esistevano molti canali di informazioni differenti. Alcuni erano più vicini al governo, altri più lontani. I canali televisivi di opposizione potevano esistere, con l’eccezione di quelli chiaramente infiltrati dalla Russia dopo il 2014. Gli altri hanno continuato ad operare. Peraltro, il colpo maggiore contro le entità pro-russe in Ucraina non è stato portato da Porošenko, ma da Volodymyr Zelens’kyj. Questo è un paradosso perché Zelens’kyj è un russofono con un retroterra familiare ebraico, ed era una colomba pronta a negoziare con Putin, non certo un accanito nazionalista ucraino. Era stata eletto nel 2019 su una piattaforma chiaramente non nazionalista. Ha vinto con il distacco maggiore nella storia delle elezioni presidenziali in Ucraina, con il 73% dei voti. Nessuno aveva raggiunto percentuali simili in passato. Dopo essere stato eletto ha cercato di arrivare a un accordo con Putin, ma si è ben presto reso conto che era impossibile. È a questo punto che è diventato ancora più falco di Porošenko. Quest’ultimo era stato il candidato alle presidenziali con le posizioni più dure contro la Russia. Ma poi Zelens’kyj una volta al potere ha chiuso i canali televisivi pro-russi, ha attaccato il Blocco di opposizione e ha fatto incarcerare Viktor Medvedčuk, che era in sostanza il rappresentante di Putin in Ucraina. Putin e Medvedčuk sono molto vicini, Putin è stato il padrino della sua figlia più giovane. [Il 22 settembre 2022 Medvedčuk è stato rilasciato, insieme ad altri 54 prigionieri, in cambio della liberazione di 215 soldati ucraini catturati dai russi nei mesi precedenti. NdR]


Come si spiega questo spostamento da parte di Zelens’kyj? Si è convinto che Putin volesse usare gli accordi di Minsk solo per influenzare la politica ucraina e non fosse interessato a una vera mediazione?


Ad essere onesti, penso che in sostanza Zelens’kyj non avesse davvero capito la situazione del conflitto con la Russia. Inizialmente credeva che il problema fosse Porošenko che – vuoi per i suoi interessi economici, vuoi per il suo nazionalismo ucraino, vuoi per l’influenza dell’Occidente, o per altre ragioni – non riusciva a chiudere il conflitto e ad arrivare a un qualche compromesso. Durante la campagna elettorale del 2019 Zelens’kyj era stato ambiguo. La sua posizione sui rapporti con la Russia per certi aspetti era più simile alle posizioni di Janukovič e del vecchio Partito delle Regioni, che a quelle di Porošenko. Poi, quando è diventato presidente e ha provato a trattare con Putin, si è accorto che il problema non era Porošenko, ma era proprio Putin, che non era interessato a una vera trattativa. E allora, in modo quasi naturale, Zelens’kyj è passato su posizioni più dure.


Come descriverebbe l’ideologia del partito “Servitore del popolo” di Zelens’kyj, se ce n’è una? Spesso è descritto come populista.


Ci sono dei forti elementi populisti, ma lo vedo più come una commistione di idee liberaldemocratiche e in parte socialdemocratiche. In generale la collocazione del partito è più progressista che conservatrice. Il Partito della Solidarietà Europea di Porošenko e il partito Patria di Julija Timošenko sono più conservatori, tradizionalisti e di centro-destra. Nello spettro politico occidentale il partito di Zelens’kyj, al Parlamento europeo diciamo, sarebbe da qualche parte tra il blocco liberale, il blocco verde e i socialdemocratici. Zelens’kyj ha fatto delle dichiarazioni progressiste sulle minoranze sessuali. Sua moglie ha preso posizioni femministe. “Servitore del popolo” in uno dei paesi dell’Unione Europea sarebbe considerato un partito di centro-sinistra.


Qual è la sua posizione sulla questione del matrimonio o unione omosessuale, ad esempio?


La questione del matrimonio omosessuale è un tabù in Ucraina. Ma Zelens’kyj ha avuto un confronto pubblico sulla questione dichiarando che ognuno è libero di vivere la propria vita e che le minoranze sessuali dovrebbero avere gli stessi diritti delle altre persone.


