(di Alessandro Catalano, professore di lingua e letteratura ceca presso l’Università di Padova e candidato socio di Memorial Italia)
22 aprile 2022
Aggiornato 04 ottobre 2022 alle 09:15
Ma la cultura è davvero un’oasi libera che costruisce ponti e va pertanto esclusa a priori da sanzioni di marca eminentemente politica ed economica? Il caso di Sergej Luk’janenko può aiutare a rispondere alla domanda.
Il legame tra guerra e letteratura non è facile da affrontare nel contesto dell’invasione dell’Ucraina e l’indignazione seguita alla grottesca censura delle lezioni su Dostoevskij di Paolo Nori ha in buona parte fatto scivolare in secondo piano quello che dovrebbe essere il vero tema in discussione: ma la cultura è davvero un’oasi libera che costruisce ponti e va pertanto esclusa a priori da sanzioni di marca eminentemente politica ed economica? Ed è pensabile oggi una cosa così odiosa come censurare letteratura, cinema, musica e arti figurative? In fondo però fino a poche settimane fa anche una guerra in Europa sembrava impossibile.
Fare un discorso serio su premesse inconsistenti, come demonizzare uno scrittore che ha analizzato più di un secolo fa il male dell’uomo (e nell’uomo), è naturalmente ridicolo, ma ci sono casi che coinvolgono questioni morali ben più complesse, anche se purtroppo sappiamo troppo poco degli scrittori russi che sostengono attivamente l’attuale politica del governo russo. Una seria analisi del rapporto degli artisti russi “ufficiali” con la questione ucraina manca del tutto nel contesto italiano, mentre si tratta di un problema di cui si dovrebbe discutere apertamente. Sui giornali cechi è stata ad esempio discussa la decisione di un’importante casa editrice di bloccare la propagazione delle opere di un rinomato scrittore russo di fantasy e dedicare i proventi delle vendite dei suoi libri ad associazioni che sostengono i profughi ucraini. È bene sottolineare che non si tratta di una generica iniziativa di discriminazione della cultura russa, ma della volontà di non produrre proventi per un autore che sostiene apertamente i bombardamenti sull’Ucraina.
Argo è una raffinata casa editrice che pubblica, tra le altre cose, le opere complete di Umberto Eco e George Orwell, un’importante collana di autori angloamericani e originali lavori storiografici. Tra i numerosi volumi di fantascienza ha tradotto, in collaborazione con un’altra casa editrice, anche alcuni noti autori del fantasy russo, tra cui Sergej Luk’janenko. Nato in Kazakhstan nel 1968, l’anno della triste esperienza della Primavera di Praga, è oggi uno dei più conosciuti e premiati autori russi di fantasy, in particolare grazie al “Ciclo dei guardiani” tradotto in più di 20 lingue. Dai suoi “urban fantasy in stile moscovita”, inaugurati con I guardiani della notte, sono poi stati tratti film di grande successo, conosciuti anche all’estero. Luk’janenko è un autore apprezzato anche in Italia: Mondadori ha pubblicato tra il 2005 e il 2015 cinque dei romanzi del ciclo più noto dello “Stephen King dell’Est”, che “ha ridisegnato i confini del fantasy”, riproponendoli poi anche in versione Oscar. La stessa casa editrice ha inoltre pubblicato La torre del tempo nel 2011, mentre Fanucci ha tradotto nel 2014 il volume Trix Solier. L’apprendista mago.
Già in passato l’autore non aveva lesinato dichiarazioni controverse, negando l’autorizzazione a pubblicare le proprie opere in ucraino o definendo le proteste del 2014 “un crimine simile a un cambio di sesso forzato”. Oltre al caso specifico sarebbe poi forse opportuno allargare il discorso anche alle modalità di rappresentazione di un certo tipo di fantasy, incentrato sulla costante lotta tra mondo delle Tenebre e mondo della Luce. Già nel 2014 Cathy Young si era soffermata sul fenomeno russo della “guerra degli scrittori di fantascienza”, che avevano predetto la guerra in Ucraina e lo scontro frontale con la NATO (ad esempio in due romanzi di Fedor Berezin, che ha poi anche combattuto sul fronte russo).
La decisione, apparentemente sorprendente, di un editore come Argo di eliminare dal proprio catalogo sia Luk’janenko che Vladimir Vasilev, coautore di alcuni dei volumi del ciclo, è una diretta conseguenza delle azioni dell’autore, firmatario assieme a un nutrito numero di autori russi di un’esplicita dichiarazione di condanna del “nazismo del XXI secolo” e di approvazione della guerra, datata 28 febbraio. Nella lettera aperta al festival letterario “Stelle sul Donbass”, i firmatari hanno infatti espresso in termini molto espliciti il loro sostegno all’esercito e al capo supremo, Putin, che ha dato via all’“operazione speciale per la denazificazione e demilitarizzazione dell’Ucraina”. A questo punto Argo ha preso decisamente le distanze dall’autore e oggi tutte le informazioni che lo riguardano sono sparite dal sito della casa editrice, anche se i suoi libri risultano normalmente in vendita online.
I quotidiani cechi hanno poi ripreso una piccata replica di Luk’janenko, che ha accusato i cechi di irriconoscenza nei confronti dell’Armata rossa e di un’innata propensione al nazismo, parlando tra l’altro di profanazione delle tombe dei soldati caduti per liberare Praga e di distruzione di monumenti russi nella Repubblica ceca. Il caso che ha suscitato più clamore, anch’esso meritevole di attenzione sia per le argomentazioni ceche che per la reazione da parte russa, è quello della rimozione della statua del maresciallo Ivan Konev, liberatore di Praga nel 1948, ma poi protagonista anche della repressione ungherese del 1956, della crisi di Berlino del 1961 e, sia pure in modo secondario, dell’invasione della Cecoslovacchia del 1968. In ogni caso il virulento dibattito che ha accompagnato la rimozione della statua non corrisponde all’interpretazione datane dall’autore russo. Nella sua reazione Luk’janenko non ha evitato nemmeno l’ormai onnipresente riferimento a supposte “manifestazioni di nazismo, che hanno messo radici e continuano a prosperare” nella Repubblica ceca. L’editore ha poi chiarito che non intendeva censurare l’opera dell’autore da un punto di vista ideologico, ma che rifiuta l’idea di contribuire al profitto di chi si è schierato in modo così esplicito per una guerra che agli occhi dei cechi, ovviamente, non può non ricordare l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968.
Con buona pace dei burocrati che hanno inutilmente scomodato Dostoevskij, il caso di Luk’janenko sembra offrire una base molto più solida per valutare che tipo di sanzioni immaginare, non certo per la cultura russa in quanto tale, quanto per chi, scrittore o meno, sostenga in modo così brutale il progetto di “denazificazione” dell’Ucraina. Sappiamo molto sulla tradizionale opposizione della letteratura russa nei confronti del potere, zarista prima e comunista poi, ben poco ci è stato invece detto sul concreto sostegno espresso da decine di scrittori russi, in questo caso per lo più legati al fantasy. E, anche alla luce delle successive frasi di Luk’janenko nei confronti del nazismo intrinseco dei cechi, sembra quanto meno legittimo chiedersi se la decisione dell’editore ceco sia stata davvero fuori luogo.