Rifugiati in Russia, solo i “bravi ucraini” ricevono soldi. Intervista a Svetlana Gannuškina

La responsabile dell'organizzazione russa per rifugiati "Comitato per l’assistenza al cittadino": "Ricevere questi soldi è come un marchio di qualità".

Immagine di Fotobank Moscow-Live


08 luglio 2022 12:06


La presente intervista è stata pubblicata originariamente in russo su Čerta il 20 giugno 2022; l’originale può essere consultato a questo link. Ringraziamo la redazione per l’autorizzazione a tradurlo in italiano.

Tradotto da Ester Castelli.


In oltre 30 anni di attività, l’organizzazione russa per rifugiati “Comitato per l’assistenza al cittadino” (Graždanskoe sodejstvie) non ha mai dovuto affrontare un periodo impegnativo come quello odierno: se ci atteniamo alle stime ufficiali russe, nel nostro paese è arrivato un milione e mezzo di persone in fuga dalla guerra. “In tre mesi il Comitato ha ricevuto più richieste di quante non ne ricevesse di solito in un anno”, sostiene Svetlana Gannuškina, la responsabile dell’organizzazione, nell’intervista rilasciata a noi di Čerta. Nei periodi di pace la Russia era considerata un possibile rifugio solo in occasioni sporadiche. La guerra in Ucraina e le centinaia di migliaia di persone che arrivano qui anche indipendentemente dalla loro volontà non hanno certo reso il paese più accogliente. In occasione della giornata mondiale del rifugiato, Gannuškina ci ha spiegato a chiare lettere che cosa sta succedendo.


Svetlana Gannuškina di profilo
Svetlana Gannuškina. Foto: Fotobank Moscow-Live


Com’è cambiato dal 24 febbraio il lavoro del Comitato di Assistenza al cittadino?


Il fiume di rifugiati dall’Ucraina, soprattutto all’inizio, quest’enorme ondata di rifugiati è stata un impegno colossale. Le storie che sentiamo ricordano quelle che ci raccontavano dopo le operazioni militari in Cecenia o in Siria. Ora come ora i nostri sforzi sono per lo più finalizzati a trovare fondi. E abbiamo ricalibrato alcuni dei nostri progetti orientandoli all’assistenza diretta. Va detto che i nostri connazionali hanno iniziato ad aiutare attivamente i rifugiati, che la comprensione e la compassione sono aumentate. In gennaio abbiamo raccolto 450.000 rubli di donazioni, in febbraio 550.000. La crescita successiva è stata esponenziale: a marzo abbiamo ricevuto 2.000.000 di rubli, ad aprile 2.500.000, a maggio quasi 7.000.000. Di solito nel nostro paese la gente non sostiene le organizzazioni che aiutano i rifugiati: la chiamano “xenofobia fisiologica”. È un sentimento contraddittorio, dice qualcuno, ma la scienza che studia il comportamento animale afferma che il diverso da sé non suscita simpatia, ma piuttosto l’inverso.


Dall’inizio della guerra quanti sono i rifugiati che si sono rivolti a voi?


Dall’Ucraina abbiamo già accolto più di tremila persone. È il numero che di solito raggiungiamo in un anno.


Fonti ufficiali sostengono che sono oltre un milione e mezzo i rifugiati ucraini entrati in Russia: la ritiene una stima affidabile?


Sì, è plausibile. Forse un po’ alta, da quello che posso valutare considerando il numero di persone che si rivolgono a noi.


Quali sono i principali problemi che vi sottopongono?


