“Putin si ispira alla Cina. L’Occidente più che ingenuo, è ignorante”. Conversazione con Radka Denemarková

La storia vista dal punto di vista delle vittime: "Odio l’espressione 'dobbiamo guardare alla situazione dal punto di vista geopolitico' e replico sempre che invece la situazione va osservata dal punto di vista umano" .

(di Alessandro Catalano, professore di lingua e letteratura ceca presso l’Università di Padova e socio di Memorial Italia)


14 luglio 2022 
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 13:12


La scrittrice Radka Denemarková rappresenta una delle voci più lucide dell’attuale letteratura ceca, ha vinto numerosi premi internazionali (in questi giorni il Brücke Berlin Preis) e si è espressa più volte in modo molto esplicito sui temi dibattuti negli ultimi mesi. In italiano sono stati tradotti i romanzi I soldi di Hitler, sul complesso processo di denazificazione dopo la Seconda guerra mondiale (Keller 2012), e Contributo alla storia della gioia, sulla onnipresente violazione del corpo femminile nella storia (Sovera 2018). L’editore Miraggi ha ora affidato a Laura Angeloni la traduzione del suo ultimo romanzo, il monumentale Ore di piombo, che riflette tra le altre cose i soggiorni della scrittrice in Cina.


Radka Denemarková (Foto di Metod Bočko – Author’s archive, CC BY-SA 4.0)


Ogni volta che esce un suo libro, nel mondo succede quello che in qualche modo i suoi romanzi avevano anticipato, come se la sua scrittura riuscisse a cogliere qualcosa che si avverte nell’aria. Secondo lei da che cosa dipende?


Io credo che dipenda dal fatto che cerco di indagare, sempre dal punto di vista delle vittime, le forme del male, cerco di comprendere da dove proviene, per individuare una possibile strategia per combatterlo, in questo forse sono anche un po’ ingenua. A suo tempo I soldi di Hitler ha sollevato reazioni molto controverse, ad esempio, ma poi l’espulsione dei tedeschi dalla Cecoslovacchia nel dopoguerra è stata oggetto di una vera e propria ondata di romanzi sul tema, al punto che mi è quasi venuta voglia di mostrare l’altra faccia della medaglia.


Anche nel romanzo Contributo alla storia della gioia ha affrontato un tema purtroppo nuovamente attuale, come quello della violenza a sfondo sessuale sulle donne.


Questo è un altro esempio dello stesso problema, sembra che il tema sia divenuto attuale solo sulla scia del movimento MeToo. E anche questo mi dà un certo fastidio perché queste questioni sono sempre esistite, senza mai essere considerate, o meglio senza mai essere comprese nel giusto contesto. Nel mio modo di scrivere cerco invece di trovare una sintesi, di mostrarle come parte di interrogativi molto più complessi, che cos’è l’uomo, l’umanità. Il tema della violenza sulle donne ora è naturalmente di nuovo attuale in tutta la sua brutalità, siamo circondati dalla violenza sessuale messa in atto dai soldati, da questo punto di vista il corpo è un’arma a tutti gli effetti.


E in fondo anche il caso della Cina è molto simile.


Proprio così. Quando ho scritto il romanzo Ore di piombo nessuno ne capiva il senso. Perché una scrittrice ceca dovrebbe scrivere un romanzo sulla Cina? Poi piano piano se ne è iniziato a parlare, ora sono temi più discussi, non solo a proposito del Tibet e questioni del genere; detto questo, però, ne sappiamo ancora troppo poco. Alcuni casi in particolare hanno attirato l’attenzione, ad esempio quello della tennista scomparsa, ma quante persone in Cina scompaiono senza che se ne sappia più nulla? È una punizione normale per chiunque si opponga alla politica del governo, molti però se ne rendono conto solo quando vengono mostrate le fotografie dei campi di concentramento. E invece di campi di lavoro ce ne sono molti e di tipo diverso.


