Bartosz Hlebowicz: “Il Governo polacco ha imitato Putin fino a quando non s’è ritrovato i ‘rascisti’ alle porte”

Il corrispondente di "Gazeta Wyborcza" fornisce una prospettiva diversa sulla guerra in Europa Orientale e una visione dall’esterno sul dibattito pubblico italiano: "Oggi per i polacchi auspicare la libertà per l’Ucraina è una reazione naturale".

(di Viviana Nosilia, professoressa di filologia slava presso l’università di Padova e socia di Memorial Italia)


12 settembre 2022 
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 15:26


Bartosz Hlebowicz dal 2017 è corrispondente dall’Italia uno dei principali quotidiani polacchi a diffusione nazionale “Gazeta Wyborcza” [Gazzetta Elettorale], di orientamento liberale. Nei suoi articoli relaziona puntualmente al pubblico polacco di quanto avviene in Italia e nel Vaticano, con sguardo acuto e commenti spesso taglienti. L’intervista ci offre una prospettiva diversa sulla guerra in Europa Orientale e una visione dall’esterno sul dibattito pubblico italiano.


La classe dirigente polacca ha assunto una posizione molto decisa nei confronti dell’aggressione russa all’Ucraina, è così?


Ora che il nemico è praticamente alle porte, il Governo polacco condanna duramente la Russia, presumibilmente rendendosi conto che dopo che i rascisti [il neologismo polacco raszyści è la crasi di russi + fascisti ed è il calco del russo rašisty, della stessa origine e significato – N.d.R.] avranno inghiottito l’Ucraina, la Polonia sarà uno dei prossimi paesi ad essere minacciati. Purtroppo, negli ultimi anni il governo polacco, di stampo estremista e nazionalista, ha fatto di tutto per rendere la Polonia più simile alla Russia, limitando le istituzioni democratiche e cancellando di fatto la democrazia, indebolendo così anche l’Unione Europea che, accanto a Regno Unito e Stati Uniti, è l’unica forza in grado di opporsi all’imperialismo russo. Ciononostante, per Diritto e Giustizia [il partito Prawo i Sprawiedliwość, abbreviato in PiS – N.d.R.], il partito al governo, che nell’Europarlamento è alleato di Fratelli d’Italia, i principali nemici della Polonia restano la Germania e l’Unione Europea. La visione del mondo di questo partito somiglia molto a quella di Putin; esempi lampanti sono le vessazioni verso giudici e procuratori indipendenti e la feroce campagna contro la comunità LGBT: quest’ultima ricorda molto da vicino la posizione del Patriarca di Mosca Kirill, che spiega l’aggressione della Russia all’Ucraina come una fase della “guerra metafisica” contro l’Occidente e i gay.


Prima del 24 febbraio esistevano gruppi di politici più vicini alle posizioni di Mosca?


Fino all’aggressione russa molto attiva era la Confederazione Libertà e Indipendenza, che ha circa il 7% di consensi nei sondaggi e, come in Italia la Lega e Fratelli d’Italia, considerava “Bruxelles” il principale nemico dello stato. Dopo lo scoppio della guerra, è sembrato che i neofascisti della Confederazione abbiano rotto con la loro politica filorussa, condannando ufficialmente l’aggressione della Russia all’Ucraina. Allo stesso tempo, tuttavia, hanno chiesto di non aprire le frontiere ai rifugiati ucraini. Grzegorz Braun, uno dei politici polacchi più nazionalisti, è arrivato a sostenere che aiutare i rifugiati ucraini sarebbe commettere un peccato, perché anche i polacchi hanno problemi materiali, un po’ come lo slogan “prima gli italiani”. La Confederazione, adducendo a pretesto la preoccupazione per il bilancio statale, è contraria ad aiutare i rifugiati ucraini; i suoi membri viaggiano per la Polonia e si lamentano che gli ucraini in Polonia possano viaggiare gratuitamente su autobus e treni e godere di visite mediche gratuite perché questo comporta sacrifici per i polacchi.


Come avevano reagito la politica e la società polacca all’annessione della Crimea e all’invasione del Donbas nel 2014?