Tutti i problemi possibili… Difficoltà legali, soprattutto: per la fretta, molti rifugiati non hanno con sé nemmeno i documenti. Dunque, l’assistenza legale è la prima cosa: spieghiamo loro dove e come fare domanda. Un altro problema è che tutti i documenti devono essere tradotti. Una logica che non capisco, visto che il testo è perfettamente comprensibile. Alcune procedure richiedono però una traduzione autenticata anche se il passaporto è tradotto in russo. Oppure a volte serve la traduzione autenticata dei timbri: una cosa veramente senza senso… Il problema peggiore, comunque, sono le persone scomparse mentre attraversano il confine. I “filtrati”. I casi non sono molti, ma sono terribili. Se una persona non riesce ad attraversare il confine, ritrovarla diventa quasi impossibile. Sappiamo che alcuni sono in prigione. Ma ci sono casi di persone scomparse senza lasciare traccia: i parenti non sanno dove si trovano. È una situazione che definirei grottesca: il resto della famiglia passa il confine, ma qualcuno viene trattenuto e arrestato. Dobbiamo poter informare la famiglia di ciò che sta succedendo. Un esempio. Una ragazza viaggia col fratello: lui non viene fatto passare. La ragazza chiede al militare armato alla frontiera che cosa succede a chi non passa il “filtro”. E lui le risponde, sorridente: “Dopo dieci a cui ho sparato, mi sono stufato di contare.” Bella battuta, no? Di recente una donna che aveva passato il confine ci ha riferito di aver visto diverse persone con le mani legate dietro la schiena. Evidentemente, erano quelli che non avevano passato il “filtro”. È una situazione che definire opaca è poco: è decisamente fosca. Non riusciamo a ottenere informazioni nemmeno attraverso l’ufficio di Tatjana Nikolaevna Moskalkova, il commissario per i diritti umani. Nessuno risponde di niente. Tutto dipende dalle mani in cui si capita: c’è chi supera il “filtro” in venti minuti, e a qualcun altro toccano sei ore di interrogatorio. Per le donne, poi, si arriva alle battute sconce: su, una donna sola con cinque uomini armati…


Una volta arrivati, come si ambientano?


Ci sono quasi sempre problemi di alloggio. Le persone che vengono a Mosca, per esempio, si rivolgono a noi perché a Mosca di fatto non li vuole nessuno. In certi casi siamo riusciti a mandare qualcuno nei centri di accoglienza temporanea grazie al Ministero delle situazioni di emergenza, ma a un certo punto il Ministero ha smesso di aiutarci. Un esempio: di recente più di trenta persone sono arrivate alla stazione Kazanskaja dalla Crimea alle quattro del mattino. Non c’era nessuno ad accoglierli, e loro non avevano niente. Alle sei ci hanno contattato, una nostra collaboratrice ha risposto e mi ha subito svegliata. Ho contattato la nostra coordinatrice, che era nelle vicinanze ed è andata subito alla stazione: ha comprato del cibo, ha dato loro dei soldi ed è riuscita anche a trovare i pannolini per i bambini. Poi ho scritto alla Moskalkova, che mi ha richiamato dopo neanche tre minuti. Abbiamo entrambe interpellato il Ministero per le situazioni di emergenza, ma le informazioni ricevute sono risultate contrastanti. A lei è stato detto che quelle persone erano arrivate qui di propria iniziativa e si sarebbero stabilite a Mosca autonomamente. Ma se fosse stato veramente così, si sarebbero dirette subito in città e non si sarebbero aspettate di trovare qualcuno ad accoglierli alla stazione, no? Invece a noi il Ministero ha raccontato che avevano effettivamente mandato degli incaricati ad attenderli, ma che avevano sbagliato giorno. Da parte loro i rifugiati sostenevano di essere stati convinti a venire a Mosca, con tanto di promesse di aiuto. Io sono più propensa a credere a loro. Quale che fosse la verità, queste persone alla fine sono state accolte ed è stato trovato loro un alloggio. Ma questo, tuttavia, è un caso a sé: il più delle volte a contattarci è chi arriva qui da solo o direttamente dall’Ucraina, o perché portati in Russia dai militari e poi arrivati autonomamente a Mosca. Spesso vivono situazioni davvero difficili poiché si ritrovano completamente senza soldi. Per qualche imperscrutabile ragione possono cambiare le loro grivne solo dopo aver ricevuto i diecimila rubli promessi da Putin [lo scorso febbraio Putin ha stabilito di versare diecimila rubli a tutti coloro che dal Donbass arrivavano a Rostov – N.d.T.]. Per i quali sorge un altro problema: si possono ricevere solo a Rostov, poiché tutti i fondi di bilancio per i rifugiati sono distribuiti lì. Dunque, le pratiche da avviare sono due: compilare la domanda per i diecimila rubli e inviarla a Rostov. E i tempi si allungano. Si può inoltre incassare il denaro solo se si è in possesso di un SNILS (identificativo di conto assicurativo personale), se si ha un conto aperto in una banca russa e via dicendo. Io finora ho incontrato una sola persona che abbia incassato quei diecimila rubli. Quando cerco di capire la logica per cui non si possono scambiare grivne a meno di non aver concluso preventivamente tutte queste operazioni, la spiegazione che mi do è che ricevere questi soldi è come un marchio di qualità: devono andare solo agli “ucraini bravi”. Se sono degni di ricevere i diecimila rubli, possono anche cambiare le grivne. Il denaro è un grande problema. Chi non ha soldi non sopravvive neanche negli alloggi temporanei.

