In memoria di Sergej Kovalëv (1930-2021)

Il ricordo di Aleksandr Čerkasov per Sergej Adamovič Kovalëv, scomparso il 9 agosto, seguito dal profilo biografico compilato da Nikolaj Mitrochin.

Il toccante ricordo di Aleksandr Čerkasov per Sergej Adamovič Kovalëv, scomparso il 9 agosto, seguito dal profilo biografico compilato da Nikolaj Mitrochin.

 

Il maratoneta

 

Oggi all’alba, alle cinque di mattina, nel sonno, Sergej Adamovič Kovalëv, il nostro vecchio compagno, maestro e collega, è morto. Ha discusso instancabilmente e anche polemizzato con noi, con i suoi avversari, e con il destino. Uno scienziato e ricercatore, che in tutto cercava un ordine. Ha lottato contro l’ordine costituito, a volte uscendone vittorioso, e senza mai lasciarsi andare allo scoramento e alla disperazione nella sconfitta. Un uomo dal sapere enciclopedico la cui vita ha riempito uno spettro di esperienze di ampiezza rinascimentale: ora lo si può dire, senza timore di ricevere una sua replica sprezzante. Quanto ha vissuto Sergej Adamovič basterebbe in effetti per numerose vite piene e complete.

Fu scienziato e biologo. Dai tempi della scuola era membro del “Club dei giovani biologi dello zoo”. Studiò alla facoltà di biologia negli anni per niente allegri in cui Lysenko dominava la disciplina. Quando Stalin morì e tutti furono costretti partecipare a cerimonie pubbliche di lutto, alla facoltà Kovalëv stava portando un cane da qualche parte. A chi lo chiamava alla cerimonia, rispose quasi senza pensarci: “Ma un cane vivo è più importante di un leone morto!” Sì, i vivi sono sempre stati più importanti per lui… Lo scienziato ha sempre convissuto in lui con l’attivista, e quando all’inizio degli anni sessanta i seguaci di Lysenko rialzarono la testa, gli scienziati dovettero piantare l’ultimo chiodo nel coperchio della bara. Il chiodo fu un articolo pubblicato sulle Izvestija, firmato dall’accademico premio Nobel Nikolaj Semënov ma scritto da Sergej Kovalëv e da un suo amico del Club dei giovani biologi, Levon Čajlachjan. Questo attivismo non era che una prosecuzione del lavoro scientifico. Kovalëv ricevette il suo dottorato, e lavorò poi all’Università statale di Mosca, nel laboratorio di Izrael Moiseevič Gel’fand.

Fu a questo punto che lo scienziato e l’attivista iniziarono a scontrarsi. Nella seconda metà degli anni sessanta, Sergej Kovalëv fu fortemente coinvolto, con il suo caratteristico rigore, nel movimento per la difesa dei diritti umani, che non era ancora chiamato movimento “dissidente”. Una volta Gel’fand chiese a Kovalëv: “Lei dice che il sistema è marcio, e che se qualcuno alzasse un dito crollerebbe. Ma si diceva la stessa cosa di Bisanzio!”. Pare che Kovalëv abbia risposto (non di getto, ma durante la discussione): “Ma sì, trecento anni: come scadenza a me va bene!”.

Questa impostazione si è rivelata giusta: il regime è poi caduto in meno di trent’anni, ma solo perché Sergej Adamovič e i suoi amici erano maratoneti che non si aspettavano una vittoria rapida. E al tempo, nel 1969, Sergej Kovalëv e il suo amico Aleksandr Lavut furono costretti a lasciare l’università.