Per tornare alla domanda iniziale sui miei romanzi, sento il bisogno di analizzare la situazione e allo stesso tempo di provare a mettere in guardia dal pericolo. Ovviamente spesso mi rendo conto che non è possibile, ma non fa niente, io continuerò a farlo. Nell’ultimo romanzo ho sentito l’esigenza di richiamare l’attenzione su questi nuovi totalitarismi, sulle caratteristiche profonde di questi nuovi sistemi. Nuovi nel senso che hanno a disposizione una tecnologia molto più raffinata, oggi la propaganda ha un potere enorme, la disinformazione è molto più efficace, il lavaggio del cervello e la sorveglianza delle persone sono molto più pervasivi… È interessante quanto poco ci si renda conto di tutto questo.


Nel suo ultimo romanzo, lei ha dedicato passaggi importanti alla propaganda: “La propaganda non è che una bugia collettiva e le calunnie collettive non c’è modo di estirparle. La bugia è un camaleonte rieducabile; le bugie collettive non si estinguono”. E riferendosi all’invasione della Cecoslovacchia: “i cervelli lavati credevano e ancora credono di essere intervenuti in difesa della Città di Praga contro l’aggressione dei soldati revanscisti della Germania occidentale. Credevano e ancora credono di aver evitato all’umanità la terza guerra mondiale”. Ma perché siamo così indifesi di fronte a questa minaccia, anche quando la propaganda è così trasparente?


Ho l’impressione che il problema sia sempre lo stesso, la verità è una cosa scomoda, che può anche far male. Per raggiungere la verità bisogna sempre dubitare e chiedersi il perché, cercare nuove informazioni e correggere le proprie convinzioni. Mentre le agenzie che oggi sono pagate per diffondere la disinformazione nel mondo hanno anche ottimi psicologi e sanno bene come creare una storia comprensibile, facilmente giudicabile da chi, come noi, non ne è parte. È una cosa che mi ha colpito già nel periodo della pandemia e ancora più evidente è nel caso di tutta la fabulazione legata a Donald Trump: quante persone ci hanno creduto anche nella Repubblica ceca! Allora mi sono detta che molti di noi hanno davvero bisogno di storie semplici, ambientate in paesi lontani, storie molto trasparenti, come le favole. Anche ora, nel XXI secolo, sono tanti quelli che non vogliono sentir parlare di guerra, di sepolture di massa, violenza sulle donne, cambiano subito tema e iniziano “ma l’America…”, “ma la Nato…”. È come se in molti sopravviva quest’istinto, che forse risale a milioni di anni fa, di credere sempre a chi è più forte. E più forte è chi detiene il potere, chi prende le decisioni, chi sopravvive. Basti pensare che le serie televisive che parlano delle vittime dei serial killer non hanno grande successo, mentre tutti sono affascinati dagli assassini, leggono libri su Hitler, Göring etc. Si tratta purtroppo di qualcosa di molto più profondo, nella storia il principio della colpa collettiva ha sempre funzionato. Le informazioni sono sempre state diffuse e replicate senza controllo. E oggi tutto questo è semplicissimo, vengono prodotte con grande professionalità storie comprensibili, che iniziano sempre con una mezza verità.


L’ultima volta che ci siamo visti online, nel giugno del 2020, la situazione sembrava molto complessa, ma non immaginavamo che si sarebbe aggravata fino a questo punto con lo scoppio della guerra in Ucraina. Ma è del tutto vero che nessuno lo avesse intuito?


Io ho un atteggiamento molto radicale e, per quanto mi riguarda, posso dire che senz’altro appartengo a coloro che sapevano bene quello che sarebbe successo. Ora mi ha piacevolmente sorpreso che dalla Germania mi abbiano chiesto i brani riguardanti l’Ucraina contenuti nel romanzo Ore di piombo, ma già in un’intervista del 2014 avevo parlato in modo molto esplicito dei pericoli legati a questa mentalità. Chi voleva vedere, ha senz’altro capito da tempo che Putin non si sarebbe fermato e che la guerra era alle porte.


Nel suo ultimo romanzo Ore di piombo mi ha colpito la frase: “La Russia cova ancora sopita nel suo inconscio l’enorme superpotenza dell’Unione Sovietica, e tratta gli ex stati dell’Unione e i paesi che erano sotto la sua influenza ideologica con lo stesso rapporto di forza che un’azienda madre riserva alle sue filiali”.


