Denazificazione, demilitarizzazione, democrazia. Le parole sono importanti

Dal 24 febbraio l’uso funzionale della lingua in Russia è diventato primario rispetto alla significazione. Nel discorso del potere russo viene meno l’unico concetto che la propaganda non sa e non può esprimere: una visione di stato e di cittadino senza nomeю

(di Massimo Maurizio, professore di Letteratura russa all’Università di Torino, socio di Memorial Italia)


04 luglio 2022 
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 13:10


“Chi parla male pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste. Le parole sono importanti”, recita una celebre battuta del film Palombella rossa. Le parole sono importanti, e nella propaganda russa di guerra alcune, spogliate di contenuto, hanno rappresentato la giustificazione per l’attacco. E chissà perché c’è bisogno di una giustificazione formale a un atto illogico e assassino, potrebbe sussurrare oggi il nevrotico protagonista del film di Nanni Moretti.


Le parole addotte a giustificazione formale dell’aggressione, come è noto, sono “denazificazione” e “demilitarizzazione”, che, accanto alla taciuta (non a caso) “democrazia”, erano gli slogan dell’Europa post-bellica impegnata nella lotta contro le sacche di resistenza ideologica del nazismo, nonché termini che spesso risuonavano nei processi ai gerarchi tedeschi. Oggi un potere che in maniera palese e dichiarativa ha – negli ultimi 15 anni almeno – chiuso progressivamente sempre più spazi di libertà, si pone come paladino della denazificazione. Un’osservazione di Evgenij Dobrenko su un post nei primi giorni dopo l’occupazione russa dell’Ucraina sottolineava come il termine ‘nazista’ abbia acquisito un significato extra-storico: ‘nazista’ è colui che è contro il corso della storia patria e che viene identificato come nemico, indipendentemente dalla sua ideologia.


Nella dialettica russa di oggi i nazisti non sono i criminali processati a Norimberga, ma i “cattivi” dei film di guerra sovietici, cattivi a tutto tondo, macchiette senza volto che incarnano il male assoluto, immagini prive di qualunque tratto umano. Significati senza significazioni. Simulacri, direbbero i postmodernisti. Il nemico in quanto bersaglio di un odio aprioristicamente giusto, un’avversione che non ha bisogno di argomentazioni, perché sempre e comunque dalla parte della ragione.


Per indicare un atteggiamento antidemocratico o i soldati che combatterono contro l’Unione Sovietica, la lingua russa usa di preferenza la parola fašizm /fašist (fascismo/fascista). Nacist (nazista) ha una connotazione meno universale e proprio per questo viene utilizzato come sostituto di ‘nemico’, ‘alieno’. Alieno alla direzione che ha intrapreso la Federazione Russa, alieno a chi si oppone al progresso, all’apertura, all’accoglienza. Alla storia.


Le parole della propaganda ruotano attorno a pochi concetti ben definiti (importa poco la fedeltà non soltanto alla realtà dei fatti, ma addirittura a una qualunque logica); servono infatti per riempire questo vuoto con una presenza che altro non è che dimostrazione di sé, in quanto possibilità di affermare qualche cosa piuttosto che di affrontare gli stessi concetti dialetticamente. Termini come patriottismo, patria (rodina), sicurezza (bezopasnost’), valori tradizionali (tradicionnye cennosti), morale (nravstvennost’) si sono trasformati in formule che indicano l’adesione a una visione in cui la combinazione di certi elementi ha un valore dichiarativo fine a se stesso. Questo accadeva in realtà ben prima del 24 febbraio, ma da quel giorno l’uso funzionale della lingua (in modalità pericolosamente vicine alla langue de bois sovietica) è diventato primario rispetto alla significazione.


Questo tipo di scollamento concettuale si rivela, per esempio, nell’idea stessa di (de)nazificazione di uno stato sovrano, al cui interno gli estremisti di destra sono tanti quanti in Italia o in Germania (se non meno). E certamente meno che in Russia, dove – per fare un esempio – da una quindicina d’anni si tengono le “Russkie marši”, le marce russe, con i saluti romani accanto alle icone e i richiami a “ripulire” le strade da minoranze (etniche, sessuali, ecc.) indegne di stare nella Federazione Russa.