L’elezione di Zelens’kyj in 2019 è stata la prima in cui la divisione regionale nel comportamento elettorale è stata molto minore rispetto alle precedenti tornate elettorali. Ci sono altre divisioni nella società ucraina che spiegano la sua vittoria? Ad esempio, sul piano generazionale?


Lungo tutto il periodo post-sovietico, c’è stata una sorta di onda che è andata progressivamente dall’ovest all’est dell’Ucraina. All’inizio degli anni Novanta c’era una chiara divisione tra l’Ucraina occidentale più ucrainofona, tendenzialmente più nazionalista, più orientata verso l’Occidente, e le regioni orientale, centrale, e meridionale del paese, più russofone e dove vivevano più persone orientate verso la Russia. Be’, ad ogni ciclo elettorale questa divisione si è spostata sempre più a est. Con l’elezione di Zelens’kyj nel 2019 per la prima volta questa divisione geografica è quasi scomparsa. C’era ancora qualche differenza, ma specialmente al secondo turno delle elezioni presidenziali c’è stato una vittoria schiacciante di Zelens’kyj quasi ovunque. E la divisione è stata in effetti soprattutto generazionale, con i giovani che hanno votato per Zelens’kyj e gli anziani per Porošenko.


Il processo contro Porošenko ha una qualche base di fatto, o è da interpretare come l’uso del potere giudiziario da parte di Zelens’kyj per colpire un avversario politico? [Nel dicembre 2021 l’Ufficio investigativo di Stato ha accusato Porošenko di alto tradimento per aver organizzato durante la sua presidenza le forniture alle imprese ucraine di carbone proveniente dalle “repubbliche” del Donbas, favorendo in questo modo l’economia delle entità sostenute dalla Russia. Se riconosciuto colpevole, rischia dai 10 ai 15 anni di carcere, NdR]


Apparentemente, quando era presidente Porošenko ha fatto qualche transazione d’affari di dubbia legalità. Che questo sia una base sufficiente per giustificare un procedimento giudiziario ai suoi danni, non lo so. Francamente non sono abbastanza competente per avere una chiara opinione su questo. È una questione economica e giuridica complessa. Ma quando il procedimento è iniziato, la sensazione era che non tutto fosse così pulito, dato che in quel momento Porošenko era il maggiore avversario politico di Zelens’kyj. Ero preoccupato che ci fosse un uso strumentale della giustizia. In ogni caso, Porošenko non è mai stato messo in prigione, ed è tuttora libero. Uno degli effetti della guerra è che casi come questo sono diventati sostanzialmente irrilevanti. Porošenko partecipa pubblicamente alla mobilitazione a favore dello sforzo bellico, e sostiene il governo.


Tornando al periodo 2012-2014, i partiti di estrema destra hanno avuto un grande successo alle ultime elezioni parlamentari prima della Rivoluzione della dignità, nel 2012, ma poi sono crollati sul piano elettorale ed oggi sono sostanzialmente irrilevanti, nonostante i militanti di estrema destra avessero avuto un ruolo nell’Euromaidan. Come mai?


