Cento anni di Andrej Sacharov

L'evento si terrà giovedì 8 aprile 2021 dalle 11:00 alle 13:00 in diretta Facebook in italiano attraverso i canali di Memorial Italia e della Fondazione Gramsci

Lo scienziato dissidente che ha cambiato il Novecento

Giovedì 8 aprile 2021, 11:00-13:00

Nel 1921 nasceva Andrej Sacharov, lo scienziato dissidente celebre per aver contributo alla creazione della bomba all’idrogeno e successivamente per la posizione critica assunta nei confronti del regime sovietico e in favore dei diritti umani. Una figura tanto complessa quanto fondamentale per il contributo dato alla fisica, al dissenso, alla società civile, al movimento democratico, alla difesa dei diritti umani e alla memoria delle vittime delle repressioni in Unione Sovietica.

A cento anni dalla sua nascita, Memorial Italia, la Fondazione Gramsci e la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli in collaborazione con il Sacharovskij Centr di Mosca hanno organizzato la conferenza “Cento anni di Andrej Sacharov: Lo scienziato dissidente che ha cambiato il Novecento” per ricordare questo protagonista indiscusso della nostra storia.

L’evento si terrà giovedì 8 aprile 2021 dalle 11:00 alle 13:00 e vedrà la partecipazione di diversi ospiti italiani e internazionali che ricorderanno il fondamentale ruolo assunto da Sacharov in diversi aspetti della storia del Novecento. Ai saluti della presidente di Memorial Italia Francesca Gori, seguirà l’introduzione del direttore del Sacharovskij Centr di Mosca Sergej Lukaševskij sulle eredità di Sacharov in Russia e nel mondo.

A seguire, Marcello Flores (Università degli Studi di Siena) introdurrà il progetto politico e civile di uno scienziato che avrebbe preso le distanze dal regime sovietico e si sarebbe impegnato nella causa del disarmo, della pace internazionale e della difesa dei diritti umani; e Piero Spillantini (Università degli Studi di Firenze – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) presenterà il fondamentale contributo di Sacharov alla fisica con le sue tre ipotesi dell’esistenza della antimateria nell’universo.

Successivamente, il presidente della Fondazione Gramsci Silvio Pons tratterà gli anni della perestrojka, concentrandosi sul ritorno di Sacharov sulla scena pubblica e il suo impegno nell’attivismo e nella politica; e la storica Irina Ščerbakova, direttrice del Centro di storia orale e biografia di Memorial e fra i suoi primi collaboratori, ripercorrerà il ruolo di Sacharov nella fondazione di Memorial, l’importante associazione che si occupa del recupero della memoria delle vittime delle repressioni in Unione Sovietica e della promozione dei diritti umani in Russia.

In conclusione, il presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli Valdo Spini esporrà il ruolo e l’influenza di Sacharov e dei dissidenti sovietici sulla scena politica italiana e soprattutto sulla sinistra socialista. Dopo le relazioni, sarà aperto il dibattito con il pubblico.

L’evento sarà moderato da Riccardo Mario Cucciolla (UniOr – Memorial Italia) e sarà trasmesso in diretta Facebook in italiano attraverso i canali di Memorial Italia e della Fondazione Gramsci.

Per ulteriori informazioni:
Memoria Italia – 02 6575317 – info@memorialitalia.it
Fondazione Gramsci – 06 580 6646 – info@fondazionegramsci.org
Fondazione Circolo Fratelli Rosselli – 055 2658192 – fondazione.circolorosselli@gmail.com
Sacharovskij Centr – +7 495 6234401 – info@sakharov-center.ru

 

Cento Anni di Andrej Sacharov

Lo Scienziato Dissidente che ha cambiato il Novecento

RESOCONTO DEL CONVEGNO

di Marta Pacciani

Andrej Sacharov, scienziato, dissidente, attivista e uomo politico. In occasione del centenario della sua nascita, giovedì 8 aprile 2021 l’associazione Memorial Italia, la Fondazione Gramsci e la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, in collaborazione con il Sacharovskij Centr di Mosca, hanno voluto ricordare la figura di maggiore spicco del dissenso sovietico attraverso il convegno online “Cento Anni di Andrej Sacharov. Lo Scienziato Dissidente che ha cambiato il Novecento”.

Dopo i ringraziamenti della presidente di Memorial Italia, Francesca Gori, è intervenuta Marina Sacharov-Liberman, membro della Sacharov Foundation. Quest’ultima ha ringraziato gli organizzatori e il loro desiderio di rendere omaggio all’importante eredità del nonno, soprattutto in relazione alla lotta per la costruzione della pace internazionale e il rispetto dei diritti umani, e per il suo contributo all’astrofisica, anch’esso esplorato dai partecipanti alla conferenza. È particolarmente commovente, ha aggiunto Sacharov-Liberman, che il convegno abbia luogo in Italia – un paese speciale soprattutto Elena Bonner, che si trovava in Toscana quando fu annunciata la nomina di suo marito al Nobel per la pace nel 1975. Circostanze che saranno ricordate più volte nel corso della commemorazione.