Sergej Adamovič, persona di princìpi solidi, si era unito alla dissidenza nell’autunno del 1968, durante il processo ai manifestanti che avevano protestato contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Lui non fu né un capo, né un oratore, né un manifestante: il destino lo condusse quasi naturalmente alla “Cronaca degli avvenimenti correnti”. I primi redattori furono arrestati: dapprima Natalja Gorbanevskaja, che aveva inventato la “Cronaca” nel 1968, poi Il’ja Gabaj. Nonostante gli arresti, per quindici anni la “Cronaca”costituì l’essenza, lo stile e il nucleo del movimento per i diritti umani in Unione Sovietica. I poeti erano stati sostituiti dagli studiosi: Kovalëv ora compilava e curava la “Cronaca” con la sua tipica precisione e meticolosità.

Gli arresti di quelli che il KGB considerava i “leader” e “capi”, le loro confessioni e pentimenti, le intimidazioni nei confronti di coloro che rimanevano in libertà, portarono nel 1972 alla sospensione della pubblicazione della “Cronaca”. Fu ripresa nel 1974, questa volta da persone che si assumevano apertamente la responsabilità della sua distribuzione: Tat’jana Velikanova, Sergej Kovalëv, e Tat’jana Chodorovič. “Responsabilità” non era una parola vuota: nel dicembre 1974, Kovalëv stesso fu arrestato.

Durante le indagini, il KGB decise di dimostrare che la “Cronaca” era una pubblicazione diffamatoria. Sui numeri di cui Kovalëv era responsabile, erano usciti circa un migliaio di articoli. Furono trovate imprecisioni in dieci articoli, se non sbaglio. Le imprecisioni significative non erano neanche la metà. L’indagine del KGB involontariamente confermò la qualità della “Cronaca degli avvenimenti correnti”, ben più alta di quella degli attuali mezzi di comunicazione di massa.

Il verdetto fu di sette anni di lavori forzati e tre anni di confino. Sergej Adamovič scontò la pena nei campi di Perm, nella prigione di Čistopol’, e al confino alla Kolyma. Nel campo di prigionia capitava spesso di dover lottare per i propri diritti, e dunque c’era di che scrivere sulla “Cronaca”. Le autorità del campo risposero nella loro lingua: isolamento e passaggio al regime carcerario.

Il KGB prese anche degli ostaggi: Ivan Kovalëv e Tat’jana Osipova, figlio e nuora di Sergej Adamovič, furono arrestati e condannati. La posta del ricatto era l’altrui destino. Kovalëv superò anche questa prova.

La libertà, giunta nell’anno orwelliano 1984, comportava comunque restrizioni come il divieto di risiedere nelle città più importanti. Ma improvvisamente arrivò il 1985. In meno di trent’anni, dei trecento di cui Kovalëv aveva parlato con il suo maestro Gel’fand, il muro crollò. Come mai? Probabilmente perché c’erano persone disposte a correre la maratona.

E anche perché venivano riempite le pagine di quel “Registro dei reclami” di cui parla Lancillotto ne Il drago di Evgenij Švarc. Non da sole, ma dai lavori di Sacharov, Solženicyn, Kovalëv, e molti, molti altri… Perché la gente leggeva quel Registro, leggeva la “Cronaca”, leggeva vari samizdat, e la loro comprensione del mondo cambiava. Molte domande scomode trovavano risposta, e la reazione degli individui a queste risposte passava da “Impossibile!” a “C’è del vero…” a “E chi non lo sa?”.

Nella primavera del 1988 Sergej Adamovič e i suoi amici e collaboratori fecero conoscenza con i membri di Memorial. Nel 1989, Memorial promosse la candidatura di Andrej Sacharov a deputato del popolo dell’URSS, e nel 1990 di Sergej Adamovič Kovalëv a deputato del popolo della Russia. Nel Soviet Supremo, Sergej Adamovič presiedeva il Comitato per i diritti umani, e Memorial appoggiò il suo lavoro. Molti ex dissidenti e molti membri di Memorial all’epoca divennero deputati. Alcune cose le si riuscì a cambiare, ad esempio nel sistema penitenziario, che Kovalëv aveva provato sulla propria pelle.

