(a cura di Jurij Volodarskij)
05 settembre 2022
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 15:25
L’articolo originale del critico letterario Jurij Volodarskij è stato pubblicato sul sito di Novaya Gazeta. Europa, ringraziamo la redazione per averne autorizzato la traduzione in italiano. Per conoscere tutte le novità della testata in lingua inglese si può seguire l’account Twitter o iscriversi alla newsletter. Tradotto da Ester Castelli, Sara Polidoro e FV.
Il 15 agosto dalla facciata dell’edificio giallo dell’Università statale di Kiev Taras Ševčenko è stata rimossa la targa commemorativa dedicata a Michail Bulgakov. Dietro questa iniziativa c’è Tat’jana Švydčenko dell’associazione “Ekspertnyj korpus”: “Bulgakov simboleggia la cultura russa – ha dichiarato Švydčenko – e non ha mai avuto nulla a che spartire con l’Ucraina, anzi: nelle sue opere infanga tutto ciò che ucraino lo è davvero. Ogni sua immagine rievoca l’epoca dell’occupazione russa, perciò dobbiamo sbarazzarcene quanto prima”.
Quanto accaduto ha suscitato clamore?
Sì e no.
Il polverone si è sollevato soprattutto nei siti russi. Tutte le testate filogovernative (non che in Russia ve ne siano altre, al momento) l’hanno qualificata come l’ennesima iniziativa russofoba, opera di nazionalisti ucraini. Altrettanto indignati per l’ennesimo attacco barbarico alla cultura russa in Ucraina si dicono i blogger pro-Cremlino. L’opposizione liberale, come al solito, si è mostrata fin troppo cauta: rimuovere i monumenti dedicati agli scrittori russi non è cosa da farsi, certo, ma gli ucraini sono vittime dell’aggressione russa e non vanno, perciò, giudicati.
Quanto all’Ucraina, la reazione è stata decisamente blanda. Le singole voci che si sono levate contro la rimozione della targa non si sono fuse in un sol coro. Fa soprattutto specie che i rappresentanti della Casa museo di Bulgakov a Kiev non abbiano proferito parola. Né hanno fiatato gli eminenti pubblicisti che prima avrebbero levato gli scudi in difesa dello scrittore e delle sue opere.
La targa commemorativa rimossa non è certo il monumento più significativo dedicato a Bulgakov. Era stata apposta in epoca abbastanza recente, nel giugno 2017, sul palazzo della facoltà di Lingue e Letterature dell’Università Ševčenko che ospitava un tempo il Primo liceo di Kiev, lo stesso che lo scrittore frequentò dal 1901 al 1909. Nella capitale ucraina vi sono altre due targhe dedicate a Bulgakov, nonché il famosissimo monumento sull’Andreevskij spusk, accanto alla già citata Casa museo.
L’opinione pubblica ucraina si divide, quanto a Bulgakov. Per una parte importante dei lettori russofoni rimane uno scrittore di culto, l’autore di uno dei romanzi russi più famosi (Il Maestro e Margherita), di una delle satire più sagaci sul mondo bolscevico (Cuore di cane) e di uno dei più importanti testi su Kiev (La guardia bianca).
Per i patrioti duri e puri ucraini, invece, Bulgakov è un innominabile, l’emblema di una cultura imperialista repressiva e, detto in soldoni, un ucrainofobo.
Chi ha ragione?
Gli uni e gli altri, direi.
In ambito letterario “snobbare” il Maestro e Margherita e sostenere che Bulgakov è uno scrittore sopravvalutato è ormai segno di bon ton. Ciò nonostante, il Maestro e Margherita resta uno dei romanzi più conosciuti in Russia, nei paesi dell’ex blocco sovietico e ben al di là dei confini dell’ex URSS. In più, grazie a La guardia bianca e a I giorni dei Turbin, a Kiev Bulgakov è considerato una sorta di genius loci. La sua casa al numero 13 dell’Andreevskij spusk, con accanto il monumento a lui dedicato, è una delle principali attrazioni della capitale.
La discussione sul rapporto Bulgakov-Ucraina non è nuova ed è molto accesa. I difensori dello scrittore sostengono che le sue dichiarazioni sprezzanti sul senso dello stato degli ucraini, sulla cultura e sulla lingua ucraine non sono espressione del pensiero dell’autore della Guardia bianca, ma dei suoi personaggi. Fatto sta che il tono degli scambi, l’evidente somiglianza fra Aleksej Turbin e Bulgakov nel romanzo, e gli aforismi che si possono estrapolare qua e là da altri suoi testi (ad esempio, le riflessioni sul linguaggio dei cartelli in un articolo satirico del 1923 “Kiev, città”), non lasciano adito a dubbi. Bulgakov guardava con alterigia – oltre che con scetticismo e ostilità – a tutto quello che era ucraino.