Ad aprire il ciclo di interventi ci ha pensato il direttore del Sacharovskij Centr e membro del Comitato di Helsinki di Mosca Sergej Lukaševskij con la sua relazione dal titolo L’eredità di Sacharov, un nuovo secolo: eventi come questo, ha sottolineato, sono quanto mai significativi in un periodo storico nel quale anche il Sacharovskij Centr e lo stesso Memorial vengono identificati come “agenti stranieri” dal governo russo. La dicitura, applicata dal 2012 alle organizzazioni che ricevono fondi esteri, indica soggetti notoriamente guardati con sospetto dalle autorità governative o filo governative e perciò inseriti nella lista nera del Cremlino. L’attività che svolgono, e per la quale vengono discriminati, è quella di chi vuole affermare l’importanza dei valori umanitari e della dignità umana, attraverso un racconto trasparente e libero della situazione politica e sociale interna alla Russia. “In un secolo di guerre atroci, genocidi, campi d’internamento e quarant’anni di opposizione tra due blocchi e sistemi economici inconciliabili”, prosegue Lukaševskij, Andrej Sacharov si è battuto con il suo genio e attraverso la sua lotta sociale per quegli stessi valori.

Da qui ha poi preso piede la ricostruzione dell’attività professionale, sociale e politica di Sacharov: la sua partecipazione al gruppo di scienziati che realizzò la bomba ad idrogeno negli anni Cinquanta, lo studio delle conseguenze delle esplosioni nucleari e la sua cruciale presa di coscienza in merito a tali catastrofici effetti, sia sulla natura che sulla salute umana. Il coinvolgimento in questi lavori fu determinante per il suo passaggio dal ruolo di fisico a quello di leader dei dissidenti: riuscì ad ottenere che i test fossero svolti solo in ambito sotterraneo, ma sapeva che l’impiego che avrebbero fatto altri della loro invenzione, di cui potevano solo immaginare le implicazioni, sarebbe sfuggito a lui e ai suoi collaboratori. Si immerse così nell’attività e nell’impegno civile, sintetizzando il tutto in una battaglia preventiva contro la guerra nucleare, al fine della quale i suoi stretti rapporti con i vertici politici e militari si rivelarono fondamentali. La sua conoscenza e vicinanza con tali ambienti, tuttavia, non lo risparmiarono dall’esilio al quale fu confinato tra il 1980 e il 1986.

L’approccio di Sacharov, ci dice Lukaševskij, ci è ancora utile per capire ad affrontare il mondo di oggi, dove regimi come quello cinese adottano metodi simil-sovietici per reprimere l’opposizione, dove le distorsioni della globalizzazione causano un accesso iniquo alle risorse e alle possibilità offerte dal progresso. Per risolvere i problemi della contemporaneità, tra i quali quelli generati tanto dall’entropia del mondo informatico come dalla censura, vi è bisogno della libertà intellettuale e dello spirito critico impersonati da figure come Sacharov.

Dopo Lukaševskij ha preso la parola Marcello Flores, storico e membro fondatore di Memorial Italia, con la sua relazione Sacharov, disarmo, diritti umani. Flores ha ricordato come, nelle sue memorie, il fisico individuasse il biennio 1965-1967 come quello che lo ha portato alla rottura definitiva con il sistema sovietico. Nel 1965 ebbe luogo il processo contro gli autori di opere satiriche Sinjavskij e Daniel’, che influenzò profondamente Sacharov. L’anno successivo sottoscrisse una lettera collettiva inviata per il 23° congresso del PCUS, nel tentativo di non far riabilitare la figura di Stalin e, nello stesso anno, partecipò ad altre iniziative, come quella per impedire la riforma del codice penale che avrebbe inasprito le restrizioni contro la libertà di pensiero. Molte altre le attività di impegno civico che lo videro coinvolto in quegli anni, incluse quelle per la difesa dell’ambiente (ad esempio per la salvaguardia del Lago Bajkal), ma la svolta giunse nel ‘68, in seguito all’intervento dell’Armata rossa contro la Primavera di Praga. È a partire da quel momento che il suo attivismo subì un’ulteriore impennata (nel 1970 fondò il Comitato per i diritti umani con Andrej Tverdochlebov e Valerij Chalidze), dalla quale scaturirono i primi ammonimenti ufficiali da parte del KGB e la perdita dei suoi privilegi goduti da membro della nomenklatura. Quando Bonner ritirò il suo premio Nobel ad Oslo nel 1975, a Sacharov non era permesso lasciare l’Unione Sovietica.