Tuttavia, i tempi nuovi non portarono alla scomparsa delle massicce e grossolane violazioni dei diritti umani, ma alla loro trasformazione: al posto delle repressioni politiche, arrivarono i conflitti etnici e sociali. Prima alla periferia dell’Unione Sovietica durante il suo crollo, poi in Russia: il distretto di Prigorodnij nel 1992, Mosca nel 1993 e la Cecenia nel 1994.

In Cecenia il “gruppo Kovalëv” iniziò a lavorare nel dicembre 1994. Furono fatti tentativi di mettere in piedi dei negoziati. Furono scritti reportage dalla città dove i civili venivano bombardati. Furono stilate le prime liste di prigionieri di guerra, che i generali avrebbero preferito dimenticare. Furono scritte relazioni sui campi di filtraggio e sulle operazioni di rastrellamento. Furono salvate vite umane. Ma, in definitiva, divenne chiara anche l’impossibilità di cambiare qualcosa. E così fu per sei mesi, prima di Budënnovsk, prima dell’ospedale con 1500 ostaggi catturati dai terroristi di Šamil Basaev. Lì, dopo il fallimento di un folle assalto all’ospedale da parte delle forze speciali, il “gruppo di Kovalëv” riuscì ad entrare in trattative e alla fine ottenne il rilascio di 1500 ostaggi in cambio di centocinquanta volontari che divennero “scudi umani” per i terroristi, ai quali fu garantito un corridoio fino alla Cecenia. Anche i membri del “gruppo Kovalëv” – i deputati Borščev, Molostov, Rybakov, Kuročkin, Osovcov, il membro di Memorial Orlov, e altri – divennero ostaggi volontari. Poi a Groznyj iniziarono i negoziati di pace sotto l’egida dell’OSCE. Per sei mesi ci fu una specie di pace. Ma tre giorni a quaranta gradi in un autobus rovente sono stati troppo per il cuore di Sergej Adamovič…

Per questo è stato onorato con la più alta onorificenza statale. Ma non della Russia, bensì della Francia, dove fu insignito della Legion d’Onore per l’impresa di Budënnovsk. L’unica onorificenza ricevuta dallo stato sovietico e poi russo rimase la condanna al campo di lavoro.

Il “gruppo Kovalëv”, ovvero la “Missione di osservazione delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani”, ha continuato a lavorare nel Caucaso, soprattutto grazie ai membri di Memorial. Ma un “reale impatto macroscopico” non ci fu più. La sensazione era che il pendolo della storia avesse oscillato all’indietro.

 

*****

Provando a riassumere…

Uno scienziato la cui carriera potenzialmente brillante è stata interrotta nella fase ascendente. Un attivista per i diritti umani e un redattore che è stato allontanato dalla società, dalla penna e dalla carta per dieci anni. Un politico, un deputato, un personaggio pubblico, che è stato emarginato.

Un uomo del genere difficilmente potrebbe essere definito di successo, ma tutto dipende da cosa si intende per successo.

È stato un idealista pragmatico, un libero pensatore che ha tramutato il pensiero in azione. Un uomo che non ha mai abbandonato i suoi compagni e le sue convinzioni. Un maratoneta che ha corso la sua parte di percorso e ha passato il testimone.

Alle veglie funebri Kovalëv diceva sempre: “Ai morti, sempre vivi!”, e beveva con un brindisi. Sergej Adamovič rimane con noi.

Aleksandr Čerkasov,

Presidente del consiglio di direzione del Centro per i diritti umani “Memorial”

Membro del Direttivo di Memorial Internazionale

Sergej Adamovič Kovalëv (02.03.1930–09.08.2021)

Biofisico, attivista per i diritti umani, membro del Gruppo di iniziativa per la difesa dei diritti umani in URSS, tra i responsabili della “Cronaca degli avvenimenti correnti”, uomo politico e figura pubblica.