Qui l’elemento pregnante non è il sostantivo, ma l’aggettivo, che da subito presuppone la possibilità di appartenere o non appartenere alla Federazione Russa. Il paese cioè in cui viene regolarmente riscritta la storia, vengono chiusi forzosamente i luoghi che conservano la memoria del passato sovietico (e non solo), in cui dalla metà di marzo i bambini (compresi quelli con disturbi cognitivi) vengono messi in posa in forma di Z per essere immortalati dall’alto a fini propagandistici.


Dalla parte di coloro che si oppongono apertamente alla guerra le parole stentavano a uscire, fin dall’inizio, soprattutto all’inizio; la mattina del 24 febbraio ha portato con sé settimane di considerazioni pubbliche e amicali, in cui ossessivamente ritornava la parola “vergogna”, vergogna per non aver capito dove si sarebbe arrivati, per non aver fermato in tempo la macchina bellica, per non aver capito, per non aver saputo leggere i fatti, i segnali. Vergogna per la Russia, per se stessi, abitanti di quella Russia. Mancavano le parole per razionalizzare, per dare un nome a ciò che stava accadendo, anche e soprattutto a coloro che con le parole ci lavorano: gli scrittori. Questo perché le parole di questa parte sono piene, devono contenere denotati, essere esplicative e quindi preceduta da una comprensione, per quanto parziale, di ciò che accade attorno.


Dopo tre mesi di guerra qualche parola è tornata, molti scrittori, artisti si esprimono con parole chiare, che vanno dalla confessione intima della propria inettitudine all’invettiva aperta, parole comunque insicure o troppo dirette per essere affermazioni personali. Di Jurij Ševčuk, leader di uno dei più celebri gruppi rock russi, le parole “La patria, amici, non è il culo del presidente che occorre continuamente baciare e coprire di bava. La patria è una vecchietta mendicante alla stazione che vende patate. Ecco che cos’è la patria”. Parole dirette, come quelle dei soldati dell’isola dei serpenti (“Nave russa da guerra, vaffanculo!”). Per parlare dell’orrore si sono sempre usate espressioni chiare, dirette, la musica dopo Auschwitz.


Negli ultimi anni in Russia si sono (si erano, sarebbe meglio dire) affermati movimenti di stampo femminista per la difesa delle minoranze sessuali, delle donne, movimenti contro la violenza domestica formati da scrittrici-attiviste, movimenti che necessitavano, cercavano ed elaboravano un linguaggio nuovo, diretto, appunto, risultato dell’urgenza di parlare dell’orrore insito nella vita di tutti i giorni con la lingua di quello stesso orrore, rinunciando molto spesso all’autorialità, a esprimere una posizione personale, in quanto parlare di violenza senza esserne vittima diretta suona quantomeno artificiale.


Ultimamente, ma anche prima del fatidico 24 febbraio, circola tra gruppi ristretti di attivisti, artisti e intellettuali, ma anche su Facebook e Telegram, con sempre maggior insistenza l’idea della necessità di una “decolonizzazione”, il verbo “decolonizzarsi”, alla forma riflessiva (dekolonizirovat’sja), con la coscienza di dover partire da sé, di una ripartenza da zero per riconsiderare il modo in cui si ragione e si vive nel Paese. Dopo questa presa di coscienza le parole torneranno, forse, e torneranno le parole giuste, l’Espressione con la E maiuscola. Forse. Quindi se mancano le parole, viene comunque avvertita in maniera molto acuta la necessità di individuare nuove categorie concettuali, una visione del proprio mondo, in cui il ruolo e il posto della storia e della cultura sia minore rispetto a quello accordato loro dalla narrazione ufficiale.


A ‘denazificazione’ e ‘demilitarizzazione’ manca quindi, rispetto alla triade post-bellica di cui ho parlato in apertura, l’idea della democrazia. Nel discorso del potere russo oggi viene meno l’unico concetto che la propaganda non sa e non può esprimere: una visione di stato e di cittadino senza nome, o il cui nome non si vuole pronunciare, perché sarebbe necessario sostituire al valore della democrazia post-bellica un termine adatto a rappresentare l’idea di un potere anacronistico e assurdo, un termine terribilmente simile a quell’idea di totalitarismo fattuale, di cui la parola “nazisti” oggi, in Russia, non è più sinonimo.