Le hanno condannate, ovviamente. Nessun politico di rilievo o membro del governo si è recato in Crimea per legittimare il referendum indetto dai russi, a differenza di Berlusconi, che è andato a degustare, in compagnia dell’amico Putin, i vini di un’antica vigna di Crimea, o di Salvini, che nel 2014, da Sebastopoli, ha parlato in diretta della magnifica flotta russa che staziona lì per difendere i confini. Nella folla di utili idioti di Putin che nel 2014 si sono recati come “osservatori” del referendum in Crimea, c’erano solo politici polacchi di quarto o quint’ordine. Nel 2015 un altro dei leader della Confederazione, Janusz Korwin-Mikke, che ripete costantemente gli slogan della propaganda russa, è volato in Crimea (via Mosca) e ha elogiato la stampa russa, dichiarando che tutti i giornali in Polonia “scrivono la stessa cosa, nella stessa lingua”.


Com’è presentata l’invasione russa dell’Ucraina nei mezzi di comunicazione in Polonia?


Anche i media governativi, che in teoria sarebbero “pubblici”, ma sono stati trasformati dal governo nazionalista in una cassa di risonanza della propaganda governativa, quando si tratta di condannare l’invasione stessa, sono d’accordo con quelli indipendenti. Tuttavia, si possono notare differenze, ad esempio, sulla questione della Volinia. Mentre i media liberali considerano un’idiozia piegare al discorso contemporaneo il massacro dei polacchi commesso dagli ucraini nella fase finale della Seconda guerra mondiale [nel 2016 Wojciech Smarzowski su questi eventi ha realizzato il film Wołyń (Volinia) – N.d.R.], i media di destra lo fanno volentieri, col pretesto di coltivare la “memoria storica”. L’europarlamentare di destra Beata Kempa in marzo ha persino organizzato un concorso per gli alunni delle scuole elementari dedicato alla “memoria della Volinia”, con il patrocinio del ministro dell’Istruzione Przemysław Czarnek, che ha sostenuto l’insegnamento delle “virtù femminili” e, prima di assumere tale carica, ha dichiarato, commentando immagini del gay pride di Los Angeles, che “queste persone non sono uguali a quelle normali” [nella puntata del 13.06.2020 del talk-show Studio Polska – N.d.R.].


A proposito della Volinia, quanto ritiene che pesi il ricordo di quei fatti nel determinare oggi l’atteggiamento verso gli ucraini?


I polacchi hanno aiutato e stanno aiutando massicciamente gli ucraini fuggiti dal loro paese, ma ci sono anche gruppi che alimentano il risentimento anti-ucraino. Non sono molto influenti, tuttavia è un fenomeno da monitorare. L’associazione antirazzista e antixenofoba Nigdy Więcej (Never Again) ha dimostrato che, di norma, il materiale di propaganda di questi gruppi è fornito da politici di estrema destra. Tra le tesi più assurde di questi propagandisti (tra cui ci sono anche pseudo-giornalisti che seminano propaganda pro-Putin sui canali YouTube) c’è quella secondo cui la guerra sarebbe stata causata dagli ebrei di Israele che vorrebbero insediarsi nel sud-est dell’Ucraina. Il 25 febbraio, cioè il giorno dopo l’inizio dell’aggressione da parte dei russi, un giornalista del “Tygodnik Solidarność” [Settimanale Solidarność] ha scritto con soddisfazione su Twitter che “il mondo dei liberticidi arcobaleno sta per finire”. Il noto editorialista di destra Wojciech Cejrowski ha dichiarato che “Putin è entrato per assicurarsi le retrovie e il fronte”. Contenuti anti-ucraini si trovano anche sul canale YouTube Media Narodowe (National Media), che riceve una sovvenzione dal Ministro della Cultura.


Secondo Lei, perché proprio i polacchi sono fra i più convinti sostenitori dell’Ucraina in questo momento?


Una grande ingiustizia viene perpetrata ai danni di uno stato confinante, la vediamo da vicino: auspicare la libertà per l’Ucraina è una reazione naturale. Persino il governo polacco, che ha ripetutamente perseguito una politica in linea con gli interessi di Putin, non ha potuto non condannare l’invasione.


Come procede l’accoglienza dei profughi ucraini in Polonia rispetto all’entusiasmo dei primi mesi?