È una storia abbastanza semplice. I deludenti risultati elettorali dell’estrema destra nel 2014, alle elezioni parlamentari e presidenziali, così come nel 2019 quando c’è stata un’altra doppia tornata elettorale, riflettono il consenso che l’estrema destra ha avuto e ha in Ucraina. Erano piuttosto quelli del 2012 ad essere risultati fuori dal comune, con il partito “Libertà” (Svoboda) che allora prese circa il 10% dei voti (tra l’altro in molti paesi dell’Unione Europea una performance elettorale dell’estrema destra come questa sarebbe considerata del tutto normale. In molti paesi della UE i partiti di estrema destra raggiungono percentuali di voto molto più alte). Quel 10% era stato eccezionalmente alto, e si può spiegare con una serie di fattori. Primo, un forte voto di protesta contro Janukovič. L’estrema destra ha avuto un elettorato strano nel 2012: urbano, molto istruito, pro-Unione Europea e pro-Occidente. Costoro hanno votato per Svoboda perché era il partito più anti-Janukovič di tutti. Secondo, c’era il fenomeno del trasformismo dei cosiddetti “tuški”. Alle precedenti elezioni parlamentari le cosiddette forze “arancione” avevano la maggioranza, ma dopo che Janukovič è stato eletto presidente nel 2010, molti deputati eletti nei partiti di Viktor Juščenko e Julija Timošenko sono passati con Janukovič, permettendogli di prendere il controllo sia della presidenza sia del governo. Perciò molti di coloro che hanno votato Svoboda nel 2012 erano persone che presupponevano che solo votando Svoboda sarebbero stati sicuri che i loro voti non sarebbero andati a candidati che poi avrebbero potuto passare con Janukovič. E non si sbagliavano, dato che nessun deputato di Svoboda è mai passato con Janukovič. Terzo, e forse questa è la ragione più importante, Janukovič stesso dopo essere salito alla presidenza nel 2010 ha aiutato Svoboda a espandere i suoi consensi. Tutti i sondaggi dicevano che Janukovič avrebbe vinto le successive elezioni presidenziali solo se il suo avversario al secondo turno fosse stato un esponente di Svoboda. Perciò ha lavorato lui stesso per favorire questo scenario. Studi accademici hanno mostrato come tra il 2010 e il 2013 Svoboda abbia avuto grande spazio e un trattamento favorevole sui media controllati dal governo. Poi, dopo la rivoluzione del 2013-14 e la fuga di Janukovič, sono state trovate prove documentarie di come Svoboda avesse ricevuto fondi negli anni precedenti da Janukovič, che voleva un partito polarizzante come il più forte partito dell’opposizione. Dopo il 2014, quando questi tre fattori sono venuti meno, Svoboda è crollata nei consensi. Tra l’altro molti dimenticano che la situazione post-2014 era potenzialmente molto favorevole a Svoboda, dato che nel 2014 la Russia ha occupato la Crimea e parte del Donbas, le cui popolazioni, che mai avrebbero votato Svoboda, non poterono dunque partecipare alle elezioni del 2014 e del 2019. In teoria, ci si sarebbe potuti dunque aspettare un incremento percentuale dei voti all’estrema destra. Invece c’è stato un crollo. Nel 2014 Svoboda è rimasta fuori dal parlamento perché non ha raggiunto la soglia del 5%, e alle elezioni presidenziali dello stesso anno sia loro sia Settore Destro (Pravyj Sektor) sono andati malissimo. Nel 2019 entrambi i partiti hanno preso ancora meno voti.


Qual è il legame tra i partiti di estrema destra e alcune formazioni armate, come il battaglione Azov, una questione che è diventata uno dei cavalli di battaglia della propaganda putiniana?


Ci sono in realtà diversi fenomeni che vanno tenuti distinti. Il primo è il battaglione Azov del 2014, una formazione semi-regolare composta soprattutto da militanti di estrema destra, che poi ha dato vita al reggimento Azov della Guardia Nazionale, e il movimento Azov, formato da veterani del battaglione e altri attivisti politici. Il perno di questo movimento Azov è il partito “Corpo Nazionale”, fondato nel 2015: un partito marginale, che non è mai entrato in parlamento e ha solo qualche rappresentante eletto a livello di consiglio regionale o distrettuale. Ci sono, o ci sono state, connessioni tra il movimento e il reggimento Azov. Ad esempio, il movimento Azov aiuta i veterani che si trovino in difficoltà dopo il servizio attivo. Ma il reggimento Azov è ormai diventato una formazione armata deideologizzata controllata dal Ministero dell’interno dell’Ucraina, e ha integrato personale e volontari che non avevano un passato o un presente di militanza politica. Ci sono probabilmente ancora al suo interno combattenti con idee di estrema destra, ma ormai è una pura formazione militare. Del resto, l’affinità tra l’estrema destra e le forze armate non è qualcosa di specifico all’Ucraina. In Germania, ad esempio, abbiamo scandali ricorrenti su reti di estrema destra nella Bundeswehr, nonostante un monitoraggio molto stretto della questione. Bisogna anche ricordare che il battaglione Azov originario, quello del 2014, è solo uno dei trentasei (se non ricordo male) battaglioni che si sono formati in quei mesi per contrastare l’aggressione russa. Qualcuno è stato creato da gruppi di estrema destra, ma anche questi non arruolavano necessariamente militanti. Altri sono stati formati da gruppi con convinzioni politiche completamente diverse, persino liberali, altri ancora erano fin dall’inizio totalmente deideologizzati. L’obiettivo di queste formazioni era combattere contro l’invasione, non di essere il braccio armato di un movimento politico.