È alla seconda metà degli anni Ottanta, e alla liberazione di Sacharov dall’esilio a Gorkij su ordine di Gorbachëv, che Flores ci ha lasciato proseguire il nostro percorso accompagnati da Silvio Pons, presidente della Fondazione Gramsci. La sua relazione, Sacharov, Gorbachëv e la perestrojka, ha esplorato il rapporto tra queste due figure storiche: il rilascio del fisico dissidente da parte del segretario del PCUS nel 1986 è una decisione concordemente riconosciuta come passaggio chiave della “ristrutturazione” al tempo in atto nell’URSS, ma anche come atto simbolico di Gorbachëv, prova tangibile del suo progetto di liberalizzazione e della sua intenzione di tessere buoni rapporti sia con l’opposizione politica che con i difensori dei diritti umani. Dagli storici però, ha spiegato Pons, non è stata altrettanto presa in considerazione l’entità della reciproca influenza tra i due personaggi. Mentre Sacharov non esitava ad adottare posizioni critiche e a mantenere uno sguardo vigile nei confronti dell’operato sovietico, nelle sue memorie paragona positivamente Gorbachëv a Chruščëv e rivendica la sua scelta di cooperare in modo costruttivo con il nuovo segretario generale, a dispetto di chi lo accusava di collaborazionismo. Egli, come Gorbachëv, credeva nella convergenza tra URSS e Occidente, strutturata in un realistico programma di relazioni internazionali e favorita da un’URSS riformata, fattore di stabilità globale. Il segretario del PCUS traeva fonte d’ispirazione dai pensieri del dissidente e quest’ultimo diveniva importante interlocutore anche per statisti e intellettuali occidentali in una fase di delicata metamorfosi per l’Unione Sovietica. Allo stesso tempo, certo, Gorbachëv rivelava le sue contraddizioni nel disporre un regime di sorveglianza verso Sacharov, ma considerando la glasnost’, il ritiro dall’Afghanistan e la fine del monopartitismo, al netto di tensioni ed incontri mancati, non appare sbagliato parlare di un positivo ascendente dello scienziato sulla politica gorbacioviana. In conclusione, le due personalità appaiono conflittuali ma anche convergenti: entrambi possedevano visioni universalistiche, contemplavano un mondo interdipendente dove speravano di rinnovare l’inserimento della politica russa – strade proposte, ma poi non intraprese dalla Russia che li ha succeduti.

Irina Sherbakova, membro del consiglio di Memorial International, ha presentato la sua relazione Sacharov e la fondazione di Memorial, associazione che lo scienziato istituì con Lev Ponomarëv il 28 gennaio 1989, battezzandola con il primo nome di Pamyatnik (“monumento” in russo). Entrambi i nomi evocano quello che è lo scopo dell’organizzazione, ovvero il ricordare, il disseppellire la memoria storica e la verità sulle atrocità inflitte in Unione Sovietica a chiunque fosse inviso al regime. Alla fine degli anni Ottanta, ha raccontato la Sherbakova, la lotta per i diritti in Russia si accompagnava alla “lotta per la verità storica” e alla necessità di distinguere il vero passato dalla narrazione ufficiale propinata dalle autorità sovietiche. A tal fine Memorial incentrò inizialmente la propria attività sul recupero della storia del gulag e delle vittime delle repressioni staliniane – argomento dal quale i cittadini erano per lo più tenuti all’oscuro e di cui la società non aveva preso coscienza. Sacharov, in particolare, sosteneva che era necessario ricordare e conservare la storia di tutti, noti e non, per comprendere veramente la realtà del gulag. Quando poi lo scienziato, sotto la spinta e l’incoraggiamento di alleati e collaboratori, si candidò come deputato al Congresso godeva naturalmente dell’appoggio di Memorial, la cui attività, proprio come la candidatura di Sacharov, venivano osteggiati dalla maggioranza – Gorbachev compreso. Sacharov e Memorial si sarebbero battuti, in quel periodo, sia per questioni politiche, come l’ottenimento delle libere elezioni e la fine del monopartitismo, che culturali, come la riabilitazione di Solzhenicyn e la pubblicazione di Arcipelago Gulag (la sua pubblicazione nel 1989, sulla rivista Novij Mir, sarebbe stata impensabile fino ad un anno prima). Il co-fondatore morì il 14 dicembre 1989 e, a trent’anni dalla sua scomparsa, ha concluso la Sherbakova, Memorial fa ancora tesoro del suo monito sull’importanza di tener conto di ogni persona, di ogni destino.

 

Nella sua relazione Materia e antimateria nell’universo: il fondamentale contributo di Andrej Sacharov, lo scienziato e docente di fisica all’università di Firenze Piero Spillantini ha illustrato il prezioso apporto dato da Sacharov allo studio del nostro universo e delle sue origini. Come sappiamo egli non era solo un intellettuale dissidente, un attivista politico e difensore della dignità umana, ma il suo contributo alla scienza va ben oltre la sua collaborazione nel concepimento della bomba ad idrogeno. Il suo lavoro, infatti, lo ha portato alla stesura di una teoria che è tutt’oggi ritenuta il modello di riferimento per la spiegazione, in cosmologia, dell’asimmetria barionica: lo squilibrio tra la quantità di materia e antimateria nel cosmo. Mentre un tempo la teoria dominante vedeva l’universo come strutturato in un’indiscussa simmetria tra particelle e antiparticelle, la scoperta del contrario lasciò per molto tempo la comunità scientifica nella perplessità. Sacharov fornì nel 1967, tramite un breve ma decisivo articolo di tre pagine, la sua spiegazione su come alcune delle particelle presenti nello spazio sarebbero sfuggite all’annichilazione a cui sono normalmente destinate non potendo coesistere con le antiparticelle. Questo processo avrebbe determinato l’asimmetria e la prevalenza della materia, che noi oggi osserviamo. A distanza di quasi cinquant’anni, la sua rimane la proposta più valida per spiegare l’evoluzione della materia e dell’antimateria a partire dalla nascita dell’universo.