Innanzitutto, va detto che l’accoglienza dei rifugiati dall’Ucraina è stata portata avanti dalla società civile e non dal governo. Fin dall’inizio si è trattato di una grande improvvisazione, che ha avuto successo grazie all’impegno di privati, ONG e istituzioni locali, nonché di aziende private, soprattutto sul confine orientale. Il governo ha invece dato prova di sé sul fronte della propaganda: eccoci qui, la grande nazione polacca, pronti ad accogliere i nostri fratelli ucraini. In realtà, lo stato ha fatto poco. Mentre il governo si vantava dell’assenza di campi profughi, l’ospitalità agli ucraini restava a carico delle famiglie polacche, non dello stato. Purtroppo, di recente si sono verificati anche pestaggi di ucraini, uomini e donne, perché si presume che sottraggano i benefici dovuti ai polacchi. Detto questo, non bisogna però dimenticare che ci sono persone meravigliose che sin dall’inizio si sono organizzate per aiutare i profughi senza risparmiarsi, per esempio, andandoli a prendere al confine e accogliendoli nelle loro case. Sono le stesse persone che prestano soccorso anche agli sventurati che stanno soffrendo e morendo di stenti al confine tra Polonia e Bielorussia. Sono anche gli stessi che sono scesi in piazza per protestare contro il governo del partito Diritto e Giustizia, che cerca di smantellare le libertà civili e la democrazia in Polonia. Si tratta di veri patrioti, purtroppo non molto popolari nel paese.


All’estero si rimprovera alla Polonia una notevole disparità di trattamento rispetto ai profughi medio-orientali al confine con la Bielorussia, abbandonati a sé stessi e, in alcuni casi, lasciati morire.


È una situazione schizofrenica: da una parte ci consideriamo meravigliosi perché accogliamo un paio di milioni di ucraini bisognosi, e dall’altra ci consideriamo altrettanto meravigliosi perché siamo riusciti a bloccare… un paio di centinaia o un paio di migliaia di sfortunati attirati al nostro confine da Lukašenka. Li abbiamo lasciati morire in mezzo alla foresta, nelle paludi, e li abbiamo ripetutamente scaricati illegalmente oltre il confine con la Bielorussia. Il loro dramma continua e il numero di persone in fin di vita che la Polonia si rifiuta di aiutare cresce. Il governo polacco sostiene che, respingendo i gruppi di rifugiati provenienti da Iraq, Afghanistan o Yemen, non difende solo il confine polacco, ma “l’intera area Schengen”. Purtroppo, molti polacchi sono sensibili a questo discorso portato avanti da un governo di estrema destra, così come del resto molti italiani accettano la narrazione di Salvini e Meloni.


Lei segue da vicino le vicende italiane. Quali sono le principali differenze tra il dibattito pubblico italiano e quello polacco sul tema della guerra?