 

Nato in Ucraina nord-orientale, nella regione di Sumi (il padre era ferroviere), trascorse l’infanzia e la giovinezza nel villaggio operaio di Podlipki vicino a Mosca.

Nel 1952 si laurea in Scienze biologiche all’Università di Mosca e nel 1955 vi consegue il dottorato. Autore di oltre 60 pubblicazioni, dedicate prevalentemente allo studio dell’elettrofisiologia del tessuto miocardico.

Dal 1965 al 1969 è ricercatore senior e responsabile del laboratorio interfacoltà di Metodi matematici per la Biologia clinica dell’Università di Mosca, distinguendosi come uno dei massimi specialisti.

Insofferente sin da ragazzo all’ideologia sovietica, accantonò l’idea di intraprendere gli studi umanistici, preferendovi le scienze naturali. Tuttavia proprio nei primi anni universitari si trovò ad affrontare il dominio incontrastato delle teorie di Lysenko, scoprendo che anche la biologia era fortemente condizionata dall’ideologia.

La prima aperta manifestazione di opposizione alle teorie di Lysenko risale al 1956, con la firma di una lettera al preside di Facoltà in cui si sosteneva la necessità di una radicale revisione dei corsi di genetica. Mentre la pressione delle diverse organizzazioni di partito portarono molti firmatari a ritirare le proprie firme, Kovalëv fu tra i pochi a resistere. Nell’immediato non subì alcuna ritorsione, ma da quel momento finì nel mirino del KGB, come scoprì poco tempo dopo, quando i funzionari dell’organizzazione poliziesca tentarono di convincerlo a diventare un informatore.

La volontà di dedicarsi alla difesa dei diritti umani si manifestò nel 1965, all’epoca del processo contro Daniel’ e Sinjavskij: nel suo Istituto di biofisica Kovalëv si fece promotore di una serie di lettere aperte in loro difesa e nel 1967-68 firmò altre lettere di protesta in occasione del “processo dei quattro” contro Aleksandr Ginzburg e gli altri 3 autori del “Libro bianco” sul processo di Daniel’ e Sinjavskij. Nell’ottobre del 1968, all’epoca del processo contro i partecipanti della manifestazione sulla Piazza Rossa contro l’invasione della Cecoslovacchia, conobbe Pëtr Grigorenko, Tat’jana Velikanova, Natal’ja Gorbanevskaja e altri attivisti e iniziò a collaborare con loro. Nel maggio 1969 con il suo amico e collega Aleksandr Lavut entrò a far parte del “Gruppo di iniziativa per la difesa dei diritti umani in URSS”: sua la firma della maggior parte dei documenti del Gruppo. A partire da quella data fu sottoposto a continui interrogatori e perquisizioni. Fu espulso dall’Università e trovò un impiego come ricercatore presso la stazione sperimentale di bonifica della pesca di Mosca.

Estese i suoi contatti ai dissidenti lituani e georgiani e dal marzo del 1972 contribuì alla diffusione nei paesi occidentali della “Cronaca della Chiesa Cattolica lituana”.

Dal settembre 1974 entrò a far parte della sezione sovietica di Amnesty International. All’inizio del 1972 entrò a far parte della redazione della “Cronaca degli avvenimenti correnti” e ne diventò ben presto direttore responsabile, curandone le edizioni dei numeri 24-27. Dopo la sospensione delle pubblicazioni all’inizio del 1973, si impegnò per riprenderle e partecipò all’edizione dei numeri “retrospettivi” 28, 29 e 30, che coprivano il periodo da metà ottobre 1972 a fine dicembre 1973. Il 7 maggio 1974 insieme a Tat’jana Velikanova e Tat’jana Chodorovič presentò questi tre numeri alla stampa occidentale convocando una conferenza stampa nel suo appartamento, annunciando ufficialmente la ripresa delle pubblicazioni e sostenendo la necessità di diffondere la “Cronaca”. Quest’annuncio equivaleva all’uscita dall’anonimato e al riconoscimento esplicito della partecipazione dei tre redattori all’edizione del bollettino, mentre la ripresa delle pubblicazioni era la dimostrazione del superamento della crisi vissuta dal movimento dei diritti umani tra il 1972 e il 1973.

