Ultimo indirizzo conosciuto

Un'iniziativa per ricordare le vittime delle repressioni in URSS

 

Ultimo indirizzo conosciuto è un’iniziativa civica che ha lo scopo di perpetuare la memoria delle vittime delle repressioni politiche commesse da e a nome dello Stato sovietico e che si ispira al progetto commemorativo europeo delle Pietre d’inciampo (Stolpersteine), creato nel 1992 in Germania per ricordare le vittime della Shoah e attivo in 650 città di 11 paesi europei.

Il progetto Ultimo indirizzo conosciuto, che ha come principio fondatore il motto “Un nome, una via, una targa”, intende applicare migliaia di targhette commemorative di modello uniforme sulle facciate degli edifici che rappresentano l’ultimo indirizzo conosciuto delle vittime delle repressioni.

Grande come una cartolina, ogni targhetta commemorativa è dedicata a una singola persona, a un indirizzo preciso. L’iniziativa dell’applicazione di ogni targhetta parte a sua volta da un singolo cittadino. Il progetto prevede la creazione di una banca dati che sarà accessibile a tutti.

Per la ricerca e la verifica delle informazioni che appariranno sulle targhette commemorative, i membri dell’associazione Poslednij adres utilizzano come fonte principale la banca dati dell’associazione non governamentale Memorial (Mosca), che ha raccolto informazioni archivistiche riguardanti circa 3,1 milioni di cittadini sovietici vittime delle repressioni politiche e compilato decine di Libri della memoria con i loro dati (in Russia, riguardano 12 milioni di persone).

La banca dati dell’ONG Memorial è impiegata anche per l’iniziativa Restituzione dei nomi, organizzata a Mosca ogni anno in memoria delle vittime delle repressioni: cittadini volontari vengono a leggere ad alta voce i loro nomi in piazza Lubjanka a Mosca, proprio nel luogo dove si trova la sede degli organi di sicurezza responsabili delle repressioni, che hanno avuto nomi diversi durante il periodo sovietico (OGPU-NKVD-KGB) e dove la FSB ha tuttora la sua sede.

Il finanziamento dell’organizzazione, della fabbricazione e dell’installazione delle targhette commemorative è assicurato dalle donazioni dei cittadini, senza ricorso a sovvenzioni del governo. La spesa per una targhetta non supera i 4000 rubli (circa 50 euro).

La targhetta del progetto Ultimo indirizzo conosciuto è stata creata a partire da uno schizzo disegnato da un noto architetto russo, Aleksandr Brodskij. Si tratta di un rettangolo di acciaio inossidabile di cm. 11 per 19. Le informazioni essenziali riguardanti la vittima sono inserite a mano in alcune righe, con dei punzoni a lettere maiuscole, a volte in due lingue.

Il 10 dicembre 2014, Giornata internazionale dei diritti dell’uomo, le prime diciotto targhette commemorative sono state installate su nove edifici di Mosca.

Al 9 giugno 2020, più di 1015 targhette commemorative risultavano già installate, nel quadro del progetto Ultimo indirizzo conosciuto, in 56 città e villaggi della Russia.

 

A Mosca sono già state poste targhe dedicate agli italiani Olinto Bertozzi (2019, Furmannyj pereulok 18) e ad Alice Negro (2021, Kapel’skij pereulok 13)

Queste le schede relative a Olinto Bertozzi e Alice Negro, tratte dalla Banca dati delle vittime italiane di repressioni in Urss, a cura di Elena Dundovich, Francesca Gori e Emanuela Guercetti.

 

Olinto Bertozzi, figlio di Andrea, nato a Serra di Tornano (FO), il 4 dicembre 1902.

Di origine operaia, lavora come radiotecnico. Si iscrive al PSI nel 1918, nel 1921 diventa membro del PCI. Nel maggio 1921 è coinvolto in uno scontro a fuoco in cui resta ucciso un fascista e nel giugno 1922 viene condannato a 13 anni e due mesi di reclusione. Liberato il 9 luglio 1930, espatria illegalmente nel gennaio 1931 e si reca in Francia. Nel 1931 va in URSS per studiare. Alla fine di quell’anno torna in Francia dove viene arrestato e costretto a trasferirsi in Svizzera. Nel luglio e nel novembre 1932 viene arrestato anche dalla polizia svizzera ed espulso in Germania. Attraverso la Francia torna in URSS alla fine del 1932.

