Il niet ai visti ci riporta all’Urss 

La volontà dell’Occidente di chiudere ai russi le porte dell’Europa e del mondo (anche gli Usa, com’è noto, hanno praticamente smesso di rilasciare visti ai russi) è un grandissimo errore strategico che avrà conseguenze profonde non solo sulla Russia, ma sul mondo intero.

Immagine di Фотобанк Moscow-Live


31 agosto 2022 
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 15:23


Per favorire una discussione sul tema, Memorial Italia ripropone in italiano la reazione della giornalista russa Zoja Svetova, cavaliere della Legion d’Onore francese, che da Mosca ha commentato per Le Monde le notizie relative alle proposte di forti limitazioni nella concessione dei visti turisti ai cittadini russi da parte dell’Unione europea. Su questo complesso problema sono già intervenuti molti commentatori autorevoli, si pensi solo agli articoli usciti su Bloomberg o sul Financial Times. Pur comprendendo la legittima indignazione per alcuni episodi di cronaca che hanno coinvolto cittadini russi all’estero, si ritiene che si tratti di un argomento che andrebbe affrontato con la massima cautela per non privare i cittadini russi di una delle poche occasioni che in questo momento hanno di sottrarsi alle spire di un regime sempre più totalitario.

Tradotto da Giulia De Florio, Sara Polidoro e Claudia Zonghetti.


A fine agosto i ministri degli Esteri dei paesi membri dell’Unione europea si riuniranno – pur se in modo informale – a Praga per discutere il blocco dei visti per i cittadini della Federazione Russa. Secondo diverse testate la Repubblica Ceca, attuale presidente di turno dell’Unione europea, avrebbe intenzione di sostenere la soluzione più radicale, proponendo ai paesi UE di annullare tutti i visti turistici per i russi nei paesi Schengen. Io che sono una giornalista russa e che vivo a Mosca, a questa “crisi storica” – se non “isterica” – dei visti assisto da lontano.


“Visitare l’Europa è un privilegio e non un diritto” – questa la dichiarazione della premier estone Kaja Kallas. La prima conseguenza di questa affermazione è che Tallinn non autorizza più l’ingresso nel paese nemmeno ai russi a cui l’Estonia stessa aveva rilasciato un visto Schengen. Si può presumere che a breve Tallinn non farà entrare in territorio estone neppure i cittadini russi in possesso di un visto Schengen rilasciato da altri paesi UE. E con gli stati baltici che non emettono più visti, Danimarca e Finlandia hanno scelto di fare altrettanto.


La questione visti sembrerebbe avere una sola ragione: l’Occidente non vuole più avere a che fare con i russi perché la maggior parte di loro sarebbe a favore del proprio governo e dell’operazione speciale in Ucraina. Credo sia inutile far presente che in un paese totalitario è impossibile sapere con esattezza la percentuale di cittadini che sostengono o meno il potere, dato che i sondaggi sono assolutamente inaffidabili.


Quanto all’idea dei cosiddetti “visti umanitari”, richiede sofisticati sforzi d’ingegno, dato che per ottenerne uno bisogna essere in grado di dimostrare a un consolato occidentale di essere oppositori del regime. E come fa a dimostrare una cosa simile un 17-18enne che, per paura di essere chiamato sotto le armi, cerca di ottenere il visto per un paese europeo per andarci a studiare, a lavorare, a raggiungere i parenti e via discorrendo?


Per farla corta: se hai avuto la sfortuna di nascere in Russia, ti tocca soffrire anche se per tutta la vita li hai sognati per il tuo paese, gli standard europei di democrazia. E ti tocca soffrire per colpa del tuo vicino di casa che sostiene Putin, o Stalin o il ritorno dell’impero sovietico in genere. E per questo sarai punito. Anche se sei sceso in piazza e hai passato qualche ora (o qualche notte) in questura. Se poi in piazza ci sei sceso, ma per puro caso non ti hanno arrestato né hai rilasciato dichiarazioni ai media dell’opposizione, come fai a dimostrare che hai diritto al visto umanitario?,


Negli anni Novanta, quando nella Russia post-sovietica la cortina di ferro si aprì e centinaia di migliaia di persone dell’ex impero si riversarono in Occidente per viaggio, lavoro o studio, lo strappo fu drastico e provocò grandi cambiamenti nei cittadini sovietici, agendo in particolare su chi era nato all’inizio o a metà degli anni Ottanta, ovvero sugli attuali quarantenni che oggi rappresentano in tutto il mondo la Russia del futuro. Molti di loro, infatti, dopo il 24 febbraio 2022 hanno lasciato la Russia.


A mio parere, la volontà dell’Occidente di chiudere le porte dell’Europa e del mondo (anche gli USA, com’è noto, hanno praticamente smesso di rilasciare visti ai russi) è un grandissimo errore strategico che avrà conseguenze profonde non solo sulla Russia, ma sul mondo intero.