Successivamente Kovalëv partecipò come direttore responsabile all’edizione dei numeri 32, 33 e, solo parzialmente del numero 34. Proprio durante la preparazione di quel numero venne arrestato con l’accusa di propaganda antisovietica. Tra i capi di imputazione vi erano la ripresa delle pubblicazioni della “Cronaca” e la partecipazione all’edizione di 7 numeri, la firma di molti appelli del “Gruppo di iniziativa per la difesa dei diritti umani” e di molti altri documenti, la diffusione di “Arcipelago Gulag” di Solženicyn e della “Cronaca della Chiesa Cattolica lituana”. Le informazioni di quest’ultima pubblicazione venivano inoltre utilizzate anche per la “Cronaca degli avvenimenti correnti”. Quest’ultimo capo d’imputazione servì come pretesto per trasferire a Vilnius il processo, che si tenne dal 9 al 12 dicembre 1975. Kovalëv, trasferito nella capitale lituana subito dopo l’arresto, respinse tutte le accuse e polemizzò aspramente con il procuratore, tanto che il secondo giorno venne allontanato dall’aula.

I dissidenti lituani e gli attivisti moscoviti (tra loro Andrej Sacharov) non furono ammessi in aula. Le proteste contro la condanna (7 anni di campo di lavoro e 3 di domicilio forzato) ebbero ampia risonanza internazionale. In URSS la petizione “Libertà per Sergej Kovalëv” raccolse 178 adesioni, un numero molto alto per quel periodo, e fu firmata anche dai detenuti del carcere “politico” di Perm’ e di Vladimir. L’arresto e la condanna di Kovalëv spinsero il figlio Ivan ad aderire al movimento in difesa dei diritti umani. Kovalëv scontò la pena nelle colonie penali di Perm’; nel 1980, in seguito alla partecipazione alle proteste carcerarie venne trasferito al carcere di Čistopol’; tra il 1982 e 1984 scontò il periodo di domicilio coatto nella regione di Magadan, lavorando come operaio e poi tecnico di laboratorio.

Dopo la liberazione si trasferì a Kalinin (Tver’) e nel 1987 tornò a Mosca, dove si inserì rapidamente nelle diverse iniziative democratiche: partecipò alla fondazione del gruppo “Glasnost’” (1987–1989), all’organizzazione del Seminario Internazionale sui problemi delle discipline umanistiche (dicembre 1987), a partire dalla metà del 1989, su invito di Andrej Sacharov, divenne co-presidente del Gruppo di progettazione sui diritti umani della Fondazione Internazionale per la sopravvivenza e lo sviluppo, aderì al Moscow Helsinki Group e nel gennaio 1989 al primo congresso di “Memorial” fu eletto nel comitato direttivo.

All’inizio di dicembre 1989, su richiesta di Sacharov, presentò la propria candidatura per il Congresso dei Deputati del popolo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, sostenuto dalla lista “Russia democratica” e dall’Associazione Memorial, risultando eletto in una circoscrizione moscovita. Al primo Congresso del maggio-giugno 1990 venne eletto nel Consiglio Supremo della RSFSR, divenendo anche presidente del suo Comitato per i diritti umani e membro del Presidio del Consiglio Supremo. Fu tra gli autori della “Dichiarazione dei diritti e delle libertà dell’uomo e del cittadino in Russia”, approvata dal Consiglio Supremo il 22 novembre 1991, della Legge sulla riabilitazione delle vittime delle repressioni politiche, approvata il 18 ottobre 1991, dell’articolo 2 della Costituzione della Federazione Russa del 1993 sui diritti e le libertà dell’uomo e del cittadino.