Giunto a Mosca, ottiene lo status di emigrato politico e una stanza in un appartamento in coabitazione in vicolo Furmannyj, 18. Lavora come radiotecnico allo studio cinematografico “Sojuzdetfil’m”. Conosce Praskov’ja Stepanovna Pankratova, impiegata alla Casa dell’emigrato politico, dalla quale ha due figli, Olinto (n. 1935) e Andrea (n. 1937).

Arrestato a Mosca il 16 febbraio 1938 con l’accusa di spionaggio a favore dell’Italia. Alla base dell’accusa le presunte deposizioni dell’amministratrice dello stabile Aleksandra Petrovna e della responsabile del reparto montaggio della “Sojuzdetfil’m” Julija Kogan, secondo le quali Bertozzi si sarebbe “più volte espresso negativamente sul modo di vivere e sul tenore di vita sovietico, mentre avrebbe dato un giudizio positivo sulle condizioni di vita in Occidente”.

Condannato alla pena capitale il 29 luglio 1938 da una commissione dell’NKVD e dalla Procura dell’URSS con l’accusa di spionaggio a favore dei servizi segreti italiani, in base all’art. 58-6.

Fucilato il 20 agosto 1938 a Butovo

Riabilitato il 26 maggio 1956 dal Collegio militare della Corte suprema dell’URSS. Il 10 settembre 2019 il progetto “Poslednij adres” (Ultimo indirizzo conosciuto) ha posto una targa commemorativa in Furmannyj pereulok 18.

Fonti archivistiche: GARF, f. 10035, op. 1. D. P-23337; RGASPI, 513 2 69; APC,1921-1943, fasc. 1517; Archiv Memoriala, Mosca; ACS, CPC busta 585.

Martirologi: “Butovskij poligon” (elenco dei fucilati al Poligono di Butovo)

 

Alice Negro (pseudonimo: Luciano Lombardi)

Nato a Tollegno (BI) il 6 aprile 1904.

Di famiglia operaia, dall’età di 14 anni tipografo alla tipografia sociale di Biella. Come il padre, iscritto prima al partito socialista e dal 1921 al PCd’I. E’ arrestato per aver partecipato a un comizio. Nel 1931 emigra in Francia, a Parigi frequenta gli emigrati politici e lavora come tipografo, chiede all’Ambasciata dell’URSS il visto e si reca a Leningrado attraverso la Finlandia. In Italia lascia i genitori, il fratello minore Aldo e il figlio del primo matrimonio Guglielmo. Giunge a Mosca, inviato dal partito comunista italiano, per studiare.

Novembre 1931 arriva in Urss

Frequenta la scuola MLŠ. Nel 1932 si iscrive alla VKP(b) e lavora alla tipografia n. 39 (pubblica le opere di Lenin in italiano). Nel 1932 sposa Maria Karš, dalla quale ha due figlie, Atea (n. 1934) e Lucia (1937). Nel 1933 è trasferito alla tipografia n. 7 “Iskra Revoljucii”, dove due anni dopo diventa vice-caporeparto. Chiede di uscire dall’URSS ma non ottiene il permesso dal PCI. Nel 1934 chiede la cittadinanza sovietica, che però gli viene rifiutata. Denunciato da un compagno di lavoro italiano, nel 1936 è espulso dalla VKP (b) e licenziato. Viene accusato di metodi capitalisti nella direzione della tipografia e di propaganda antisovietica. Nei successivi quattro anni cerca invano di essere reintegrato nel partito e trovare un impiego. Si rivolge più volte all’ambasciata italiana per ottenere il passaporto in sostituzione di quello italiano lasciato a Parigi e poter rientrare in Italia.

Arrestato una prima volta a Mosca nel 1937, ma subito dopo liberato, nel 1938 si presenta all’Ambasciata per ottenere il passaporto, ma gli viene negato. Nel febbraio 1941 è di nuovo arrestato con l’accusa di propaganda trockista, intenzioni terroriste e rivelazione dei metodi di lavoro dell’NKGB.

Condannato a 8 anni di lager il 16 settembre 1941 in base all’art. 58-8 e 58-10 dall’OSO dell’NKVD. Inviato all’ Usol’skij lager (territorio di Perm’).

Muore il 27 maggio 1944 all’Usol’skij lager.

Riabilitato il 28 maggio 1957 per decisione del Procuratore generale dell’URSS.

Fonti archivistiche: GARF f. 10035 op. 1 d. P – 32280; ACS, CPC busta 3512.

 

 

 

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Aleksej Gorinov. L’ultima dichiarazione del 29 novembre 2024.