La stessa Russia in cui gli omicidi a sangue freddo di Anna Politkovskaja o Boris Nemcov vengono commentati con frasi come “[Politkovskaja] non avrebbe dovuto immischiarsi, avrebbe dovuto occuparsi dei propri figli”.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Ucraina. Assedio alla democrazia. Alle radici della guerra.

Ucraina. Assedio alla democrazia. Alle radici della guerra. A cura di Memorial Italia con il coordinamento di Marcello Flores (Corriere della Sera, 2022). «Come studiosi della storia e della cultura della Russia, dell’Ucraina e dell’Unione Sovietica, riteniamo che il nostro compito, in questo drammatico momento, sia quello di aiutare a comprendere le cause di questa vera e propria guerra di conquista, per fondare la cronaca nella storia e capire le dinamiche del presente alla luce di un passato che spesso si ignora o si dimentica» Dal momento in cui l’esercito di Vladimir Putin ha iniziato la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina si sono formulati frequenti giudizi che hanno contribuito a rendere più difficile capire le radici del conflitto. Si sono diffusi luoghi comuni, prodotti dal pregiudizio o dalla scarsa conoscenza dei fatti. Questo libro, frutto del lavoro collettivo di studiosi attivi da anni sul terreno della violazione dei diritti umani, della manipolazione della storia, della cancellazione della memoria nella Russia postsovietica, intende fare luce su alcune “idee sbagliate”, con il supporto di una serie di approfondimenti sulla storia di Russia e Ucraina dal 1991 a oggi. Come si è costruita la nazione ucraina nell’ambito di quanto è successo nelle repubbliche ex sovietiche, qual è la sua funzione rispetto al progetto di Putin, cosa si intende per “promessa infranta” quando si parla del ruolo della Nato: capire chi sono gli attori in gioco e qual è il loro ruolo in questa sanguinosa partita significa orientarsi con più sicurezza nel mare contraddittorio dell’opinione pubblica. Come pure andare a fondo nella “guerra di memoria” in atto da anni nella Russia putiniana vuol dire intendere meglio il senso delle esternazioni del suo presidente, a partire dall’uso della parola “genocidio”. Idee e motivi di propaganda penetrati profondamente in patria tramite la repressione del dissenso e la diffusione con ogni mezzo di una narrazione della storia selettiva e funzionale a un disegno autocratico e neoimperiale, di cui l’associazione Memorial fa da tempo le spese e che l’attacco all’Ucraina ha messo sotto gli occhi attoniti del mondo intero, interrogandoci tutti. Contributi di Simone Attilio Bellezza, Alexis Berelowitch, Marco Buttino, Riccardo Mario Cucciolla, Gabriele Della Morte, Carolina de Stefano, Marcello Flores, Francesca Gori, Andrea Gullotta, Niccolò Pianciola.

Leggi

Guerra globale. Il conflitto russo-ucraino e l’ordine internazionale.