Si fece promotore di alcune modifiche della legislazione penitenziaria volte a tutelare i diritti e le condizioni di vita dei carcerati.

Tra gli organizzatori del congresso internazionale “Pace, progresso e diritti umani” tenutosi a Mosca in memoria di Sacharov dal 21 al 25 maggio 1991, partecipò a numerosi convegni sui diritti umani in Russia e all’estero.

Dal 1992 fu tra i dirigenti di primo piano di Memorial e Memorial Internazionale.

Nel settembre-ottobre 1993, durante la crisi politica che vide l’opposizione del Consiglio Supremo a El’cin, sostenne il presidente e approvò lo scioglimento del Congresso dei Deputati del popolo, protestando tuttavia contro le azioni della polizia durante lo stato d’emergenza. El’cin lo nominò presidente della Commissione presidenziale per i diritti umani.

Nominato presidente del movimento “La Scelta della Russia”, entrò a far parte del gruppo dirigente del partito “La scelta democratica della Russia” e successivamente, dopo lo scioglimento del partito, della formazione politica “Unione delle forze di destra”. Fu eletto deputato della Duma nel 1993, 1995 e 1999 e venne inserito nella delegazione russa al Parlamento del Consiglio d’Europa.

Nel gennaio 1994 venne nominato dalla Duma Commissario per i diritti umani per la Federazione Russa e iniziò a lavorare alla legge “Sul Commissario per i diritti umani nella Federazione Russa”, approvata nel 1997, dopo che Kovalëv aveva abbandonato gli incarichi politici.

Durante la prima guerra cecena (1994–1996) la sua dura opposizione alla politica presidenziale sulla questione cecena e l’impiego dell’esercito contro i separatisti, acquistò risonanza internazionale. Fu a capo della missione di osservatori inviata da diverse organizzazioni nella zona del conflitto, e nel marzo gli venne revocato l’incarico di Commissario per i diritti umani.

Nel 1995 partecipò alle trattative tra il governo russo e i terroristi di Shamil Basaev, che avevano occupato l’ospedale di Budënnovsk e insieme ad altri osservatori si offrì come ostaggio per garantire il rispetto degli accordi.

Nel gennaio del 1996 in segno di protesta contro il protrarsi delle azioni militari, si dimise dalla carica di presidente della Commissione presidenziale per i diritti umani e non accettò più alcun incarico governativo.

Dal 2000 in poi fu uno dei critici più severi della politica interna e estera di Putin; abbandonò l’Unione delle forze di destra, dopo che questa aveva sostenuto Putin e passò al partito “Jabloko”, divenendone parte del suo direttivo.  Nel 2003 si candidò alla Duma con “Jabloko”, ma il partito non superò lo sbarramento elettorale del 5%.

È autore di numerosi articoli e saggi di argomento politico e d’attualità, pubblicati in Russia e all’estero, e di relazioni a conferenze. I suoi contributi più significativi sono pubblicati nella raccolta “Mondo, paese, individuo”, pubblicata nel 2000. Le sue posizioni politiche e storiche complessive sono espresse nel saggio “Prassi dell’idealismo politico”, del 1999. È autore del testo autobiografico “Il volo del corvo bianco”, pubblicato in traduzione tedesca nel 1997.

Per la sua attività nell’ambito dei diritti umani è stato insignito di numerosissimi premi internazionali, tra i quali si possono ricordare quello del Comitato di Helsinki, i premi Kennedy e Olof Palme, il premio Sacharov e quelli di molti paesi europei. Ha ricevuto la Laurea honoris causa dalle Università di Kaunas e Essex. È stato nominato per il Premio Nobel per la pace.

