(di Viviana Nosilia, professoressa di filologia slava presso l’università di Padova e socia di Memorial Italia)
30 giugno 2022
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 13:10
La Polonia ha mostrato un atteggiamento risoluto e interventista subito dopo l’aggressione russa all’Ucraina, costringendo talvolta gli altri paesi a frenare le iniziative progettate a Varsavia (come nel caso della fornitura di aerei pochi giorni dopo lo scoppio della guerra). Il governo polacco si era in precedenza attirato le meritate critiche da parte delle istituzioni dell’UE e di molti paesi membri per il rifiuto di assoggettarsi alle normative sull’indipendenza della magistratura e per le violazioni dei diritti umani (in particolare, di donne e comunità LGBT+), nonché per la mancata accoglienza dei profughi al confine con la Bielorussia: anche se la crisi era stata generata ad arte da Lukašenko, non si può giustificare il trattamento disumano verso individui inermi. La reazione all’attacco di Putin all’Ucraina merita però senz’altro di cercare di comprendere meglio le ragioni di questa reattività polacca.
Certamente ciò si spiega con la contiguità geografica, ma ad alimentare le preoccupazioni polacche è soprattutto la retorica del Cremlino molto aggressiva nei confronti della Polonia, a partire dal cosiddetto articolo, Sull’unità storica di russi e ucraini, uscito il 12 luglio 2021 a firma di Vladimir Putin. Testo di pubblicistica di bassa lega, una volta pubblicato nel sito ufficiale della massima autorità della Federazione Russa, assume il ruolo di unica versione ammessa della storia dei rapporti russo-ucraini.
In questo “articolo” i polacchi, nelle loro diverse configurazioni statuali, sono presentati prima, nel periodo antico, come oppressori dei ruteni – i quali, secondo il Cremlino, sarebbero stati solo una variante dei russi, compattamente ortodossi – e poi come aizzatori degli ucraini contro i russi: “Allo stesso tempo negli ambienti dell’élite polacca e di una parte dell’intelligencija piccolo-russa nascevano e si rafforzavano le idee su un popolo ucraino distinto da quello russo. Un fondamento storico qui non c’era né poteva esserci, pertanto le argomentazioni erano costruite su svariate invenzioni”. I polacchi sono quindi indicati in modo esplicito come i veri inventori del progetto dell’Ucraina come anti-Russia.
Ora, in passato la Polonia ha certamente elaborato strategie che attribuivano un ruolo particolare ai ruteni (ovvero gli slavi orientali che abitavano nei suoi confini) nei rapporti nei confronti della Moscovia prima e dell’Impero Russo poi. E non sorprende nemmeno che tra intellettuali polacchi e ucraini si creasse una convergenza in funzione antirussa, dal momento che l’Impero Russo aveva partecipato alle spartizioni della Polonia, contribuendo a cancellarla dalla carta geografica dell’Europa. Induce però a interrogarsi la riproposizione di questo argomento nel 2021. Nell’intervista rilasciata il giorno successivo alla pubblicazione dell’articolo, che costituisce una sorta di appendice al discorso, Putin ha di nuovo parlato di un progetto di anti-Russia che “è iniziato ancora nei secoli XVII-XVIII nella Confederazione polacco-lituana, in seguito è stato usato dal movimento nazionale polacco e prima della Prima guerra mondiale è stato utilizzato dall’Austria-Ungheria”.
Già prima dell’articolo sull’Ucraina, però, sempre a nome di Putin, era uscito un altro articolo storico, ben più articolato, in occasione del 75° anniversario della vittoria nella Grande Guerra Patriottica. I 75 anni della Grande Vittoria: una responsabilità comune di fronte alla storia e al futuro è stato pubblicato il 19 giugno 2020, pochi giorni prima delle votazioni sulle modifiche alla Costituzione che avrebbero consentito a Putin di rimanere in carica per ulteriori mandati.
Si tratta di un testo di 91 pagine, di cui 48 sono occupate da un’esposizione e le restanti da un’appendice documentale. L’elemento celebrativo, ovviamente e legittimamente presente, data la circostanza, non costituisce la dominante di questo testo, che è invece dedicato soprattutto alle cause della Seconda guerra mondiale, che affonderebbero le radici nell’umiliazione inflitta alla Germania a Versailles nel 1919. Il Trattato di Monaco, presentato come il risultato delle mire della Germania nazista e della Polonia, portò alla spartizione della Cecoslovacchia e “mostrò all’Unione Sovietica che i paesi occidentali avrebbero deciso le questioni di sicurezza senza tener conto dei suoi interessi”. Nelle conferenze di Teheran, Jalta, San Francisco e Potsdam le potenze vincitrici, tra cui l’URSS, avevano stabilito un ordine mondiale che ha assicurato una pace duratura e che, sempre secondo l’autore, non è il caso di modificare.
Ci sarebbe molto da dire su questo “articolo”, qui ci soffermeremo solo sulla “questione polacca”, che costituisce uno dei temi portanti dello scritto. Tra i documenti in appendice, infatti, molti riguardano la Polonia e vicende e dichiarazioni da annoverare fra le pagine buie della storia polacca. È, il caso, per esempio, della contesa riguardante la parte di Slesia attorno a Cieszyn/Těšin, che la Polonia occupò nel 1938 dopo il Trattato di Monaco, o delle affermazioni dei vertici polacchi sulla Cecoslovacchia come “creazione artificiale”, o ancora dei colloqui tra i diplomatici polacchi e quelli tedeschi. Il punto è che su tutto ciò in Polonia si svolge un dibattito accademico o pubblicistico aperto ed è molto chiaro che si tratta di eventi relegati nel passato e privi di una vera attualità.
