Processo alla memoria. Conversazione con Konstantin Goldenzweig

Il regista russo: "Putin non capisce la lingua del dialogo perché dietro il dialogo vede solo debolezza. L’unica cosa che il Cremlino e i suoi sostenitori capiscono adesso è il linguaggio della forza".

(di Viviana Nosilia, professoressa di filologia slava presso l’università di Padova e socia di Memorial Italia)


24 giugno 2022 
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 13:08


Il regista russo Konstantin Goldenzweig è l’autore del reportage Processo alla memoria (Začistka pamjati, 2021), sottotitolato in italiano a cura di Memorial Italia. Nel suo lavoro, realizzato per l’emittente televisiva indipendente TV Rain (Dožd’), Goldenzweig ha indagato quale sia stato il ruolo di Memorial nei suoi trent’anni di attività in Russia. Il 13 maggio del 2022 il reportage è stato presentato a Padova con la partecipazione dell’autore in collegamento. Il video integrale è disponibile online.


Konstantin Goldenzweig (Foto dalla sua pagina Facebook)


Perché ha deciso di girare questo film e perché proprio in questo momento?


La discussione su questo film sembra appartenere a una vita precedente, non a sei mesi fa, sembrano passati 10-20 anni. La nostra vita è cambiata completamente. Uno dei segni di questi cambiamenti, anche prima della guerra con l’Ucraina è stata la decisione delle autorità russe di distruggere Memorial, la più antica e più importante organizzazione non governativa russa, con la quale avevo un rapporto personale.


Quando abbiamo deciso di girare questo reportage – non mi piace che lo si chiami “documentario” perché non lo è – era ormai chiaro che i giorni di Memorial come organizzazione ufficialmente riconosciuta fossero contati e così abbiamo deciso di raccontare una storia su cosa fosse Memorial e di diffonderla il più possibile, con le forze che avevamo come TV Rain, l’ultima emittente televisiva indipendente in Russia.


Nessuno di noi all’inizio del 2022 si aspettava che sarebbe scoppiata la guerra in Ucraina, ma per tutti noi era chiaro che il futuro sarebbe stato fosco, privo di speranza e prospettive. Pertanto ho deciso di confrontare il nostro tempo con l’epoca precedente alla nascita di Memorial, cioè con l’inizio degli anni Ottanta in Russia. Guardando questo reportage si può notare che l’umore era molto simile, il senso di disperazione, la sensazione che questa situazione non avrebbe mai avuto fine erano paragonabili allo stato d’animo attuale.


Quello che ci avrebbe portato una speranza era capire che 40-45 anni fa, nel mezzo di quei tempi così bui, un piccolo gruppo di persone decise di fare qualcosa per ricostruire la storia delle repressioni, per costruire la prima iniziativa dal basso, i primi segni di una futura società civile, di una Russia futura che in quel momento non esisteva. È da questa angolazione che abbiamo affrontato l’argomento.


Può parlarci della Sua collaborazione con TV Rain, la più importante emittente televisiva indipendente in Russia?


Io ci ho lavorato solo nell’ultimo anno, ma l’emittente è esistita per circa 12 anni. TV Rain è stata una delle principali emittenti televisive non statali, davvero indipendente. Molti giornalisti ci chiamavano l’unica emittente dell’opposizione in Russia, ma tutti noi li correggevamo immediatamente, noi cercavamo di non essere di opposizione, ma di dare voce a tutte le parti in causa, in tutti i conflitti di cui trattavamo. Io sono stato invitato a lavorare a TV Rain nel 2021.


Ho realizzato documentari e reportage. A TV Rain abbiamo girato una storia sulla situazione di Aleksej Naval’nyj nella sua colonia penale nell’oblast’ di Vladimir [I testimoni di Aleksej, 2021], un reportage su Memorial, un lungo servizio sulle teorie complottiste legate al coronavirus in Russia. Durante i primi giorni della guerra abbiamo cercato di continuare a lavorare, sforzandoci di evitare ogni problema con le autorità, ma il tentativo è fallito e la Procura di Stato ha considerato i contenuti di TV Rain estremisti. All’inizio di marzo abbiamo deciso di lasciare la Russia.


Lei lavorava per NTV e poi l’ha dovuta abbandonare. Come sono cambiate le cose per il giornalismo indipendente in Russia negli ultimi dieci anni, dal 2012?


TV Rain è stata creata da Natal’ja Sindeeva nel 2010 e ha guadagnato popolarità nel 2011, quando le elezioni parlamentari sono state manipolate perché Putin aveva deciso di tornare al potere, scatenando vastissime proteste a Mosca, Pietroburgo e in altre grandi città russe. TV Rain ha coperto queste proteste, come nessun’altra emittente faceva, e in questo modo ha potuto guadagnare grande popolarità. I problemi sono cominciati quasi subito dopo, quando Putin è tornato al potere era chiaro che lo Stato stava prendendo una strada sempre meno democratica. Non si è trattato di un cambiamento improvviso e istantaneo.