Le necessità sono tante, fosse anche solo di un paio di mutande. Spesso, poi, hanno bisogno di medicine. Ora chi fa domanda di asilo temporaneo ha diritto a una visita medica gratuita. In realtà però non sempre è così: dipende dalla regione in cui ci si trova. Le solite stonature che fanno la nostra più grande disgrazia: la mancanza di disposizioni chiare. Chi, per esempio, era ricoverato in ospedale dovrebbe avere l’assistenza medica completa garantita. In realtà si garantisce solo il pronto soccorso. Da un lato l’ordine è di garantire assistenza completa, dall’altro non esistono assicurazioni mediche obbligatorie e di conseguenza gli ospedali agiscono a propria discrezione. Ci sono stati casi in cui non volevano accettare rifugiate incinte e abbiamo dovuto rivolgerci direttamente a Tat-jana Moskalkova: solo così siamo riusciti a farle assistere a tutto tondo.  Pochi giorni fa alcuni profughi mi hanno confermato che molti di loro non vengono assunti neanche se hanno i documenti. Sono i datori di lavoro, in questo caso, che non conoscono la procedura e non sanno che un rifugiato con l’asilo temporaneo può lavorare, e che gli ucraini hanno persino la priorità. I datori di lavoro, però, obiettano che non vogliono assumere stranieri perché c’è sempre qualche seccatura latente. Non si vogliono informare e hanno paura di chissà che cosa.


Che cosa vi raccontano della guerra i profughi che si rivolgono a voi?


Le persone sono diverse e diversi sono i punti di vista. Con loro non tocchiamo mai argomenti politici. I loro giudizi sono ovviamente condizionati dal fatto che ora si trovano in Russia. L’unica cosa che mi sento di dire è che quando chiediamo se vogliono lasciare la Russia, nel 90% dei casi la risposta è che nel prossimo futuro immaginano la loro vita qui.


I rifugiati diretti in Russia sono diventati un soggetto importante della propaganda, quasi un motivo di orgoglio. 


Queste persone sono armi nelle mani della propaganda. Alcuni di loro hanno subìto la propaganda russa anche più di quanto càpiti a noi qui. Molti di noi non ritengono la TV una fonte di informazione attendibile e considerano con occhi critici la vita che ci circonda. Mentre molti di coloro che vivevano in Donbass guardavano la televisione russa, ma non conoscevano la vita reale. Vedevano la vita in Ucraina, i suoi difetti, gli errori del governo, ma non potevano immaginare che cosa ci fosse di negativo nel nostro paese. Evidentemente avevano nostalgia dell’“ordine” e hanno pensato che l’avessimo noi in Russia. Ecco perché così tanti vogliono vivere qui. Ho fatto due viaggi in Crimea – nel 2014 e nel 2015 – e ne ho ricevuto impressioni totalmente discordanti. Nel 2014 ci siamo stati subito dopo l’annessione, l’ultimo giorno in cui si poteva rinunciare alla cittadinanza russa, che peraltro non avevano mai acquisito. Davanti al servizio di immigrazione russo (che non faceva ancora parte del ministero dell’Interno) c’erano due file: quella corta era per rinunciare alla cittadinanza, l’altra per ricevere il passaporto. Molti erano euforici. Ho parlato con una donna, una mia coetanea, più o meno, a cui ho cercato di dire che in Crimea costava tutto molto meno che in Russia. La sua risposta è stata: “Di che cosa si sorprende? La sua pensione è 10 volte più alta della mia!”. Abbiamo convertito la sua pensione in rubli e abbiamo scoperto che ne prendeva 8.000… Quindi, secondo lei, io avrei dovuto prenderne 80.000. Quando siamo tornati ​​nel 2015 l’euforia era sparita. Le pensioni non erano decuplicate, ma i prezzi sì, erano davvero alti: sono entrata in un negozio e non riuscivo a capacitarmi che una bottiglia di kefir potesse costare tanto.