La narrazione putiniana seleziona accuratamente solo fatti che mettono in cattiva luce la Polonia e la presentano come uno stato dalle ambizioni imperialiste, che ha sempre ostacolato ogni possibile accordo con l’Unione Sovietica, contribuendo significativamente a isolarla.
In quest’articolo si riprendono le idee dei diplomatici occidentali sui nuovi confini della Polonia, la discussione sulla linea Curzon, con l’intento di dimostrare che tali confini comprendevano territori abitati da bielorussi e ucraini. In questo modo si cerca di sminuire il ruolo del patto Ribbentrop-Molotov e legittimare così l’invasione della Polonia da parte delle truppe sovietiche il 17 settembre 1939. Nell’articolo il patto di non aggressione col Reich, che costituisce un punto imbarazzante nel processo di mitizzazione della Grande Guerra Patriottica, viene presentato come una mossa tattica, che non presupponeva un’amicizia fra Germania nazista e Unione Sovietica e doveva servire solo a salvaguardare gli interessi strategici di quest’ultima. L’ingresso delle truppe sovietiche in Polonia rappresenterebbe quindi un’assoluta necessità difensiva ed è superfluo sottolineare le analogie con la narrazione attuale che mira a giustificare l’invasione dell’Ucraina.
La revisione del significato del patto Ribbentrop-Molotov non è peraltro iniziata con quest’articolo, visto che già nel 2015 Putin lo aveva lodato in occasione di una conferenza stampa congiunta con Angela Merkel per i 70 anni dalla conclusione della Seconda guerra mondiale.
In occasione dell’anniversario della firma del patto di non aggressione, il 23 agosto 2019 i ministri degli esteri di Polonia, Romania e Paesi baltici rilasciarono un comunicato congiunto in cui chiedevano che s’investigassero più seriamente i crimini dei regimi totalitari. Ciò indusse il Parlamento europeo a varare la risoluzione del 19 settembre 2019 “sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, in cui, anche in considerazione del fatto che “nonostante il 24 dicembre 1989 il Congresso dei deputati del popolo dell’URSS abbia condannato la firma del patto Molotov-Ribbentrop, oltre ad altri accordi conclusi con la Germania nazista, nell’agosto 2019 le autorità russe hanno negato la responsabilità di tale accordo e delle sue conseguenze e promuovono attualmente l’interpretazione secondo cui la Polonia, gli Stati baltici e l’Occidente sarebbero i veri istigatori della Seconda guerra mondiale”. Il Parlamento Europeo si dice “profondamente preoccupato per gli sforzi dell’attuale leadership russa volti a distorcere i fatti storici e a insabbiare i crimini commessi dal regime totalitario sovietico” e stabilisce di trasmettere tale documento anche alla Duma russa. L’articolo di Putin del 2020 si richiama espressamente a questa risoluzione, vista come una calunnia – oggi diremmo “russofobia” – e rigettata.
Il processo di colpevolizzazione della Polonia non si limita però a questi articoli, ma sono state ripetutamente riprese le informazioni su un piano della Polonia per invadere l’Ucraina occidentale che circolano già dal 2014. A quanto pare, si sarebbe trattato di una proposta fatta da Žirinovskij ai governi di Polonia, Romania e Ungheria, da questi ovviamente rigettata con sdegno, di spartire l’Ucraina con la Russia. Alla Polonia sarebbe toccata la parte del leone e cartine che illustravano questa proposta sono state mostrate dai mezzi d’informazione polacchi. Tali cartine e altre immagini decontestualizzate sono state usate dalla propaganda russa, nel 2022, per dimostrare l’esistenza di trame segrete polacche, che implicherebbero la necessità di un intervento russo per evitare che l’Ucraina cadesse in mani polacche.
Per avvalorare la loro tesi i propagandisti usano anche le parole pronunciate dal presidente polacco Andrzej Duda il 3 maggio in occasione dell’anniversario della promulgazione della prima Costituzione polacca e il 22 maggio 2022 a Kyïv di fronte alla Verchovna Rada, nonché quelle del 5 maggio 2022 di Volodymyr Zelens’kyj in occasione di un incontro a Varsavia per aiuti economici all’Ucraina, che contengono accenni all’amicizia e fratellanza tra Polonia e Ucraina. L’avvicinamento dei due paesi, malgrado i dolorosi eventi del passato (è un riferimento agli eccidi in Volinia, perpetrati reciprocamente da ambo le parti), è chiaramente testimoniato dalla decisione di potenziare le infrastrutture per il trasporto tra Varsavia e Kyïv. Nella realtà parallela creata dalla propaganda del Cremlino, si tratterebbe invece di prove del fatto che si vuole eliminare il confine tra Polonia e Ucraina, facilitando quindi un’invasione polacca.
Se a questo aggiungiamo l’invito del consigliere comunale di Mosca Sergej Savost’janov a “denazificare” anche la Polonia e la Moldova e le minacce di Ramzan Kadyrov, la prontezza di reazione dei polacchi diventa più comprensibile. In generale, tenuto conto di tutto ciò non meraviglia più che in un recente sondaggio i polacchi si classifichino al primo posto tra le popolazioni che danno una valutazione negativa della Russia.