L’ultimo intervento è stato quello di Valdo Spini, politico e presidente della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, che ha presentato la relazione L’impegno a sinistra. Sacharov e i dissidenti visti dall’Italia. Ricordando le titubanze dei comunisti italiani nel supportare il dissenso che strepitava oltre al cortina di ferro, a favore di un atteggiamento quasi omertoso nei confronti del potere sovietico, Spini ha raccontato il particolare legame che il suo partito, il PSI, aveva intessuto con quegli stessi movimenti di opposizione politica e, in particolare, con Sacharov e Elena Bonner. Quest’ultima si trovava a Firenze quando partì per Oslo a ritirare il premio Nobel del marito, la sua presenza aveva reso la città un luogo privilegiato per il dibattito sulla politica dei paesi socialisti esteuropei e il consiglio, sebbene diviso dalle polemiche sollevate dai comunisti, discuteva molto in quegli anni delle vicende vissute dal dissenso dei paesi socialisti (come la condanna ai leader di Charta 77) ed organizzava iniziative in suo sostegno. Nonostante i tentennamenti e l’indifferenza del PCI, la profonda opera di Sacharov riuscì ad influenzare la maturazione della sinistra italiana, mettendo in crisi chi pensava che in un sistema socialista non vi fosse che terreno fertile per lo sviluppo economico e sociale – e testardamente sorvolava sulle violazioni dei più fondamentali diritti umani. Al suo arresto nel 1980, il fisico ricevette la cittadinanza onoraria di Firenze, nonostante l’astensione dal voto del sindaco comunista Gabbugiani.

A conclusione dell’incontro e degli interventi esposti, è rimasta l’impressione di aver potuto osservare da vicino una grande personalità nei suoi molteplici aspetti e sfaccettature, attraverso il racconto della sua crescita personale e del contributo che ha dato alla società che lo circondava. La storia di Sacharov conferma pienamente, arricchendo la nostra percezione della seconda metà del Novecento, l’idea di quale sia stato il ruolo del dissenso democratico nelle trasformazioni che scuotevano il mondo in quel periodo storico. Rimane però anche il quesito su quale parte avrebbe ancora potuto interpretare Andrej Sacharov nella più recente storia russa se la morte non avesse posto freno al suo lavoro, l’impressione che avrebbe saputo contrastare i culti della personalità che hanno avvolto e avvolgono El’cin e Putin, le derive autoritarie del paese, le disfunzioni di una politica corrotta e votata al potere. Tuttavia, il suo operato continua ad avere vita e grande potenzialità negli insegnamenti da lui trasmessici, tra i quali il valore dell’incontro tra la politica e la scienza, tra la libertà di pensiero e il pensiero critico.

 

Sacharov e la fondazione di Memorial

di Irina Ščerbakova (Memorial)

Relazione per il convegno “Cento anni di Andrej Sacharov. Lo scienziato dissidente che ha cambiato il Novecento” (Giovedì 8 aprile 2021)

Vorrei spendere qualche parola per parlare del ruolo di Sacharov nella fondazione di Memorial. Nel gennaio 2021 abbiamo inaugurato la mostra “L’ultimo anno. Sakarov e Memorial” dedicata al centenario dalla nascita di Sacharov, mostra che racconta l’istituzione di Memorial sullo sfondo dei tragici eventi dell’89, ultimo anno della vita di Sacharov.

Alla fine degli anni ‘80 la situazione nel Paese stava cambiando alla velocità della luce. Si stava in fila davanti alle edicole e si guardavano con vivo interesse i notiziari televisivi. Nel 1987, nel locale Perestrojka, a Mosca, si tenevano accese discussioni su temi sociali e si era venuto a creare un gruppo che si diede il nome di “Pamjatnik” [in russo monumento/memoriale, N.d.T.], in seguito sostituito con Memorial. Vi presero parte anche giovani attivisti ed ex dissidenti, a cui si unirono sempre più persone di varie età ed estrazione sociale.