Dopo la Rivoluzione del 2014 e la fuga di Janukovič dal paese, il Partito delle Regioni è stato sciolto. Che fine hanno fatto gli ex esponenti di questo partito? Quanti sono andati in esilio con Janukovič o invece si sono ritirati a vita privata, o riciclati in altri partiti?


Il Partito delle Regioni in realtà si è autodissolto. Gli ex dirigenti del partito hanno aderito a due raggruppamenti politici: il Blocco di Opposizione e la “Piattaforma di Opposizione – Per la Vita”. Queste due formazioni sono state in competizione l’una con l’altra perché si rivolgevano allo stesso elettorato, quello che prima votava il Partito delle Regioni. Nelle elezioni parlamentari del 2019, Piattaforma di Opposizione ha mandato 43 deputati in parlamento. [Dopo l’inizio dell’invasione russa del 2022, l’attività politica del partito “Piattaforma di Opposizione – Per la Vita” è stata proibita a causa delle sue posizioni pro-russe, NdR]


Il Presidente Porošenko nel maggio 2015 aveva firmato  una controversa legge che bandiva simboli comunisti e nazisti dall’Ucraina. La conseguenza principale fu la rimozione dei monumenti del periodo comunista dagli spazi pubblici (soprattutto le ubique statue di Lenin) e il cambiamento della toponomastica per i nomi di vie, piazze e centri abitati dedicati a temi e persone legati al comunismo. Poi, nel settembre 2015, c’è stato lo scioglimento amministrativo del Partito comunista dell’Ucraina in base a una sentenza del tribunale amministrativo distrettuale di Kyiv (anche se la controversia giudiziaria si è poi trascinata per anni). Quanto questa decisione è stata presa perché il partito era percepito come una quinta colonna di Mosca, e quanto invece la misura fu una conseguenza delle leggi di “decomunistizzazione”?


La cosa interessante a proposito del Partito comunista, e che molti tendono a dimenticare, è che è stato proibito dopo che aveva perso la rappresentanza in parlamento. Aveva partecipato alle elezioni parlamentari del 2014, ma non aveva passato la soglia del 5%. Prima della Rivoluzione della dignità era un partito molto forte, ma perse moltissimi consensi dopo l’annessione russa della Crimea e la pseudo guerra civile nel Donbas nel 2014, eventi che hanno delegittimato le posizioni pro-russe del Partito. Così nel 2014 gli elettori l’hanno buttato fuori dal Parlamento. Poi nel 2015 ci sono state le leggi di decomunistizzazione, che hanno reso un reato usare simboli comunisti. Per capire perché, bisogna avere a mente la specificità politica e culturale dell’Ucraina e ricordare che il comunismo in Ucraina è associato alla grande carestia, lo Holodomor del 1932-33 che ha ucciso circa 3 milioni di ucraini. Anche se non si accetta di identificarlo come genocidio, in ogni caso la responsabilità politica di Stalin e del regime comunista in questa immane tragedia è chiara. Per gran parte degli ucraini questa è la questione centrale quando si parla del periodo comunista, non tanto l’ideologia marxista-leninista. Oltre a provocare la carestia, il regime comunista sotto Stalin sterminò buona parte dell’élite culturale ucraina e tentò di distruggere la Chiesa greco-cattolica ucraina. Nel discorso ufficiale ucraino degli ultimi anni, il comunismo è soprattutto ricordato come un’ideologia anti-ucraina.


Parlando di contestualizzazione dell’uso della Storia, come si spiega il fatto che Stepan Bandera sia stato ufficialmente inserito nel pantheon degli eroi nazionali già durante la presidenza Juščenko? In che misura il fatto che questo estremista di destra la cui ideologia era sostanzialmente fascista sia diventato un simbolo nazionale ha implicato una rivalutazione di idee fasciste in Ucraina, e quanto invece questo aspetto della sua figura e azione politica è stato occultato nel discorso ufficiale, e Bandera è diventato un simbolo che ha poco a che fare con la sua effettiva realtà storica?