In tempo di pace sono cose a cui non si dà peso, ma in tempo di guerra le regole del gioco cambiano. Dal 2014 in poi, in Ucraina il numero di attacchi a Bulgakov è aumentato in modo esponenziale. Nel 2015 Oksana Zabužko, scrittrice molto nota in Ucraina, ha pubblicato un articolo – “Il maledetto problema delle abitazioni” – in cui chiama Bulgakov col nomignolo spregiativo di “Miška-venereologo” [Miška è il nome dell’orso in genere e dell’orsetto di peluche in particolare – N.d.t.]. Oksana Zabužko sostiene inoltre che la Guardia Bianca è stata scritta “seguendo i diktat del giornalismo bolscevico”, attribuisce a Bulgakov il “complesso del parvenu” e racconta che nella casa di famiglia dello scrittore non c’era neanche una biblioteca. La scrittrice insiste anche sul fatto che la casa dell’Andreevskij spusk non si dovrebbe chiamare “casa Bulgakov” perché in realtà era la casa dell’architetto Vasil’ Listovničiij, lo stesso che Bulgakov aveva rappresentato caricaturalmente nel personaggio di Vasilisa della Guardia bianca.
Nel 2019, poi, il monumento a Bulgakov è stato imbrattato con la vernice; in più, gli attivisti da tastiera chiedono periodicamente di chiudere la sua casa-museo. Nessuno, comunque, ha mai preso troppo sul serio queste iniziative.
Dallo scorso febbraio, però, in Ucraina l’approccio alla cultura russa è cambiato drasticamente.
Se già prima, nell’ambito di un pacchetto di leggi adottato dal Parlamento, erano state rinominate strade e città e demoliti quelli che erano considerati i simboli dell’era sovietica, compresi i monumenti a personaggi di partito e di governo russi, ora la sacrosanta decomunistizzazione si è trasformata in una lampante derussificazione. Dalle mappe delle città stanno scomparendo centinaia di nomi associati al passato impero, ivi compresi quelli di scrittori, artisti e musicisti russi. Negli ultimi mesi, a Užhorod, Ternopil’, Mukačevo, Konotop, Černihiv, Deljatyn, Oleksandrija, Mykolajiv e Zaporižžja sono stati smantellati tutti i monumenti a Puškin, considerato il principale simbolo della cultura russa. I libri degli scrittori russi vengono rimossi dalle biblioteche e i classici russi non compaiono più nei programmi di studio scolastico.
Sempre più spesso la lingua russa viene bollata come “lingua del nemico”. E un numero enorme di russofoni parla ucraino (sempre, o quasi) almeno in pubblico.
L’atteggiamento fortemente negativo verso il retaggio russo, in precedenza tipico della cerchia ristretta dei patrioti tutti d’un pezzo, ora si estende ad ampie sacche della popolazione.
Un esempio lampante: se in passato l’idea di abbattere il monumento a Caterina II, a Odessa, sembrava irrealizzabile, ora l’ipotesi viene avallata non solo dalle decine di migliaia di cittadini che hanno firmato l’apposita petizione, ma persino dal presidente Zelensky, che ha esortato il consiglio comunale di Odessa a vagliare la questione e a prendere una decisione in linea con i principi di “difesa degli interessi nazionali”.
La rimozione della targa commemorativa di Michail Bulgakov è, dunque, solo un piccolo dettaglio dell’enorme mosaico dal titolo “Cancelliamo tutto ciò che è russo dall’Ucraina”. Il mosaico suddetto è ancora in fase di assemblaggio, ma non c’è motivo di dubitare che vi si aggiungeranno nuove tessere.
Come guardare a quanto accade?
Dipende di chi sono gli occhi.
Se sei uno sciovinista russo, lo sguardo sarà d’odio. La cancellazione della cultura russa in territorio ucraino sarà per te una prova ulteriore del trionfo in quei luoghi dell’oscurantismo, della furia nazista e di varia – furiosa – russofobia.
Se sei un nazionalista ucraino, gli occhi saranno pieni di gioia. Finalmente il tuo paese si sta sbarazzando del giogo dell’eredità imperiale, dell’influenza perniciosa e putrescente di un’altra cultura, della lingua degli aggressori e degli assassini.
Se non sei né l’uno e né l’altro, mi azzardo a presumere con un alto grado di verosimiglianza che qualche difficoltà nel guardare al processo di derussificazione totale dell’Ucraina la starai incontrando. Perché se anche condanni la guerra senza se e senza ma e credi che, in quanto vittime di un’aggressione feroce, agli ucraini sia tutto permesso, la notizia dell’ennesimo colpo di spugna sulla cultura russa in Ucraina non sarà comunque una notizia piacevole.
E se anche fossi mille volte dalla parte di un’Ucraina che difende strenuamente la propria libertà e indipendenza, la rimozione della targa a Michail Bulgakov sarà probabilmente ragione di una segreta, proditoria tristezza. Se, in più, sei anche un profondo conoscitore della biografia dello scrittore, ricorderai di certo una sua cupa battuta in ucraino maccheronico: “Buv-Gakov, nema Gakova” (in un periodo non semplice della sua vita di scrittore, Bulgakov riferì all’amico Boris Livanov un sogno che aveva fatto in cui il suddetto si avvicinava a lui, morto, e gli sussurrava appunto “Buv Gakov, nema Gakova”, giocando con il verbo essere – buv, appunto. Qualcosa del tipo, “sei stato Bulgakov (quello osannato della Guardia Bianca e dei Giorni dei Turbin), e ora, invece, non sei nulla”. La situazione in cui versava lo scrittore e quello strano sogno lo spinsero a tentare qualcosa di estremo e “salvifico”: scrisse perciò Batum, testo teatrale su un aneddoto della vita di Stalin. Non bastò – N.d.t.).
Bulgakov c’era e ora non c’è più. E non c’è niente da fare.
Ma è così importante, con una guerra in corso? Al diavolo la cultura russa, accidenti!
O forse no.