 

Nikolaj Mitrochin

 

Fonte: https://www.memo.ru/ru-ru/memorial/departments/intermemorial/news/596

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Noi, invece, abbiamo snobbato le loro richieste e abbiamo spregiato la memoria di quelle persone e delle vittime della guerra suddetta. La mia colpa, in quanto cittadino del mio Paese, è di avere permesso questa guerra e di non essere riuscito a fermarla. Vi chiedo di prenderne atto, nel verdetto. Tuttavia, vorrei che la mia colpa e la mia responsabilità fossero condivise anche da chi questa guerra l’ha iniziata, vi ha partecipato e la sostiene, e da chi perseguita coloro che si battono per la pace. Continuo a vivere con la speranza che un giorno questo avverrà. Nel frattempo, chiedo perdono al popolo ucraino e ai miei concittadini che per questa guerra hanno sofferto. Nel processo in cui sono stato accusato e giudicato per avere detto espressamente che era necessario porre fine alla guerra, ho già dato piena voce alle mie considerazioni su questa vile impresa umana. Posso solo aggiungere che la violenza, l’aggressione generano solo altra violenza di ritorno, e nulla più. 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Roma, 5 dicembre 2024. Memorial Italia a Più libri più liberi.

Memorial Italia partecipa a Roma all’edizione 2024 di Più libri più liberi con la presentazione di Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione, ultimo volume della collana curata per Viella Editrice. Il regime putiniano e il nazionalismo russo: giovedì 5 dicembre alle 18:00 presso la Nuvola, Roma EUR, in sala Elettra, saranno presentati i volumi, pubblicati da Viella Editrice, Il nazionalismo russo. Spazio postsovietico e guerra all’Ucraina, a cura di Andrea Graziosi e Francesca Lomastro, e Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione, a cura dei nostri Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola. Intervengono Riccardo Mario Cucciolla, Francesca Gori, Andrea Graziosi, Andrea Romano. Coordina Carolina De Stefano. Il volume Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov.

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Bari, 26 novembre 2024. Proiezione del film documentario “The Dmitriev Affair”.

Martedì 26 novembre alle 20:30, presso il Multisala Cinema Galleria di Bari, Andrea Gullotta, vicepresidente di Memorial Italia, presenta il film documentario The Dmitriev Affair, scritto e diretto dalla regista olandese Jessica Gorter e sottotitolato in italiano. Jurij Dmitriev è uno storico e attivista, direttore di Memorial Petrozavodsk. Negli anni Novanta scopre un’enorme fossa comune in cui sono sepolte migliaia di vittime del Grande Terrore. Nella radura boschiva di Sandormoch, in Carelia, inaugura un cimitero commemorativo e riesce a raccogliere persone di varie nazionalità intorno a un passato complesso e conflittuale. Da sempre schierato contro il governo della Federazione Russa, nel 2014 Dmitriev condanna apertamente l’invasione della Crimea. Da allora inizia per lui un calvario giudiziario che lo porta a essere condannato a tredici anni e mezzo di reclusione. Il documentario di Jessica Gorter, realizzato nel 2023, racconta con passione e precisione la sua tragica vicenda. Gabriele Nissim, ha letto per Memorial Italia l’ultima dichiarazione di Jurij Dmitriev, pronunciata l’8 luglio 2020, come parte del progetto 30 ottobre. Proteggi le mie parole. Irina Flige, storica collaboratrice di Memorial San Pietroburgo, ha raccontato la storia della radura di Sandormoch nel volume Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria, pubblicato da Stilo Editrice e curato da Andrea Gullotta e Giulia De Florio. La proiezione è a ingresso libero ed è uno degli incontri previsti dall’undicesima edizione del festival letterario Pagine di Russia, organizzato dalla casa editrice barese Stilo in collaborazione con la cattedra di russo dell’Università degli Studi di Bari. Quest’anno il festival è inserito nella programmazione del progetto Prin 2022 PNRR (LOST) Literature of Socialist Trauma: Mapping and Researching the Lost Page of European Literature ed è dedicato al concetto di trauma nella cornice della letteratura russa del Novecento sorta dalle repressioni sovietiche.

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