Ho fatto in tempo a lavorare per media statali, per NTV, un’emittente televisiva legata a Gazprom, quindi di fatto controllata dallo Stato. Fino all’inizio del conflitto ucraino, nel 2014, non era troppo difficile evitare i temi politici controversi. Poi è cominciato il conflitto con l’Ucraina: o si era a favore, o si era contro, e quindi nemici dello Stato. Ho deciso di lasciare NTV nel 2015. Tre settimane prima delle dimissioni stavo seguendo i lavori del G7 in Baviera. Sono stato intervistato da un canale tedesco e mi è stato chiesto se pensassi che Putin si ritenesse offeso per il fatto di non essere stato invitato al G7 dopo avere scatenato questa guerra. Io ho risposto di sì e in questo modo ho perso il mio lavoro tre settimane prima del previsto…


Quindi sarà peggiorata anche la situazione di TV Rain…


Le difficoltà serie per TV Rain sono iniziate molto tempo prima. Per esempio, nel 2013, nel corso di un programma dedicato alla Seconda Guerra Mondiale hanno lanciato un sondaggio fra gli spettatori, chiedendo se fosse stata una decisione corretta quella di combattere per Leningrado o se sarebbe stato meglio arrendersi, salvando la vita a centinaia di migliaia di persone. Solo per il fatto di avere posto questo interrogativo, il canale è stato disconnesso dal sistema di trasmissione e ha perso tutta la pubblicità. I problemi sono aumentati di anno in anno.


Il colpo di grazia è arrivato con la legge contro le “fake news” sull’“operazione speciale”. Ogni informazione che non coincideva con la versione ufficiale del Ministero della Difesa sarebbe stata illegale e avrebbe potuto comportare sette anni di reclusione. Indiscrezioni su questa legge avevano cominciato a trapelare già diversi giorni prima della sua approvazione e noi non abbiamo voluto aspettare, perché già il fatto di chiamare la guerra “guerra” ci avrebbe fatti finire in carcere, pertanto abbiamo deciso di lasciare il Paese appena possibile. Alcuni mezzi d’informazione hanno cercato di continuare a esistere anche in queste circostanze, come “Novaja Gazeta”, il giornale diretto dal Premio Nobel Dmitrij Muratov, autocensurandosi, ma anche così non sono riusciti a evitare la chiusura. Ora anche “Novaja Gazeta” pubblica all’estero.


È un’enorme sfida per tutti noi. Come possiamo lavorare in queste condizioni? Come possiamo raggiungere il nostro pubblico, se anche social network come Facebook sono accessibili solo usando una VPN? Come possiamo coprire gli avvenimenti in Russia, se anche dare spazio alle voci critiche che ancora sono in Russia significa causare problemi alle persone che si trovano là?


Cosa pensa della richiesta di Finlandia e Svezia di entrare nella NATO? Non rischierà di inasprire il conflitto?


Rispetto all’affermazione che sarebbe meglio trovare delle vie di comunicazione e non arrivare a un confronto aperto la Russia sono in disaccordo. Secondo me, ciò che ci ha portati a questo conflitto è stato in parte il comportamento incoerente dell’Europa, la speranza che cercare di costruire il dialogo sul terreno dell’economia avrebbe evitato il conflitto. Come vediamo non è accaduto.


Vladimir Putin non capisce la lingua del dialogo perché dietro il dialogo vede solo debolezza. Vede che l’Europa è troppo debole e decentrata, che teme la Russia. È una situazione simile a quella che l’Europa affrontò nel caso di Hitler negli anni Trenta. Non voglio paragonare Putin a Hitler, sarebbe troppo volgare, ma l’approccio è molto simile. Allora tutti i leader europei sperarono fino all’ultimo che il dialogo sarebbe bastato, pensavano che forse, dopo avere avuto la Polonia e parte della Cecoslovacchia, si sarebbe calmato. Questa politica di appeasement portò nel caso di Hitler a un senso di impunità. Ed è la stessa cosa che vediamo con Putin, che ha moltissimi sostenitori in Russia; questa guerra è sostenuta da milioni di russi. Putin si sente forte e considera l’Europa un’entità debole, che sbraiterà per qualche settimana, ma poi dimenticherà questa terribile guerra perché i prezzi del petrolio cresceranno o i supermercati si svuoteranno. Ciò è molto pericoloso. L’unica cosa che Putin e i suoi sostenitori capiscono adesso è il linguaggio della forza.


Molti chiedono a giornalisti o attivisti politici russi quale sia il modo per uscire da questo conflitto. Purtroppo, suonerà terribile, ma io non vedo altra via d’uscita, se non una vittoria militare dell’Ucraina. L’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO è un passo logico, un passo che mostra che non abbiamo paura e vogliamo essere parte di questa comunità europea perché questa è la battaglia tra il bene e il male, per quanto primitivo possa suonare.


È così che io la vedo e che la vedono molti ucraini e russi che sono stati costretti a fuggire. Una soluzione pacifica non può esistere.

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