Uno dei fondatori di Memorial, poi divenutone il presidente, Arsenij Roginskij, ricorda:

“Tra l’87 e l’88, nel bel mezzo della Perestrojka, l’idea di una verità storica inizia a farsi largo come una sorta di idea nazionale. Nel nostro Paese, la storia della lotta per i diritti, per la libertà e la democrazia era infatti legata alla lotta per una verità storica. Per molti decenni la classica menzogna ufficiale sulla storia giungeva alle orecchie di tutti con gli altoparlanti, o ci veniva infusa tramite i testi scolastici, tuttavia esisteva al contempo una memoria collettiva che si opponeva a tutto ciò clandestinamente, dal basso. Ed ecco che arrivò la possibilità di parlare. Iniziarono ad apparire migliaia e migliaia di pubblicazioni sul passato e sulla verità sul passato. Quest’ondata venne cavalcata da un gruppo di giovani che nel 1987 si diede il nome di Gruppo Memorial e che si pose l’obiettivo di creare un memoriale per le vittime del terrore sovietico. Si trattava di creare non solo un memoriale, ma anche un archivio, un museo, una biblioteca. Un’iniziativa presto accolta da ogni parte dell’Urss: ovunque nascevano gruppi e si raccoglievano firme a sostegno di questo memoriale. Fu così che nacque Memorial”.

All’inizio, però, l’idea stessa di rendere immortale la memoria delle vittime del terrore politico venne resa impossibile dalle autorità. I membri di Memorial iniziarono dunque a raccogliere per le strade di Mosca le firme da consegnare al Soviet Supremo dell’URSS.

Nel giugno 1988 Memorial organizzò la prima manifestazione alla memoria delle vittime di repressioni politiche presso il Palazzetto dello Sport Dinamo. Tra gli oratori c’era Sacharov: fu il suo primo intervento in un evento del genere.

Sacharov era sicuramente la figura più importante nel movimento attivista. Uno degli inventori della bomba H sovietica, che verso la fine degli anni ‘60 capì che il sistema sovietico che aveva tacitamente accettato per molto tempo era per sua natura disumano. Eppure il cammino che aveva compiuto non era stato semplice. Fu un lungo scrollarsi dalle illusioni, e poi, finalmente, l’illuminazione. Sacharov di questo scrive:

“Io sapevo infatti molto di tutti questi crimini: di arresti di innocenti, di torture, fame, violenza. Non potevo pensare ai loro perpetratori se non che con indignazione e ripudio. Ovviamente ero lungi dal saper tutto, non possedevo una netta visione d’insieme. Nel mio subconscio la propaganda mi aveva impiantato l’idea che la crudeltà è inevitabile in certe circostanze storiche (“non puoi fare una frittata se non rompi qualche uovo”). Mi sentivo coinvolto in questo affare che anche Stalin aveva compiuto, creando un potere statale per garantire la pace dopo una guerra terribile. Proprio perché avevo già fatto molto e ottenuto molto, mi ero creato un mondo illusorio per giustificare tutto ciò… ma presto da questo mondo buttai fuori Stalin, e rimanevano lo Stato, il Paese e gli ideali comunisti. Mi servirono anni per capire e sentire che erano solo messinscene, speculazioni, inganni che non corrispondevano alla realtà”.

Ma già dal 1970 Sacharov si buttò a capofitto nell’attivismo politico. Criticava il governo, scriveva lettere a sostegno dei prigionieri politici, seguiva i processi politici nei tribunali. Esortava il governo a far rientrare i tatari della Crimea deportati nel ‘44, ad autorizzare i tedeschi russi della regione del volga ad andare in Germania, a riconoscere le colpe dell’URSS nel massacro di Katyn. La pazienza del governo URSS si esaurì definitivamente quando Sacharov condannò l’invasione dell’Afghanistan da parte delle truppe sovietiche. Il 22 gennaio 1980 lo mandarono in esilio a Gor’kij tenendolo sorvegliato a vista 24/24 in un appartamento.

Con l’ascesa di Gorbačev al potere nel 1985 la situazione nel Paese iniziò a cambiare. Il ritorno di Sacharov dall’esilio di Gor’kij fu un evento chiave: era evidente che si stava arrivando alla maturazione delle trasformazioni politiche nel Paese. Al suo ritorno, iniziò la lotta per la transizione democratica, per l’abrogazione del sistema monopartitico, per elezioni libere, per una nuova costituzione. I membri di Memorial condividevano appieno la sua posizione. Il sostegno di Sacharov a Memorial era fondamentale e ampliava la cerchia dei suoi sostenitori. Qualche tempo dopo Sacharov disse sul suo ruolo nel movimento Memorial:

“Mi sono ritrovato coinvolto in un’associazione la cui fondazione è stata assai drammatica, e probabilmente essa avrà forti ripercussioni sul futuro della vita sociale e sulle coscienze. Si tratta di Memorial”.

A fine giugno 1988 iniziò la 29° Conferenza del Partito comunista e i membri di Memorial avviarono una raccolta di firme per istituire un memoriale delle vittime di repressioni. Era un’idea sostenuta da Gorbačev. L’Ufficio Politico la approvò e ne delegò la creazione al Ministero della Cultura. Fu annunciato un concorso, partì una raccolta di donazioni che sarebbero confluite in un conto apposito. Il bando venne però rinviato e non si poté accedere al conto di Memorial. Così si decise di creare un Consiglio Sociale nel quale sarebbero entrate a far parte personalità di rispetto, famose. Per strada gli attivisti chiedevano alle persone chi volessero candidare per questo consiglio. Coloro che più venivano nominati divennero membri di tale Consiglio. Uno dei primi fu Sacharov. In uno dei primi incontri dei membri del Consiglio lo elessero presidente emerito honoris causa.