Gli intellettuali occidentali rimproverano a noi intellettuali russi (e penso all’articolo di Jonathan Littell su Le Monde) di non aver avuto un nostro “Majdan” e di non aver rovesciato il regime. Chi sputa queste sentenze dimentica quanto è successo in Russia negli ultimi 22 anni. E dimentica che dopo il 24 febbraio 2022 centinaia, migliaia di persone in tutto il paese sono scese in strada e hanno partecipato a picchetti e manifestazioni. E che dopo ogni protesta fra gli attivisti per i diritti civili si sono contati centinaia, se non migliaia di arresti e violenze da parte della polizia.


Alcune centinaia sono a tutt’oggi anche i fascicoli aperti in Russia in base al cosiddetto “articolo sulle fake news” (207.3) del Codice penale russo, vale a dire quello che punisce per “diffamazione e calunnia ai danni dell’esercito russo”. Tutti i leader dell’opposizione sono stati arrestati. L’opposizione in sé, in Russia, è stata azzerata.


Politici “contro” come Il’ja Jašin e Vladimir Kara-Murza sono già in prigione. La mattina del 24 agosto scorso è stato fermato l’ex sindaco di Ekaterinburg ed ex deputato alla Duma di Stato Evgenij Rojzman (“l’ultimo moschettiere della politica russa”, come lo chiamano tutti). È accusato ex articolo 280.3 (“azioni pubbliche volte a screditare l’impiego delle forze armate”). 


Gli avvocati che difendono i detenuti politici riferiscono che i giudici svolgono – illegalmente – i processi a porte chiuse e vietano l’accesso in aula persino ai parenti degli imputati (cosa che non accadeva nemmeno con Brežnev, ma che era la prassi durante le repressioni staliniane), che le imputazioni riguardano “parole proibite e toponimi” legati a quanto succede in Ucraina, e che secondo certi parametri le condanne per i nuovi dissidenti russi assomigliano molto a quelle dei tempi di Stalin. A tutt’oggi è stata emessa una sola sentenza, quella contro Aleksej Gorinov, deputato del municipio di Mosca condannato a 7 anni di reclusione. Sette anni per avere aperto bocca. 


Chi critica i russi dimentica anche che le tenebre che avvolgono il mio paese e quelli dintorno non sono comparse dal nulla nel febbraio del 2022. Quelle tenebre hanno cominciato ad addensarsi molto prima, vale a dire con le due guerre cecene e gli edifici che saltavano in aria in diverse parti della Russia. 


A fermare la prima guerra cecena ci provò Boris Nemtsov con una raccolta di firme per ritirare le truppe. E il 27 febbraio del 2017 Boris Nemtsov si prese qualche pallottola a ridosso del Cremlino. La seconda guerra, invece, provò a fermarla una mia collega: Anna Politkovskaja. Che finì ammazzata nell’androne di casa sua il 6 ottobre del 2006.


Dal canto suo l’Occidente non ha mai messo bocca nelle guerre cecene: né nella prima né nella seconda. Erano “questioni interne” della politica russa, sosteneva. Né ha interrotto le relazioni (commerciali e non solo) con Mosca nel 2008, in seguito alla guerra in Georgia. L’Occidente e i suoi leader hanno mantenuto rapporti assai stretti con il Cremlino e hanno continuato indisturbati a comprare gas e petrolio anche quando si è saputo dei primi prigionieri politici, delle minacce alla libertà di parola, a una giustizia libera e a libere elezioni (di fatto sparite tutte).


Con l’annessione della Crimea nel 2014 qualcosa sembrava essersi mosso e l’Occidente sembrava avere mangiato la foglia: qualcosa in Russia non andava per il verso giusto e i paladini dei diritti civili che chiedevano maggiore attenzione sul potere e la quotidianità del proprio paese non erano esattamente dei pazzi.


Peccato, però, che fosse già troppo tardi e che, avendo altre gatte da pelare, i leader occidentali abbiano presto tirato una bella croce sulla Russia. Un altro – pur lieve – soprassalto l’Occidente l’ha avuto due anni fa con l’avvelenamento di Aleksej Naval’nyj, l’oppositore russo più noto.  Con le bombe di quest’anno si sono ovviamente svegliati un po’ tutti, ma il fulcro della “colpa collettiva” sono diventati i russi. Tutti i russi.


Ora, poi, alcuni leader occidentali vorrebbero tirar su una nuova cortina di ferro riportando definitivamente in vita l’Unione sovietica. Senza aspettare che lo faccia il Cremlino. Che dire? Come sono sopravvissuti coloro che vivevano ai tempi dell’Unione Sovietica sopravvivremo anche noi che in Russia ci viviamo ora. Il punto, però, è che la nuova cortina di ferro e la “cancellazione” dei russi e di tutto ciò che è russo non serviranno allo scopo di fermare l’operazione speciale in Ucraina.


E dunque perché i paesi dell’Unione europea abdicano ai propri stessi principi? Per una famigerata “responsabilità collettiva”? Per punire tutti i russi per le scelte di chi li governa e che loro – magari – nemmeno sostengono e nemmeno hanno votato?

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