Il 29 novembre 2024 il tribunale militare di Vladimir ha emesso la sentenza del nuovo procedimento penale contro Aleksej Gorinov, consigliere municipale di Mosca, che è stato condannato a tre anni di reclusione in colonia penale di massima sicurezza per “giustificazione del terrorismo”. La condanna va ad aggiungersi ai sette anni già comminati nel 2022 per “fake news sull’esercito”. Foto di copertina: Dar’ja Kornilova. Foto: SOTAvision. BASTA UCCIDERE. FERMIAMO LA GUERRA. Aleksej Gorinov è avvocato e attivista e dal 2017 consigliere municipale presso il distretto Krasnosel’skij di Mosca. Nei primi anni Novanta era deputato per il partito Russia Democratica, ma nel 1993, durante la crisi costituzionale e il duro confronto tra il presidente El’cin e il Soviet supremo, decide di lasciare la politica. Negli ultimi vent’anni Gorinov ha lavorato come avvocato d’impresa e della pubblica amministrazione in ambito civile e ha fornito assistenza legale agli attivisti tratti in arresto durante le manifestazioni politiche. È fra gli ideatori della veglia-memoriale continua, con fiori e fotografie, sul ponte Moskvoreckij, luogo dell’omicidio di Boris Nemcov. Il 15 marzo 2022, durante un’assemblea ordinaria del Consiglio di zona del distretto Krasnosel’skij, Gorinov deplora pubblicamente l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe esortando “la società civile a fare ogni possibile sforzo per fermare la guerra”. Il 26 aprile viene arrestato ex art. 207.3 del Codice penale russo, noto anche come “legge sulle fake news”. Il tribunale del distretto Meščanskij ritiene che ci siano le prove che Gorinov abbia “diffuso informazioni deliberatamente false su quanto compiuto dalle Forze armate russe”, con le aggravanti di essere “in una posizione ufficiale e per motivi d’odio e ostilità”. Gorinov è il primo cittadino russo a ricevere una pena detentiva per essersi espresso contro la guerra. Già in occasione dell’ultima udienza del primo processo Aleksej Gorinov ha avuto modo, come prevede il sistema giudiziario russo, di pronunciare un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), in altre parole la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a, cui abbiamo avuto modo di dare voce grazie a Paolo Pignocchi e al progetto Proteggi le mie parole. Venerdì scorso, in occasione dell’ultima udienza del secondo processo ai suoi danni, Aleksej Gorinov ha pronunciato una seconda “ultima dichiarazione” che traduciamo in italiano. Sono stato per tutta la vita uno strenuo oppositore di aggressioni, violenza e guerre, e ho consacrato la mia vita esclusivamente ad attività di pace come la scienza, l’insegnamento, la pubblica istruzione e l’attività amministrativa e sociale in veste di deputato, difensore dei diritti umani, membro di commissioni elettorali e osservatore e supervisore del processo elettorale stesso. Mai avrei pensato di vivere abbastanza per constatare un tale livello di degrado del sistema politico del mio Paese e della sua politica estera, un periodo in cui tanti cittadini favorevoli alla pace e contrari alla guerra – in un numero che ormai è di qualche migliaio – vengono accusati di calunnia ai danni delle Forze armate e di giustificazione del terrorismo, e per questo vengono processati. Ci avviamo a concludere il terzo anno di guerra, il terzo anno di vittime e distruzione, di privazioni e sofferenze per milioni di persone cui, in territorio europeo, non si assisteva dai tempi della Seconda guerra mondiale. E non possiamo tacere. Ancora alla fine dello scorso aprile, il nostro ex ministro della difesa ha annunciato che le perdite della parte ucraina nel conflitto armato in corso ammontavano a 500.000 persone. Guardatelo, quel numero, e pensateci! Quali perdite, invece, ha subito la Russia, che secondo le fonti ufficiali avanza con successo costante per tutto il fronte? Continuiamo a non saperlo. E soprattutto, chi ne risponderà, poi? E a che pro succede tutto questo? Il nostro governo e coloro che lo sostengono nelle sue aspirazioni militariste hanno fortemente voluto questa guerra, che ora è arrivata anche nei nostri territori. Una cosa mi verrebbe da chiedere: vi pare che la nostra vita sia migliorata? Sono questi il benessere e la sicurezza che auspicate per il nostro Paese e per la sua gente? Oppure non l’avevate previsto, nei vostri calcoli, un simile sviluppo della situazione? A oggi, però, le risposte a queste domande non si pongono a chi ha deciso questa guerra e continua a uccidere, a chi ne fa propaganda e assume mercenari per combatterla, ma a noi, cittadini comuni della Russia che alziamo la voce contro la guerra e per la pace. Una risposta che paghiamo con la nostra libertà se non, alcuni, con la vita. Appartengo alla generazione ormai uscente di persone con genitori che hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale e, alcuni, le sono sopravvissuti con tutte le difficoltà del caso. La loro generazione, ormai passata, ci ha lasciato in eredità il compito di preservare la pace a ogni costo, come quanto di più prezioso abbiamo noi che abitiamo su questa Terra. Noi, invece, abbiamo snobbato le loro richieste e abbiamo spregiato la memoria di quelle persone e delle vittime della guerra suddetta. La mia colpa, in quanto cittadino del mio Paese, è di avere permesso questa guerra e di non essere riuscito a fermarla. Vi chiedo di prenderne atto, nel verdetto. Tuttavia, vorrei che la mia colpa e la mia responsabilità fossero condivise anche da chi questa guerra l’ha iniziata, vi ha partecipato e la sostiene, e da chi perseguita coloro che si battono per la pace. Continuo a vivere con la speranza che un giorno questo avverrà. Nel frattempo, chiedo perdono al popolo ucraino e ai miei concittadini che per questa guerra hanno sofferto. Nel processo in cui sono stato accusato e giudicato per avere detto espressamente che era necessario porre fine alla guerra, ho già dato piena voce alle mie considerazioni su questa vile impresa umana. Posso solo aggiungere che la violenza, l’aggressione generano solo altra violenza di ritorno, e nulla più. Questa è la vera causa delle nostre disgrazie, delle nostre sofferenze, di perdite senza senso di vite umane, della distruzione di infrastrutture civili e industriali, di case e abitazioni. Fermiamo questo massacro cruento che non serve né