L’istituzione di Memorial e l’aumento delle adesioni in tutto il Paese, avvennero tra il 1988 e 1989, anni burrascosi. Ma il processo fu tutt’altro che semplice. Le autorità cercavano di ostacolare Memorial, e l’esito di questa estenuante lotta politica per le riforme e per la democrazia non fu mai scontato. In una nota dell’Agit Prop al vertice del partito si legge che Sacharov esortava Memorial a non limitarsi allo stalinismo, “perché lo stalinismo, l’illegalità e il terrore non si limitano al periodo in cui Stalin è al potere”, e che i membri di Memorial volevano la riabilitazione di Solženicyn, che gli fosse riconsegnata la cittadinanza e pubblicato “Arcipelago Gulag”.

Alla vigilia della conferenza istitutiva di Memorial nel gennaio 1980 l’Ufficio Politico emise un provvedimento ad hoc su Memorial in cui si parlava “dell’infondatezza della creazione di un’organizzazione centralizzata, con dei soci registrati”. Tale provvedimento mirava al controllo di Memorial, a creare un’organizzazione di tipo sovietico, chiamata “associazione”, ma in realtà totalmente controllata dallo Stato.

Alla fine la conferenza istitutiva di Memorial si tenne il 28 e 29 gennaio 1989 e vi parteciparono centinaia di delegati da tutta l’URSS. L’obiettivo principale di Memorial era evidente: ridare nomi a centinaia di vittime anonime. Sacharov nel suo intervento lo sottolineò: “Proprio il destino di persone note e non note deve essere al centro della nostra attenzione”. Arsenij Roginskij disse che tale organizzazione doveva assolutamente avere un carattere internazionale.

Ma c’era ancora molto da fare: lottare contro la casta per ottenere la registrazione dell’associazione.

Il partito non solo temeva la creazione di Memorial. Era anche contro la decisione di candidare Sacharov come deputato. Memorial fu la prima associazione a sostenerne la candidatura. Sacharov scrisse a questo proposito: “Memorial ha avanzato la mia candidatura e dopo di essa l’hanno seguita molte istituzioni e organizzazioni di Mosca. Intervenivo in una riunione organizzata da Memorial nella Casa del Cinema. Mentre stavo arrivando vidi una fila di persone a qualche centinaia di metri da me che volevano entrare nel palazzo. Erano prevalentemente persone che dai loro volti mi sembravano conosciute, che fanno così la fila ad una mostra di Chagall o ad un festival di cinema, persone oneste e intelligenti… Ma lì c’erano sicuramente anche i nuovi attori della scena storica. Sono coloro che dopo qualche mese avrebbero riempito quella piazza enorme dello Stadio Lužniki. Erano persone risvegliatesi da un sonno passivo, che speravano nella Perestrojka, operai e impiegati, la massa più consistente dell’intellighenzia. Mi riconobbero e diedero il loro saluto. Quel giorno sentii di aver ricevuto il mandato morale per fare il deputato”.

Dopo una settimana, nel primo numero del quotidiano “La gazzetta del Memorial” venne pubblicato il programma elettorale di Sacharov, un programma radicale per quel momento: la transizione verso l’economia di mercato, la difesa dei diritti dell’individuo, la libertà di pensiero, l’apertura della società. All’ultimo punto si leggeva “sradicare le conseguenze dello stalinismo. Lo Stato di diritto”. Ciò implicava l’apertura degli archivi dell’NKVD e l’istituzione di una commissione per controllare coloro che detenevano il potere.

A 3 giorni dall’inaugurazione del primo Congresso dei Deputati, il 21 maggio, allo Stadio Lužniki vi fu una manifestazione affinché nel Paese il potere venisse conferito al Congresso. La organizzò Memorial assieme ad altre organizzazioni. Davanti al Lužniki si riunirono più di 100 mila persone. Le autorità non avevano mai assistito ad una cosa simile. Anche Sacharov parlò, anche se non era rimasto soddisfatto del suo intervento. Egli non era un oratore nato. Eppure, milioni di persone da tutto il Paese iniziarono presto a seguire le sue parole. Al primo Congresso dei Deputati Sacharov propose un programma di trasformazioni radicali del Paese, con il Decreto sul potere. E nonostante gli applausi, gli spensero il microfono; riuscì tuttavia a toccare gli aspetti più importanti del suo discorso. Non si poteva però parlare dell’approvazione di questo documento: i sostenitori di Sacharov nel Congresso erano in evidente minoranza, anche se stava godendo del sostegno della società che stava cambiando velocemente.

Le autorità stavano pian piano perdendo posizioni, anche dinanzi alla storia. Nell’agosto la rivista “Novyj mir” iniziò a stampare “Arcipelago Gulag”, cosa che solo l’anno prima sarebbe sembrata impossibile. In occasione del cinquantenario del patto Ribbentropp-Molotov nell’estate dell’89 Memorial preparò la mostra “Un’amicizia sancita dal sangue”, la prima presentazione pubblica di fatti nascosti per lunghi anni e, come si suol dire, di protocolli segreti.