In Italia alcuni argomenti (per esempio che USA e NATO sarebbero responsabili dell’invasione russa) trovano un’eco maggiore che in Polonia. Mi sembra che in Italia la propaganda del Cremlino stia avendo un particolare successo, basta ascoltare l’unanimità del Papa, dei leader della coalizione di destra, dei presunti progressisti del Movimento 5 Stelle o dei vari gruppi radicali che si riconoscono nell’idea del “né con la NATO né con la Russia”, che in realtà significa “il più possibile con la Russia”. Capisco che per la sinistra italiana post-comunista il nemico principale rimanga l’imperialismo degli USA. Per chi ha vissuto un’esistenza credendo nell’Unione Sovietica e nel comunismo è più facile credere alla propaganda su “fascisti ucraini”, “armi biologiche” e “basi nucleari americane”, e ripetere le sfacciate affermazioni propagandistiche del Cremlino secondo cui sarebbe stata l’Ucraina a costringere la Russia a un “attacco difensivo” piuttosto che accettare la realtà di un’invasione ingiustificata di un altro stato da parte della Russia. Un mio amico, artista e antifascista, pochi giorni dopo l’invasione russa ha pubblicato sul suo account Facebook un link al film di Oliver Stone sul fascismo in Ucraina. A prescindere dal fatto che Stone è uno dei grandi amici di Putin in Occidente e che non ha senso aspettarsi da lui obiettività, va ricordato che i gruppi di estrema destra in Ucraina sono un fenomeno estremamente marginale e che comunque la loro presenza non giustifica il massacro compiuto col pretesto della “denazificazione”. Anche in Italia esistono gruppi di questo tipo: se, seguendo la logica di Putin e di alcuni ingenui di sinistra in Italia, si possono invadere paesi che hanno gruppi di estrema destra, ci si dovrebbe attendere un’invasione anche qui. Alcuni non riescono a capire che oggi la NATO è l’unico garante della sicurezza dell’Europa… Dall’altra parte c’è la destra, che non ha mai nascosto la sua simpatia per Putin. Penso ovviamente a Salvini, che perfino durante la guerra non ha rinunciato alle sue inclinazioni moscovite e ha trattato con gli uomini di Putin alle spalle del governo italiano, ma anche a Berlusconi. E penso alla Meloni, che si professa filo-atlantica, condanna la Russia, ma allo stesso tempo abbraccia Orbán, il miglior alleato di Putin. Al di là dei leader politici, la propaganda del Cremlino fa presa anche sulle masse, sia in Polonia, sia in Italia, il che è particolarmente sconfortante. Nelle conversazioni con i miei amici italiani mi colpisce come viene utilizzata la parola “pace” rispetto alla guerra in Ucraina. La pace del Papa, di Salvini e di Berlusconi, ma anche di Conte e Fratoianni, è la pace di Putin, è il consenso al “russkij mir” [espressione che in russo può significare sia mondo russo, sia pace russa e che è stata trasformata in uno dei punti cardine della visione putiniana della storia e del ruolo della Russia nel mondo – N.d.R.] e alla liquidazione dell’Ucraina dalla parte di Putin. È invece altamente improbabile che i polacchi si facciano illusioni su cosa sia il “russkij mir”, o la “pace russa”. In Italia, invece, i fautori della “pace russa” hanno purtroppo portato alla caduta del governo Draghi. Per contro, in Polonia si discute molto delle dichiarazioni di Papa Francesco sulla guerra in Ucraina [di recente il Vaticano ha diffuso un comunicato in risposta alle polemiche – N.d.R.]. Il pontefice è ampiamente e unanimemente criticato dai media di sinistra, liberali e di destra, anche dai lettori e dagli utenti di Internet. Anche l’episcopato polacco ha condannato aspramente l’aggressione russa contro l’Ucraina, criticando così indirettamente lo stesso Papa.


Come avrà notato, nel dibattito pubblico italiano uno dei punti in discussione è l’atteggiamento verso la cultura russa: si parla di russofobia, di cancel culture. Anche in Polonia si discute di ciò?


Dmitrij Medvedev, ex presidente della Federazione Russa, oggi vicecapo del Consiglio di Sicurezza, accusa i polacchi di avere una loro “peculiare russofobia patologica da molti anni” [si veda il post del 21.03.2022 sul suo canale Telegram, interamente dedicato alla Polonia – N.d.R.]. In realtà, non credo che questo sia un tema particolarmente importante in Polonia, ma forse è perché vivo stabilmente in Italia. Tuttavia, non mi sembra che la cancel culture in relazione alla cultura russa sia oggi una questione di prima (o anche di seconda o terza) importanza. Credo sia chiaro a tutti che l’invasore è uno stato terrorista guidato da un ex ufficiale delle forze speciali e che non ha nulla a che fare con Puškin, Tolstoj o Brodskij. Ho letto, naturalmente, della cancellazione di un corso dedicato a Dostoevskij in un’università italiana: è stata una cosa sciocca, ma anche di poca importanza. D’altra parte, non vedo nulla di male nel rifiutare di lavorare con artisti russi che per anni si sono dichiarati amici di Putin. Non si può essere amici di un genocida.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria.

Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria di Irina Flige. A cura di Andrea Gullotta con traduzione di Giulia De Florio (Stilo Editrice, 2022). Il protagonista del libro di Irina Flige è Sandormoch (Carelia), la radura boschiva in cui, negli anni Novanta, Veniamin Iofe, Irina Flige e Jurij Dmitriev scoprirono la fossa comune dove era stata sepolta un’intera tradotta di detenuti del primo lager sovietico, sulle isole Solovki. Sandormoch è un luogo chiave per comprendere il ruolo della memoria storica nella Russia contemporanea e la battaglia ingaggiata dagli attivisti e storici indipendenti contro l’ideologia ufficiale. La scoperta di questa fossa comune e la creazione del cimitero commemorativo sono soltanto due “atti” della tragedia che ruota intorno a Sandormoch e che ha portato all’arresto e alla condanna di Jurij Dmitriev, attualmente detenuto in una colonia penale. Nella peculiare e coinvolgente narrazione di Flige, adatta anche a un pubblico di non specialisti, la memoria si fa vivo organismo, soggetto a interpretazioni, manipolazioni, cancellazioni e riscritture. Il trauma del Gulag si delinea così come il terreno di scontro tra uno Stato autoritario e repressivo e l’individuo libero che vuole conoscere la verità e custodire la memoria del passato. Irina Anatol’evna Flige (1960), attivista per i diritti civili e ricercatrice, collabora da anni con antropologi e storici per condurre ricerche legate alla scoperta e preservazione dei luoghi della memoria del periodo staliniano. Nel 1988 entra a far parte di Memorial, associazione all’epoca non ancora ufficialmente registrata. Ne diventa collaboratrice nel 1991 e dal 2002 ricopre la carica di direttrice di Memorial San Pietroburgo.

Leggi

Proteggi le mie parole

Proteggi le mie parole. A cura di Sergej Bondarenko e Giulia De Florio con prefazione di Marcello Flores (Edizioni E/O, 2022). «Due membri di Memorial (l’associazione insignita nel 2022 del Premio Nobel per la Pace) – Sergej Bondarenko, dell’organizzazione russa, e Giulia De Florio, di Memorial Italia (sorta nel 2004) – ci presentano una testimonianza originale e inedita che getta una luce inquietante, ma anche di grande interesse, sul carattere repressivo dello Stato russo, prima e dopo il 24 febbraio 2022, data d’inizio della guerra d’aggressione all’Ucraina. La raccolta che viene presentata comprende le ‘ultime dichiarazioni’ rese in tribunale da persone accusate di vari e diversi reati, tutti attinenti, però, alla critica del potere e alla richiesta di poter manifestare ed esprimere liberamente le proprie opinioni» L’idea del volume nasce da una semplice constatazione: in Russia, negli ultimi vent’anni, corrispondenti al governo di Vladimir Putin, il numero di processi giudiziari è aumentato in maniera preoccupante e significativa. Artisti, giornalisti, studenti, attivisti (uomini e donne) hanno dovuto affrontare e continuano a subire processi ingiusti o fabbricati ad hoc per aver manifestato idee contrarie a quelle del governo in carica. Tali processi, quasi sempre, sfociano in multe salate o, peggio ancora, in condanne e lunghe detenzioni nelle prigioni e colonie penali sparse nel territorio della Federazione Russa. Secondo il sistema giudiziario russo agli imputati è concessa un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a. Molte tra le persone costrette a pronunciare la propria “ultima dichiarazione” l’hanno trasformata in un atto sì processuale, ma ad alto tasso di letterarietà: per qualcuno essa è diventata la denuncia finale dei crimini del governo russo liberticida, per altri la possibilità di spostare la discussione su un piano esistenziale e non soltanto politico. Il volume presenta 25 testi di prigionieri politici, tutti pronunciati tra il 2017 e il 2022. Sono discorsi molto diversi tra loro e sono la testimonianza di una Russia che, ormai chiusa in un velo di oscurantismo e repressione, resiste e lotta, e fa sentire forte l’eco di una parola che vuole rompere il silenzio della violenza di Stato. Traduzioni di Ester Castelli, Luisa Doplicher, Axel Fruxi, Andrea Gullotta, Sara Polidoro, Francesca Stefanelli, Claudia Zonghetti.

Leggi

Queer Transnationalities. Towards a History of LGBTQ+ Rights in the Post-Soviet Space.

Queer Transnationalities. Towards a History of LGBTQ+ Rights in the Post-Soviet Space. A cura di Simone Attilio Bellezza e Elena Dundovich (Pisa University Press, 2023). Il volume è disponibile gratuitamente in versione e-book. With the end of Soviet persecutions in 1991, LGBTQ+ communities have experienced a period of development even though post-Soviet societies have only partially shown greater tolerance toward sexual and gender minorities. The transnational interaction between Western activism and post-Soviet communities has led to the emergence of new feelings of gender, sexual, and national belonging. This volume presents research by experts in queer studies who study how the struggle for sexual and gender minority rights has intersected with the construction of political, social, and cultural belongings  over the past three decades.

Leggi