Leggi

Roma, 5 dicembre 2024. Memorial Italia a Più libri più liberi.

Memorial Italia partecipa a Roma all’edizione 2024 di Più libri più liberi con la presentazione di Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione, ultimo volume della collana curata per Viella Editrice. Il regime putiniano e il nazionalismo russo: giovedì 5 dicembre alle 18:00 presso la Nuvola, Roma EUR, in sala Elettra, saranno presentati i volumi, pubblicati da Viella Editrice, Il nazionalismo russo. Spazio postsovietico e guerra all’Ucraina, a cura di Andrea Graziosi e Francesca Lomastro, e Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione, a cura dei nostri Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola. Intervengono Riccardo Mario Cucciolla, Francesca Gori, Andrea Graziosi, Andrea Romano. Coordina Carolina De Stefano. Il volume Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov.

Leggi

Bari, 26 novembre 2024. Proiezione del film documentario “The Dmitriev Affair”.

Martedì 26 novembre alle 20:30, presso il Multisala Cinema Galleria di Bari, Andrea Gullotta, vicepresidente di Memorial Italia, presenta il film documentario The Dmitriev Affair, scritto e diretto dalla regista olandese Jessica Gorter e sottotitolato in italiano. Jurij Dmitriev è uno storico e attivista, direttore di Memorial Petrozavodsk. Negli anni Novanta scopre un’enorme fossa comune in cui sono sepolte migliaia di vittime del Grande Terrore. Nella radura boschiva di Sandormoch, in Carelia, inaugura un cimitero commemorativo e riesce a raccogliere persone di varie nazionalità intorno a un passato complesso e conflittuale. Da sempre schierato contro il governo della Federazione Russa, nel 2014 Dmitriev condanna apertamente l’invasione della Crimea. Da allora inizia per lui un calvario giudiziario che lo porta a essere condannato a tredici anni e mezzo di reclusione. Il documentario di Jessica Gorter, realizzato nel 2023, racconta con passione e precisione la sua tragica vicenda. Gabriele Nissim, ha letto per Memorial Italia l’ultima dichiarazione di Jurij Dmitriev, pronunciata l’8 luglio 2020, come parte del progetto 30 ottobre. Proteggi le mie parole. Irina Flige, storica collaboratrice di Memorial San Pietroburgo, ha raccontato la storia della radura di Sandormoch nel volume Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria, pubblicato da Stilo Editrice e curato da Andrea Gullotta e Giulia De Florio. La proiezione è a ingresso libero ed è uno degli incontri previsti dall’undicesima edizione del festival letterario Pagine di Russia, organizzato dalla casa editrice barese Stilo in collaborazione con la cattedra di russo dell’Università degli Studi di Bari. Quest’anno il festival è inserito nella programmazione del progetto Prin 2022 PNRR (LOST) Literature of Socialist Trauma: Mapping and Researching the Lost Page of European Literature ed è dedicato al concetto di trauma nella cornice della letteratura russa del Novecento sorta dalle repressioni sovietiche.

Leggi