Ci sono più rifugiati oggi rispetto al 2014 o sono numeri comparabili?


Dal 2014 la diminuzione [del numero di domande] è stata più veloce. I numeri erano molto più bassi. Se per la fine del 2014 le persone arrivate dall’Ucraina con un asilo temporaneo [lo status con il quale puoi rimanere nella Federazione Russa per un massimo di 1 anno – N.d.T] erano duecentomila, entro la fine del 2015 erano diventate più di trecentomila. A quanto pare quasi tutte queste persone hanno ricevuto la cittadinanza russa. Ora non concedono più l’asilo temporaneo con questa velocitàTutto procede più lentamente, ma gli ostacoli sono gli stessi. Se per la fine del 2014 le persone ospitate nei centri di accoglienza della regione di Rostov erano state distribuite nelle varie zone della federazione, per la fine del 2015 i centri di accoglienza temporanea erano stati tutti smantellati e i rifugiati distribuiti fra le regioni della Federazione Russa. È stato un vero incubo, le persone sono state letteralmente buttate per strada: “Ragazzi, smammare, abbiamo bisogno di questi spazi per le nostre vacanze”. La stessa storia che capita ora. Corre voce che entro metà agosto tutti i punti di accoglienza verranno smantellati e alle persone verrà detto di organizzarsi autonomamente. Ma che cosa potranno fare se nessuno li assume? Per lo stato sono solo una carta nel mazzo della politica. Non appena riceveranno il passaporto russo e diventeranno cittadini russi, sentiranno un bell’“Arrangiatevi!”. Come confermato dallo strano decreto del 12 marzo sulla distribuzione dei profughi ucraini tra le entità costituenti della Federazione Russa. Il decreto stabilisce: Mosca, come sempre accade, ZERO; la provincia di Mosca: un migliaio e mezzo di persone; quella di Voronež settemila. Una cosa interessante: la regione di Belgorod dovrebbe accogliere 4.547 rifugiati. Perché non 4.578? Come si ottiene questo numero? Per la regione di Smolensk le persone sono 126. È estremamente interessante, questo modo di calcolare. A sommare tutti questi numeri, otteniamo circa 96.000. Con 1,7 milioni di rifugiati non è chiaro perché se ne distribuiscano 96.000 in tutto. Ne hanno fatti arrivare un milione e mezzo in più… Dove mettono gli altri? 


Altro elemento curioso: in questo sistema non vengono specificati gli obblighi dei vari soggetti, che cosa si debba fare di queste persone. Al momento per legge non abbiamo obblighi materiali verso i rifugiati. Chi ha lo status di rifugiato non riceve sussidi. Di fatto, l’ottenimento dello status di rifugiato è esclusivamente giuridico. Di conseguenza si vive di quel che si può e si ha. Da parte dello stato la concessione di questo status non implica alcun onere materiale.


Quindi a nessuna di queste persone verrà riconosciuto lo status ufficiale di rifugiato?


Lo status ufficiale non è concesso a nessuno [lo status di rifugiato completo, a differenza dell’asilo temporaneo, consente di rimanere nel territorio della Federazione Russa a tempo indeterminato e implica il diritto alla protezione sociale, compresa l’assistenza e l’accoglienza dei bambini negli asili nido, nelle scuole, negli istituti di istruzione professionale – N.d.T.]. Alla fine di marzo nel nostro Paese le persone che hanno ricevuto lo status di rifugiato sono state 304 – 27 delle quali ucraine. 304 persone sono praticamente nulla. Per l’inizio dell’anno le persone erano 331 e gli ucraini 54. Quindi durante la guerra il numero dei rifugiati ufficiali sarebbe addirittura diminuito. Quello che viene concesso è il rifugio temporaneo. Secondo i dati più aggiornati, nel primo trimestre dell’anno è stato concesso in tutto a 11.932 ucraini. Se anche queste cifre fossero ristrette a Mosca, sarebbero comunque risibili. Sarebbero normali se riferite a un qualunque paesino…  Nel 2014 ho chiesto alle autorità a chi era stato riconosciuto lo status di rifugiato: ai profughi della Crimea? Agli uomini della Berkut? [Le Berkut, sono ex unità della polizia antisommossa ucraina create nel 1992 e erao composte da circa 5.000 uomini – N.d.T.] Mi hanno risposto: “Sì, a quelli della Berkut e della procura locale”.