Guerra globale. Il conflitto russo-ucraino e l’ordine internazionale. A cura di Memorial Italia con il coordinamento di Alessandro Catalano, Marcello Flores, Niccolò Pianciola (Corriere della Sera, 2023). «Gran parte del mondo è stata costretta, di fronte al ritorno della guerra in Europa, a ripensare le mappe mentali con cui si guardano le reti globali di relazioni politiche ed economiche e si cerca di indovinarne il futuro, oggi ben più incerto di quanto si ritenesse fino all’invasione russa dell’Ucraina» La guerra che si combatte da quasi un anno dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina minaccia non solo di protrarsi nel tempo, ma anche di dilatarsi nello spazio: è dunque legittimo chiedersi quanto questo evento abbia modificato non solo la geopolitica europea, ma anche le mappe mentali con cui il mondo intero interpreta questo spartiacque. Le sue ripercussioni, a partire dai problemi più evidenti (l’aumento del costo degli idrocarburi, i milioni di profughi dall’Ucraina, la minore offerta di grano sui mercati mondiali) fino alle minacce che potrebbero colpire in modo drammatico alcuni paesi, hanno ormai coinvolto vaste aree del pianeta. I singoli Stati hanno avuto reazioni a tutto ciò inevitabilmente diverse, non solo per ragioni di prossimità geografica, ma anche per le lenti con cui la guerra è stata interpretata, a loro volta influenzate dalle singole esperienze storiche. Se, com’è naturale, è stato particolarmente visibile un coinvolgimento più pronunciato nella parte centro-orientale dell’Europa, dove l’invasione ha riattivato la memoria di avvenimenti analoghi della storia del Novecento, anche in altri paesi, persino nel lontanissimo Sudamerica, intravediamo fenomeni che sono in diretta connessione con la guerra in corso. Questo libro cerca di tratteggiare una nuova geografia mondiale il cui epicentro sta nella frattura tra Mosca e Kyïv: i contributi, affidati a studiosi italiani e internazionali di vasta e radicata esperienza nell’analisi storica, politica ed economica delle vicende di ciascun paese, costituiscono un indispensabile, e fino a oggi unico, strumento per gettare uno sguardo complessivo sulla nuova configurazione mondiale e sulle sue prospettive. Perché è evidente, anche alla considerazione più superficiale, che la guerra in Ucraina segna un punto da cui è difficile tornare indietro. Contributi di Giuseppe Acconcia, Alessandro Catalano, Filippo Costa Buranelli, Riccardo Mario Cucciolla, Mario Del Pero, Gianluca Falanga, Matteo Fumagalli, Bartłomiej Gajos, Armand Gosu, Andrea Griffante, Aurelio Insisa, Ali Aydin Karamustafa, Massimo Longo Adorno, Niccolò Pianciola, Marc Saint-Upéry, Ilaria Maria Sala, Alfredo Sasso, Antonella Scott, Paolo Sorbello, Pablo Stefanoni.

Leggi

Russia. Anatomia di un regime. Dentro la guerra di Putin.

Russia. Anatomia di un regime. Dentro la guerra di Putin. A cura di Memorial Italia con il coordinamento di Marcello Flores (Corriere della Sera, 2022). «Uno Stato che, al suo interno, viola platealmente e in modo sistematico i diritti umani, diventa per forza di cose una minaccia anche per la pace e per la sicurezza internazionali» La deriva violenta della Russia, culminata nell’aggressione militare nei confronti dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 e documentata da tempo sul fronte delle repressioni interne (di cui anche l’associazione Memorial ha fatto le spese), impone una riflessione sempre più urgente su cosa abbia portato il paese a passare dalle speranze democratiche successive al crollo dell’URSS all’odierna autocrazia. Questo volume a più voci, in cui intervengono nel dibattito studiosi italiani e russi che conoscono profondamente la realtà del regime, i metodi, le tecniche di manipolazione del consenso, le curvature ideologiche, il linguaggio politico, affronta la questione da diversi punti di vista, da quello storico a quello culturale e letterario (con implicazioni non solo per la Russia, ma anche per l’Ucraina e i paesi dell’Europa orientale), a quello geopolitico, fino ad arrivare all’attualità, alle proteste e alle forme di dissidenza che continuano eroicamente a esistere per combattere il Moloch putiniano, sempre più assetato di vittime. Nello stallo del conflitto in Ucraina rimane fondamentale il desiderio di comprendere. Non perché non succeda ancora, come scrive Andrea Gullotta nella sua introduzione, richiamandosi ad Anne Applebaum, ma perché “accadrà di nuovo”. Lo testimoniano drammaticamente il protrarsi di una situazione di guerra alle porte dell’Europa, e l’inasprirsi delle persecuzioni, in Russia, contro chi ha cercato e cerca, a rischio della propria vita, di opporsi allo stato di cose e alle terribili conseguenze che può avere su tutti noi. Contributi di Alexis Berelowitch, Marco Buttino, Alessandro Catalano, Aleksandr Čerkasov, Giulia De Florio, Elena Dundovich, Marcello Flores, Giovanni Gozzini, Andrea Gullotta, Inna Karmanova, Massimo Maurizio, Marusja Papageno, Niccolò Pianciola, Marco Puleri.

Leggi