Non era certo un segreto che l’ambizione di Putin fosse da tempo quella di riportare i confini a quelli dell’Unione sovietica. Sembra essere convinto che tutti i paesi un tempo satelliti, ancora gli appartengano. Basti pensare all’atteggiamento aggressivo in politica interna, ma lo stesso vale anche per la politica estera. E l’Occidente ha sempre chiuso gli occhi, pensando che bastasse inglobare la Russia nei propri meccanismi economici per mitigarne l’aggressività, ma questo non succederà mai. La politica estera russa è sempre la stessa, in Georgia, Siria, così come oggi nel caso dell’Ucraina. Io sono molto contenta di capire il russo e poter così seguire i media russi, è in atto un lavaggio del cervello che ormai dura da parecchio tempo. Putin si è evidentemente ispirato alla Cina, dove il controllo non è limitato solo ai media, ma si espande anche a internet, e piano piano, un anno dopo l’altro, sono stati erosi ampi spazi di libertà, prima di tutto i media, ma è emblematico anche il caso di Memorial, un’associazione che definiva molto chiaramente cosa fosse la libertà e per questo è stata proibita. Il parallelismo con la Cina è del tutto evidente, si tratta di un paese che osservo attentamente e Putin ha più volte fatto accenno a un’unione euroasiatica incentrata su Mosca, che piano piano sembra espandersi a tutta l’Europa, un insieme di valori che evidentemente dà molto fastidio a Putin. E la Cina ha un piano molto simile, un’unione asiatica incentrata su Pechino. Tutti i dittatori del mondo si comportano allo stesso modo, viene sempre lasciato loro il tempo di prepararsi con calma, e si fermano solo di fronte alla forza. La reazione di alcuni paesi europei, penso ad esempio alla Germania, è stata per me scioccante. Il modo in cui si cerca di negare, di non reagire, e mi trovo spesso nella condizione di dover ripetere che la realtà è che uno stato ne ha aggredito un altro. Un’altra narrazione dominante è che Putin si sia radicalizzato solo negli ultimi anni, ma non è vero. Di recente, ad esempio, in Lussemburgo ne ho discusso con Jean-Claude Junker, che mi ha detto che nel corso delle discussioni Putin era una persona affabile. Io ho ribattuto che quando c’è bisogno di trattare, lo sono tutti. Da questo punto di vista l’Unione Europea deve ricominciare da capo, mostrare chiaramente che cos’è l’Europa, quali sono i suoi valori.


La casa editrice Miraggi sta traducendo in italiano il suo ultimo romanzo, Ore di piombo, che riflette l’attuale situazione della Cina ed è caratterizzato da uno sguardo molto preoccupato nei confronti del nuovo imperialismo russo.


Il piano di dividere l’Europa è, nel caso di Putin, molto evidente, lo dimostra tutto il lavoro della propaganda, che ha ricevuto un aiuto molto consistente dalla pandemia. Ingenuamente molti hanno pensato che peggio di così sarebbe stato impossibile. Uno dei problemi principali è rappresentato dall’incapacità assoluta di comprendere che cos’è il totalitarismo, una situazione che sono contenta di aver vissuto sulla mia pelle. A questo proposito mi viene sempre in mente un episodio che riguarda mio padre. Una persona gentile e tollerante, ma ricordo di averlo visto fuori di sé, nel 1986, in occasione di una visita arrivata dalla Germania ovest. I suoi conoscenti erano entusiasti di quello che vedevano, Praga magica, la birra che costava poco, tutto costava poco, e non riuscivano assolutamente a comprendere che cosa fosse il totalitarismo e mio padre non era riuscito a spiegarglielo. E ho l’impressione che sia esattamente quello che accade adesso, quando uno va in vacanza in Cina o in Russia non capisce che il totalitarismo non è un qualcosa che si vede a prima vista, che si trova in mezzo alla strada. Anche gli intellettuali hanno fallito, pensiamo solo a quanti giornalisti sono morti in Russia negli ultimi anni, non si tratta certo di una novità. Odio l’espressione “dobbiamo guardare alla situazione dal punto di vista geopolitico” e replico sempre che invece la situazione va osservata dal punto di vista umano, cosa è concesso e cosa è proibito alle persone nei singoli paesi. All’inizio credevo che l’Occidente fosse ingenuo, noi in fondo abbiamo fatto l’esperienza sulla nostra pelle e altri no, e alla fine noi dell’Est sappiamo molto più dell’Ovest di quanto all’Ovest sappiano di noi, ma poi ho capito che non si tratta di ingenuità, dovremmo usare la parola: ignoranza. La maggior parte delle persone vuole solo mantenere il proprio benessere, il proprio modo di vivere consumista.