Ma come può succedere?


Tempo fa Vladislav Jur’evič Surkov mi ha spiegato come funzionano le cose. Ha utilizzato l’espressione “gestione per impulsi”. Mi è caduto il velo dagli occhi. Domani Vladimir Vladimirovič Putin si sveglia e dice: “Ma come? Non abbiamo sussidi per i rifugiati? E di che campano?” Il giorno stesso si decide di stanziare una qualche indennità e subito parte la solfa: “Venite a ritirarla, che dobbiamo riferire a Vladimir Vladimirovič!”. Gli impulsi dell’ultimo periodo sono stati: “combattiamo il terrorismo”, “l’Europa non ne può più dei profughi”. Tutto chiaro…


Che cosa impedisce di mandare un impulso del tipo: diamo il giusto status ai rifugiati, stanziamo i fondi per aiutarli?


Il fatto è che, come molti altri politici del nostro governo, Putin è xenofobo. Avere paura di ciò che è diverso è un istinto normale e fisiologico. La cultura, tuttavia, serve proprio a questo: a “domare” questo istinto. Inoltre, gli irregolari rappresentano una fonte di sostentamento importante per la polizia, i burocrati e i datori di lavoro. Quando una persona dipende totalmente da un’altra, i vantaggi per colui dal quale si dipende sono enormi. La corruzione e le sue regole per molti sono più redditizie della mancanza di corruzione.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Pisa, 8-29 novembre 2024. Mostra “GULag: storia e immagini dei lager di Stalin”.

Il 9 novembre 1989 viene abbattuto il Muro di Berlino e nel 2005 il parlamento italiano istituisce il Giorno della Libertà nella ricorrenza di quella data, “simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”. Per l’occasione, l’assessorato alla Cultura del Comune di Pisa porta a Pisa la mostra GULag: storia e immagini dei lager di Stalin. La mostra, a cura di Memorial Italia, documenta la storia del sistema concentrazionario sovietico illustrata attraverso il materiale documentario e fotografico proveniente dagli archivi sovietici e descrive alcune delle principali “isole” di quello che dopo Aleksandr Solženicyn è ormai conosciuto come “arcipelago Gulag”: le isole Solovki, il cantiere del canale Mar Bianco-Mar Baltico (Belomorkanal), quello della ferrovia Bajkal-Amur, la zona mineraria di Vorkuta e la Kolyma, sterminata zona di lager e miniere d’oro e di stagno nell’estremo nordest dell’Unione Sovietica, dal clima rigidissimo, resa tristemente famosa dai racconti di Varlam Šalamov. Il materiale fotografico, “ufficiale”, scattato per documentare quella che per la propaganda sovietica era una grande opera di rieducazione attraverso il lavoro, mostra gli edifici in cui erano alloggiati i detenuti, la loro vita quotidiana e il loro lavoro. Alcuni pannelli sono dedicati a particolari aspetti della vita dei lager, come l’attività delle sezioni culturali e artistiche, la propaganda, il lavoro delle donne, mentre altri illustrano importanti momenti della storia sovietica come i grandi processi o la collettivizzazione. Non mancano una carta del sistema del GULag e dei grafici con i dati statistici. Una parte della mostra è dedicata alle storie di alcuni di quegli italiani che finirono schiacciati dalla macchina repressiva staliniana: soprattutto antifascisti che erano emigrati in Unione Sovietica negli anni Venti e Trenta per sfuggire alle persecuzioni politiche e per contribuire all’edificazione di una società più giusta. Durante il grande terrore del 1937-38 furono arrestati, condannati per spionaggio, sabotaggio o attività controrivoluzionaria: alcuni furono fucilati, altri scontarono lunghe pene nei lager. La mostra è allestita negli spazi della Biblioteca Comunale SMS Biblio a Pisa (via San Michele degli Scalzi 178) ed è visitabile da venerdì 8 novembre 2024, quando verrà inaugurata, alle ore 17:00, da un incontro pubblico cui partecipano Elena Dundovich (docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Pisa e socia di Memorial Italia), Ettore Cinnella (storico dell’Università di Pisa) e Marco Respinti (direttore del periodico online Bitter Winter). Introdotto dall’assessore alla cultura Filippo Bedini e moderato da Andrea Bartelloni, l’incontro, intitolato Muri di ieri e muri di oggi: dal gulag ai laogai, descriverà il percorso che dalla rievocazione del totalitarismo dell’Unione Sovietica giunge fino all’attualità dei campi di rieducazione ideologica nella Repubblica Popolare Cinese. La mostra resterà a Pisa fino al 28 novembre.