L’estrema destra in Ucraina vede certamente Bandera come uno dei loro padri politici, ma l’estrema destra nel paese è molto debole, e la popolarità della figura di Bandera va molto al di là della destra. La ragione è che, sebbene Bandera fosse di estrema destra e – almeno per un periodo della sua vita – un fascista, in Ucraina oggi non è visto principalmente come tale. È considerato un combattente per l’indipendenza dell’Ucraina che morì per questo. Fu ucciso a Monaco di Baviera nel 1959 dal KGB – la stessa organizzazione nella quale si è formato Putin. Nel discorso pubblico la sua figura è quella di un liberatore, anche se naturalmente non avrebbe instaurato un regime liberale se fosse andato al potere. Del resto, i suoi rapporti con l’occupante tedesco durante la Seconda guerra mondiale erano stati conflittuali. Due dei suoi fratelli furono uccisi ad Auschwitz (apparentemente da compagni di prigionia). Un altro fratello morì durante l’occupazione tedesca in circostanze non chiare. Lo stesso Stepan Bandera è stato a lungo rinchiuso nel campo di concentramento di Sachsenhausen vicino a Berlino. Queste sono le cose che sono enfatizzate dalla memoria pubblica in Ucraina: una memoria selettiva, non una visione storica oggettiva. È un fenomeno che vediamo in molti Paesi, dove le pagine buie delle biografie degli eroi nazionali sono dimenticate o taciute.


Qual è il ruolo degli oligarchi nell’Ucraina attuale? Il loro strapotere e l’influenza che hanno avuto sul sistema politico è uno dei punti spesso invocati da coloro che sostengono che l’Ucraina non abbia un sistema politico democratico. Ci sono stati cambiamenti nel loro potere negli ultimi decenni?


Non ci sono stati grandi cambiamenti negli ultimi vent’anni, ma la situazione completamente nuova portata dall’aggressione russa di quest’anno ha avuto un effetto significativo sul loro peso politico. Si può dire che la guerra del 2022 abbia creato una nuova economia politica in Ucraina. Certamente il fenomeno degli “oligarchi”, ovvero imprenditori che accumulano peso economico, potere politico e influenza mediatica in un contesto di corruzione sistemica, è uno dei grandi problemi del sistema politico ucraino, o per lo meno lo è stato fino a tempi molto recenti. Ma il sistema è rimasto sempre pluralistico. Non c’era un clan oligarchico che controllava l’intero sistema politico. C’erano diversi gruppi che competevano l’uno con l’altro appoggiando diversi partiti politici e differenti media, dando vita a quello che qualcuno ha chiamato “pluralismo by default”. Non era un ordinamento propriamente liberaldemocratico, ma era pluralistico e con elezioni vere, dove i cittadini potevano scegliere tra diversi candidati e tra diverse fonti di informazione. La libertà di associazione e di parola erano assicurate. I cittadini avevano sempre a disposizione canali per attività civiche e politiche, a differenza che in un sistema autoritario. Il sistema democratico non era, e non è tuttora, perfetto, ma è aperto. Anche se magari non tutti gli attori politici in campo avevano accesso alle stesse risorse, e spesso non c’era una competizione politica leale. Ci sono molte pratiche che possono essere considerate illiberali, c’è ancora corruzione nel sistema giudiziario e – per lo meno fino a tempi recenti – nelle alte sfere del governo. La speranza è che il processo di adesione all’Unione Europea aiuti ad eliminare questi fenomeni. In generale, con la guerra, i centri di potere diffusi nella società, dai sindacati ai gruppi di interesse economico, hanno perso potere nei confronti dell’amministrazione statale. Il prezzo della corruzione in una situazione di guerra non è solo un danno economico, ma è la perdita di vite umane. Perciò il controllo sui fenomeni corruttivi è aumentato. In questi ultimi mesi di guerra, le risorse economiche di tutti gli oligarchi sono diminuite di molto, non solo quelle degli imprenditori che avevano le proprie attività soprattutto nelle regioni conquistate dalla Russia, come Rinat Achmetov. Achmetov ha peraltro assunto una posizione molto patriottica, procurando direttamente all’esercito, ad esempio, dei dispositivi di difesa contro i bombardamenti. Non credo che dopo la guerra il sistema oligarchico riemergerà potente come prima. La guerra non sta unificando il paese solo dal punto di vista culturale, ma ne sta anche cambiando la distribuzione della ricchezza e del potere che ne deriva.