C’è stata una reazione molto differente nei confronti dell’invasione dell’Ucraina in Italia e nella Repubblica ceca, dove chiaramente già nel 2014 si era riattivato il ricordo dell’analoga invasione della Cecoslovacchia nel 1968. Negli ultimi anni la politica ceca non aveva dato il meglio di sé, secondo lei qual è la causa di questo cambiamento?


Lei sa bene che sono temi di cui ho parlato più volte. Certo, questo è tutto vero, il cambiamento è iniziato l’anno scorso, la prima reazione forte c’è stata nei confronti della palude politica in cui ci avevano gettato esponenti di primo piano, dal presidente Miloš Zeman all’ex presidente del consiglio, un oligarca che aveva forti legami con i servizi segreti prima del 1989, Andrej Babiš. Evidentemente avevano superato il limite perché non hanno vinto le elezioni, questo significa che abbiamo un governo diverso. Poi naturalmente l’Ucraina è molto vicina. Comunque non mi farei troppe illusioni. Di ucraini qui ce ne sono stati moltissimi anche in passato, purtroppo spesso brutalmente sfruttati. La solidarietà è quindi legata, oltre alla loro presenza qui, soprattutto al fatto che è un pericolo che riguarda anche noi, perché è una situazione che abbiamo già vissuto con l’occupazione del 1968. Ed eccoci di nuovo al discorso della lingua, ora si parla di “operazione speciale”, da noi si parlava di “aiuto fraterno”. E poi l’esercito russo è rimasto qui per tutto il tempo. Questo significa che il nostro spazio geografico ha sperimentato il pericolo rappresentato dalla Russia o dall’Unione sovietica, la mentalità ci è purtroppo ben nota. Ogni volta che hanno l’impressione che uno di questi piccoli paesi si comporti in modo anomalo, intervengono militarmente. È il tipico modo di fare delle grandi potenze. Come ha detto una volta Putin, l’Unione europea è composta da nani, il che dimostra che non ci prende troppo sul serio. Poi giocano un ruolo importante molti altri fattori, basti pensare alla crisi migratoria, quando non abbiamo accolto praticamente nessuno. Stavolta ho invece l’impressione che le persone capiscano la situazione, mentre allora nessuno capiva perché fosse giusto dare asilo ai siriani, che scappavano anche loro da una guerra. Ora il governo comunica in modo chiaro, analoga è del resto la situazione anche in Polonia, un altro paese che un tempo ha rifiutato i migranti e oggi è a capo di questa ondata di solidarietà.


La situazione si è in parte rovesciata, ora si tratta di una storia molto meno comprensibile in Italia, paesi lontani, dalla storia troppo complessa, che parlano lingua insolite e simili tra loro…


Penso che lei abbia ragione, per noi qui è molto forte la sensazione che anche noi potremmo andare a finire così, lo sentiamo come un serio pericolo. Io faccio sempre esempi forti, la Germania che invade l’Austria o Putin che invade l’Italia, per verificare se anche in questo caso avrebbero luogo le stesse discussioni. Spesso invece sembra che molti, invece di voler prima di tutto fermare Putin, lo vogliano quasi aiutare, comprendere, se non addirittura scusare. Molti potrebbero semplicemente dire: abbiamo sbagliato, ci scusiamo. E invece è come se volessero togliersi ogni colpa. Ma ormai è comunque tardi, non c’è altro modo di fermare Putin che quello militare. E sarebbe davvero importante che l’Occidente ascoltasse quello che ha da dire chi ha fatto esperienza dell’enorme quantità di menzogne, manipolazione e brutalità che sta accompagnando ora anche la guerra in Ucraina.

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