Leggi

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz.

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz con curatela di Luca Bernardini (Guerini e Associati, 2024). Una testimonianza al femminile sull’universo del Gulag e sugli orrori del totalitarismo sovietico. Arrestata nel 1945 a ventidue anni per la sua attività nell’AK (Armia Krajowa), l’organizzazione militare clandestina polacca, Anna Szyszko-Grzywacz viene internata nel lager di Vorkuta, nell’Estremo Nord della Siberia, dove trascorre undici anni. Nella ricostruzione dell’esperienza concentrazionaria, attraverso una descrizione vivida ed empatica delle dinamiche interpersonali tra le recluse e della drammatica quotidianità da loro vissuta, narra con semplicità e immediatezza la realtà estrema e disumanizzante del Gulag. Una realtà dove dominano brutalità e sopraffazione e dove la sopravvivenza per le donne, esposte di continuo alla minaccia della violenza maschile, è particolarmente difficile. Nell’orrore quotidiano raccontato da Anna Szyszko-Grzywacz trovano però spazio anche storie di amicizia e solidarietà femminile, istanti di spensieratezza ed emozioni condivise in una narrazione in cui alla paura e alla dolorosa consapevolezza della detenzione si alternano le aspettative e gli slanci di una giovane donna che non rinuncia a sperare, malgrado tutto, nel futuro. Anna Szyszko-Grzywacz nasce il 10 marzo 1923 nella parte orientale della Polonia, nella regione di Vilna (Vilnius). Entra nella resistenza nel settembre 1939 come staffetta di collegamento. Nel giugno 1941 subisce il primo arresto da parte dell’NKVD e viene rinchiusa nella prigione di Stara Wilejka. Nel luglio 1944 prende parte all’operazione “Burza” a Vilna come infermiera da campo. Dopo la presa di Vilna da parte dei sovietici i membri dell’AK, che rifiutano di arruolarsi nell’Armata Rossa, vengono arrestati e internati a Kaluga. Rilasciata, Anna Szyszko cambia identità, diventando Anna Norska, e si unisce a un’unità partigiana della foresta come tiratrice a cavallo in un gruppo di ricognizione. Arrestata dai servizi segreti sovietici nel febbraio 1945, viene reclusa dapprima a Vilna nel carcere di Łukiszki, e poi a Mosca alla Lubjanka e a Butyrka. In seguito alla condanna del tribunale militare a venti anni di lavori forzati, trascorre undici anni nei lager di Vorkuta. Fa ritorno in patria il 24 novembre 1956 e nel 1957 sposa Bernard Grzywacz, come lei membro della Resistenza polacca ed ex internato a Vorkuta, con cui aveva intrattenuto per anni all’interno del lager una corrispondenza clandestina. Muore a Varsavia il 2 agosto 2023, all’età di cento anni.

Leggi

Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione.

Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione. A cura di Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola (Viella Editrice, 2024). Il volume esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov. In copertina: Il 10 aprile 2022, Oleg Orlov, ex co-presidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, viene arrestato sulla Piazza Rossa a Mosca per avere manifestato la sua opposizione all’invasione dell’Ucraina con un cartello con la scritta “La nostra indisponibilità a conoscere la verità e il nostro silenzio ci rendono complici dei crimini” (foto di Denis Galicyn per SOTA Project).

Leggi