Dopo l’attacco russo del febbraio di quest’anno c’è stato un irrigidimento nel controllo dei media da parte del governo ucraino. Quanto preoccupanti sono questi sviluppi?


Quello che stiamo vedendo negli ultimi mesi in Ucraina è l’avveramento di un vecchio detto: non sono solo gli stati che fanno le guerre; spesso le guerre fanno gli stati. È in corso un processo di unificazione culturale del paese, e allo stesso tempo di sfaldamento dei vecchi gruppi di potere politico-oligarchici. Quale sarà il paesaggio politico dopo la fine della guerra è una questione aperta a cui non saprei rispondere. Forse ci saranno nuovi partiti. Non escluderei una crescita dell’estrema destra, ma partiranno comunque da un consenso molto basso (2,1% alle ultime elezioni). Certamente la guerra cambierà il paesaggio politico ucraino, ma sulla base di una tradizione ormai trentennale di pluralismo politico, partitico e informativo. Le libertà di associazione, di parola, di religione non verranno meno, nonostante alcune possano essere state limitate durante il conflitto. Anche senza l’influenza dell’Occidente (il G7 adesso forse è la struttura di coordinamento più importante) non credo che l’Ucraina potrà diventare una dittatura dopo la guerra, anche se al momento c’è chiaramente un sistema politico e amministrativo semplificato, in cui i media, i partiti, i ministeri, la società civile stanno lavorando insieme nella stessa direzione. Se combatti una guerra la questione è come vincerla. Ora tutto il sistema statale lavora al servizio dell’esercito, in modo che possa funzionare e resistere all’invasore. Non vedo una significativa opposizione all’azione di Zelens’kyj attualmente, indipendentemente dalle misure prese dal governo. Anche importanti ex esponenti del Partito delle Regioni, come il candidato alle presidenziali del 2014 Mychailo Dobkin, che in passato aveva avuto posizioni pro-russe [Dobkin è stato sindaco di Charkiv tra 2006 e 2010 e governatore della regione di Charkiv tra 2010 e 2014. Nelle elezioni presidenziali del 2014 ha raccolto il 3% dei voti, NdR] ora si è arruolato nella Forza di Difesa Territoriale. Molti altri hanno avuto un percorso simile. La mia percezione è che si tratti di un fenomeno spontaneo dovuto alla situazione di minaccia esistenziale portata dall’aggressione russa. Organizzazioni della società civile, partiti politici, istituzioni statali si stanno coordinando per vincere. Dopo la guerra, le divisioni emergeranno di nuovo.


C’è qualche voce nello spettro politico ucraino che sostiene che l’Ucraina dovrebbe abbandonare la Crimea e parte del Donbas se Putin lo accettasse come il prezzo per la pace, oppure questa posizione è un tabù?


Prima dell’attacco russo del febbraio 2022 c’era qualche discussione su questa opzione. Ma dopo i crimini a Buča e a Irpin – e adesso abbiamo nuovi casi a Izjum e nell’oblast’ di Cherson con fosse comuni con centinaia di vittime – è diventato impossibile per i rappresentanti ucraini sostenere qualsiasi posizione di compromesso. All’inizio della guerra si poteva ipotizzare che questi crimini potessero essere stati commessi dall’esercito russo nella regione di Kyiv dopo la sconfitta del tentativo di conquistare la città, come atti di crudeltà e frustrazione legati a una situazione specifica. Ma adesso abbiamo sempre più prove di altri casi di crimini di guerra compiuti anche in altre regioni. Ora è diventato impossibile per qualsiasi politico ucraino suggerire un compromesso del genere. Perché non si tratterebbe solo di cedere parti del territorio ucraino, ma soprattutto di consegnare cittadini ucraini a un regime terrorista che uccide, deporta, tortura. Ci sono ancora molti politici e diplomatici occidentali che vogliono un compromesso di questo tipo. Nelle comunicazioni informali dietro le quinte, è possibile che esponenti del governo o diplomatici ucraini accettino tuttora di discutere opzioni come questa. Ma dopo Buča, nessuno può più parlarne apertamente.