Nonostante i suoi impegni, nel settembre Sacharov partecipa ad una cerimonia di sepoltura delle vittime delle repressioni staliniane a Čeljabinsk. Fu una delle prime iniziative di questo tipo. Durante il grande terrore, i corpi di migliaia di fucilati venivano gettati nelle miniere abbandonate. Nel 1989 di questo scrisse anche un quotidiano locale e i membri di Memorial iniziarono a reperire informazioni su tali fucilazioni, ottennendo la sepoltura delle vittime.

Nella giornata della memoria delle vittime di repressioni politiche, il 30 ottobre, Memorial tenne a Mosca una prima iniziativa di rilievo. I partecipanti si unirono in una catena umana attorno al palazzo del KGB. Alla vigilia di questa giornata, Memorial ogni anno tiene, presso la pietra di Soloveckij posta nel 1990 a memoria delle vittime del terrore, la lettura di nomi dei fucilati alla quale prendono parte migliaia di moscoviti. Iniziative simili si tengono da Memorial anche in altri luoghi.

Quest’anno movimentato terminò col II Congresso dei Deputati. Sacharov e altri 4 delegati del Congresso scrissero una lettera che esordiva con queste parole: “La Perestrojka nel nostro Paese sta incontrando una forte opposizione”. Il congresso apertosi il 12 dicembre fu la dimostrazione di tale opposizione. I delegati che volevano l’abrogazione del 6° articolo vennero messi a tacere e tra la minoranza democratica emergeva la sensazione che il processo di riforma sarebbe finito in un vicolo cieco. Nel suo ultimo suo discorso Sacharov disse: “Noi dichiarandoci opposizione ci assumiamo al contempo la responsabilità delle nostre decisioni”.

La sera di quello stesso giorno, il 14 dicembre, Sacharov morì per un infarto fulminante.

Il commiato del 17 dicembre avvenne nella Casa della Gioventù. Nel picchetto d’onore c’erano i compagni di lotta di Sacharov, in particolare i membri di Memorial. Alle 11 di sera fu necessario arrestare il fiume infinito di persone che portavano l’ultimo saluto, e la bara con il corpo di Sacharov venne spostata nell’Accademia delle Scienze. Vi giunse anche Gorbačev. Roginskij racconta: “Ai funerali Gorbačev andò da Elena Bonner e fece ciò che si fa di solito in queste situazioni: chiese se poteva fare qualcosa per aiutarla. E lei rispose “registrate Memorial”. Ed effettivamente dopo qualche tempo lo statuto di Memorial venne registrato.

La dipartita di Sacharov mostrò l’importanza della sua figura. Neanche la sua fine rallentò, come sperava la nomenklatura sovietica, il processo di perestrojka, anzi lo accelerò. Ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio giunsero decine di migliaia di persone, e i funerali si trasformarono in una manifestazione mastodontica. Il presidente del KGB Krjučkov inviò un comunicato dal titolo “Informazioni su funerali” nel quale si leggeva che vi erano stati “tentativi di canonizzare il defunto”, di trasformarlo in “un simbolo della lotta per la creazione di gruppi di oppositori al Partito comunista sovietico”.

Effettivamente Sacharov era proprio questo simbolo.

Memorial continua a lavorare da più di 30 anni senza Sacharov, ma nonostante le difficoltà e gli ostacoli, i membri di Memorial continuano a proseguirne l’attività, così definita da egli stesso alla fondazione di Memorial: ricordare il valore di ciascun individuo e di ciascun destino.

 

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Pisa, 8-29 novembre 2024. Mostra “GULag: storia e immagini dei lager di Stalin”.

Il 9 novembre 1989 viene abbattuto il Muro di Berlino e nel 2005 il parlamento italiano istituisce il Giorno della Libertà nella ricorrenza di quella data, “simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”. Per l’occasione, l’assessorato alla Cultura del Comune di Pisa porta a Pisa la mostra GULag: storia e immagini dei lager di Stalin. La mostra, a cura di Memorial Italia, documenta la storia del sistema concentrazionario sovietico illustrata attraverso il materiale documentario e fotografico proveniente dagli archivi sovietici e descrive alcune delle principali “isole” di quello che dopo Aleksandr Solženicyn è ormai conosciuto come “arcipelago Gulag”: le isole Solovki, il cantiere del canale Mar Bianco-Mar Baltico (Belomorkanal), quello della ferrovia Bajkal-Amur, la zona mineraria di Vorkuta e la Kolyma, sterminata zona di lager e miniere d’oro e di stagno nell’estremo nordest dell’Unione Sovietica, dal clima rigidissimo, resa tristemente famosa dai racconti di Varlam Šalamov. Il materiale fotografico, “ufficiale”, scattato per documentare quella che per la propaganda sovietica era una grande opera di rieducazione attraverso il lavoro, mostra gli edifici in cui erano alloggiati i detenuti, la loro vita quotidiana e il loro lavoro. Alcuni pannelli sono dedicati a particolari aspetti della vita dei lager, come l’attività delle sezioni culturali e artistiche, la propaganda, il lavoro delle donne, mentre altri illustrano importanti momenti della storia sovietica come i grandi processi o la collettivizzazione. Non mancano una carta del sistema del GULag e dei grafici con i dati statistici. Una parte della mostra è dedicata alle storie di alcuni di quegli italiani che finirono schiacciati dalla macchina repressiva staliniana: soprattutto antifascisti che erano emigrati in Unione Sovietica negli anni Venti e Trenta per sfuggire alle persecuzioni politiche e per contribuire all’edificazione di una società più giusta. Durante il grande terrore del 1937-38 furono arrestati, condannati per spionaggio, sabotaggio o attività controrivoluzionaria: alcuni furono fucilati, altri scontarono lunghe pene nei lager. La mostra è allestita negli spazi della Biblioteca Comunale SMS Biblio a Pisa (via San Michele degli Scalzi 178) ed è visitabile da venerdì 8 novembre 2024, quando verrà inaugurata, alle ore 17:00, da un incontro pubblico cui partecipano Elena Dundovich (docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Pisa e socia di Memorial Italia), Ettore Cinnella (storico dell’Università di Pisa) e Marco Respinti (direttore del periodico online Bitter Winter). Introdotto dall’assessore alla cultura Filippo Bedini e moderato da Andrea Bartelloni, l’incontro, intitolato Muri di ieri e muri di oggi: dal gulag ai laogai, descriverà il percorso che dalla rievocazione del totalitarismo dell’Unione Sovietica giunge fino all’attualità dei campi di rieducazione ideologica nella Repubblica Popolare Cinese. La mostra resterà a Pisa fino al 28 novembre.

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La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz.

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz con curatela di Luca Bernardini (Guerini e Associati, 2024). Una testimonianza al femminile sull’universo del Gulag e sugli orrori del totalitarismo sovietico. Arrestata nel 1945 a ventidue anni per la sua attività nell’AK (Armia Krajowa), l’organizzazione militare clandestina polacca, Anna Szyszko-Grzywacz viene internata nel lager di Vorkuta, nell’Estremo Nord della Siberia, dove trascorre undici anni. Nella ricostruzione dell’esperienza concentrazionaria, attraverso una descrizione vivida ed empatica delle dinamiche interpersonali tra le recluse e della drammatica quotidianità da loro vissuta, narra con semplicità e immediatezza la realtà estrema e disumanizzante del Gulag. Una realtà dove dominano brutalità e sopraffazione e dove la sopravvivenza per le donne, esposte di continuo alla minaccia della violenza maschile, è particolarmente difficile. Nell’orrore quotidiano raccontato da Anna Szyszko-Grzywacz trovano però spazio anche storie di amicizia e solidarietà femminile, istanti di spensieratezza ed emozioni condivise in una narrazione in cui alla paura e alla dolorosa consapevolezza della detenzione si alternano le aspettative e gli slanci di una giovane donna che non rinuncia a sperare, malgrado tutto, nel futuro. Anna Szyszko-Grzywacz nasce il 10 marzo 1923 nella parte orientale della Polonia, nella regione di Vilna (Vilnius). Entra nella resistenza nel settembre 1939 come staffetta di collegamento. Nel giugno 1941 subisce il primo arresto da parte dell’NKVD e viene rinchiusa nella prigione di Stara Wilejka. Nel luglio 1944 prende parte all’operazione “Burza” a Vilna come infermiera da campo. Dopo la presa di Vilna da parte dei sovietici i membri dell’AK, che rifiutano di arruolarsi nell’Armata Rossa, vengono arrestati e internati a Kaluga. Rilasciata, Anna Szyszko cambia identità, diventando Anna Norska, e si unisce a un’unità partigiana della foresta come tiratrice a cavallo in un gruppo di ricognizione. Arrestata dai servizi segreti sovietici nel febbraio 1945, viene reclusa dapprima a Vilna nel carcere di Łukiszki, e poi a Mosca alla Lubjanka e a Butyrka. In seguito alla condanna del tribunale militare a venti anni di lavori forzati, trascorre undici anni nei lager di Vorkuta. Fa ritorno in patria il 24 novembre 1956 e nel 1957 sposa Bernard Grzywacz, come lei membro della Resistenza polacca ed ex internato a Vorkuta, con cui aveva intrattenuto per anni all’interno del lager una corrispondenza clandestina. Muore a Varsavia il 2 agosto 2023, all’età di cento anni. Recensioni La mia vita nel Gulag in “Archivio storico”. La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz di Paolo Rausa in “Italia-express”, 13 dicembre 2024. “Una donna nel Gulag”: Anna Szyszko-Grzywacz, la vittoria dei vinti di Elena Freda Piredda in “Il sussidiario.net”, 20 dicembre 2024.

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