Cosa risponderebbe a coloro che dicono che questo conflitto è in fondo uno scontro tra due nazionalismi speculari, quello russo e quello ucraino?


Direi che si tratta di due nazionalismi molto diversi tra loro. Da una parte c’è un nazionalismo che combatte per l’indipendenza dell’Ucraina e che oggi è del tutto tollerante nei confronti delle minoranze: ebrei, tatari, e così via. Ad esempio, in passato c’è stata persino collaborazione tra il partito di estrema destra Settore Destro e organizzazioni ebraiche e dei tatari di Crimea. La maggioranza dei nazionalisti ucraini sono favorevoli all’Unione Europea e alla democrazia liberale. Dall’altra parte c’è il nazionalismo russo, che è imperiale, non accetta gli attuali confini della Federazione Russa e cerca di espandere il suo territorio: attraverso il controllo informale nelle cosiddette “repubbliche popolari”, o attraverso l’annessione diretta come in Crimea, o attraverso l’assoggettamento di fatto come in Bielorussia, che ormai è uno stato cliente della Russia. Il nazionalismo russo odierno è imperiale, irredentista, revisionista, espansionista. Qualche gruppo di nazionalisti russi è chiaramente fascista. In Ucraina non esistono posizioni politiche espansioniste. Inoltre, fino al 2014 in Ucraina c’è stata una assoluta tolleranza nei confronti sia dei russi, sia della lingua e cultura russe in Ucraina. Solo dopo il 2014, dopo l’annessione della Crimea e lo scoppio delle pseudo guerre civili nel Donbas, in realtà fomentate e dirette da inviati dello stato russo come Igor Girkin-Strelkov e poi dall’intervento diretto dell’esercito regolare russo, la situazione è cambiata. La propaganda russa cerca di proiettare un’immagine opposta: ovvero che il conflitto nel Donbas sia il frutto di tensioni all’interno della società ucraina. Certo c’erano e ci sono tensioni interne all’Ucraina, ma non diverse da quelle tra nord e sud Italia, tra ovest ed est in Germania, tra valloni e fiamminghi in Belgio, o all’interno di molti altri stati europei. Putin voleva trasformare la pseudo guerra civile in una vera guerra civile. Quando ha capito di aver fallito in questo, l’opzione B è stata l’attacco militare diretto. Perciò, la risposta alla domanda dipende da cosa si intende per nazionalismo. I nazionalismi russo e ucraino odierni sono molto diversi l’uno dall’altro. In un certo senso quello ucraino è più simile al nazionalismo italiano dell’Ottocento, il nazionalismo del Risorgimento – mentre è molto diverso dal nazionalismo italiano egemonico nel Novecento, il nazionalismo fascista. A un livello molto astratto, la distinzione può essere quella tra un nazionalismo espansionista e un nazionalismo che punta all’indipendenza, alla liberazione nazionale, e anche all’integrazione europea.


Ha menzionato le politiche nei confronti della lingua russa in Ucraina. Spesso sentiamo persone poco informate sostenere che la lingua russa è stata “proibita” in Ucraina. Qual è la situazione attuale?


Il russo non è stato affatto proibito naturalmente, ma il suo ruolo nella società è stato ridimensionato. Fino al 2014 le politiche culturali ucraine erano estremamente liberali. Le persone potevano fare l’intero ciclo scolastico dalle primarie alle secondarie con lezioni in russo, ungherese, o romeno. Nel 2014 lo stato ucraino ha imparato che questo approccio liberale è stato controproducente, perché la presenza della lingua e cultura russe sono state usate per giustificare l’aggressione. La Russia ha politicizzato la questione linguistica. È allora che sono state promulgate una nuova legge sull’istruzioneuna sulla lingua che privilegiano la lingua ucraina. Insieme alla separazione della Chiesa ortodossa ucraina da quella russa e alle già ricordate leggi sulla decomunistizzazione, sono state tutte reazioni all’espansione imperiale russa. C’è stata una certa ucrainizzazione linguistica nella sfera pubblica, ma questa è una conseguenza del conflitto armato scatenato dalla Russia. Il russo continua ad essere parlato nel paese, senza che questo comporti alcuna persecuzione. 

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