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Un nome, una vita, una targa: il progetto Ultimo indirizzo.

24 febbraio 2021


Ultimo indirizzo (Poslednij adres) è un’iniziativa civica che ha lo scopo di perpetuare la memoria delle vittime delle repressioni politiche commesse da e a nome dello Stato sovietico e che si ispira al progetto commemorativo europeo delle pietre d’inciampo (Stolpersteine), creato nel 1992 in Germania per ricordare le vittime della Shoah e attivo in 650 città di 11 paesi europei. Il progetto, che ha come principio fondatore il motto un nome, una vita, una targa, intende applicare migliaia di targhe commemorative di modello uniforme sulle facciate degli edifici che rappresentano l’ultimo indirizzo conosciuto delle vittime delle repressioni.

Grande come una cartolina, ogni targa commemorativa è dedicata a una singola persona, a un indirizzo preciso. L’iniziativa dell’applicazione di ogni targa parte a sua volta da un singolo cittadino. Il progetto prevede la creazione di una banca dati accessibile a tutti. Per la ricerca e la verifica delle informazioni che appaiono sulle targhe commemorative i collaboratori del progetto utilizzano come fonte principale la banca dati di Memorial che ha raccolto informazioni archivistiche riguardanti circa 3,1 milioni di cittadini sovietici vittime delle repressioni politiche e compilato decine di Libri della memoria con i loro dati: in Russia, riguardano 12 milioni di persone. La banca dati di Memorial è impiegata anche per la Restituzione dei nomi, iniziativa organizzata a Mosca ogni anno in memoria delle vittime delle repressioni: cittadini volontari leggono ad alta voce i loro nomi in piazza Lubjanka a Mosca, proprio nel luogo dove si trova la sede degli organi di sicurezza responsabili delle repressioni, che hanno avuto nomi diversi durante il periodo sovietico (OGPU-NKVD-KGB) e dove l’FSB ha tuttora la sua sede.

Il finanziamento del progetto, della fabbricazione e dell’installazione delle targhe commemorative è assicurato dalle donazioni dei cittadini, senza ricorso a sovvenzioni del governo. La targa è stata creata a partire da uno schizzo disegnato dall’architetto Aleksandr Brodskij. Si tratta di un rettangolo di acciaio inossidabile di 11×19 cm. Le informazioni essenziali riguardanti la vittima sono inserite a mano, punzonate in lettere maiuscole, a volte in due lingue.

Il 10 dicembre 2014, Giornata internazionale dei diritti dell’uomo, le prime diciotto targhe commemorative sono state installate su nove edifici di Mosca. Al 9 giugno 2020, più di 1015 targhe commemorative risultavano già installate, nel quadro del progetto Ultimo indirizzo, in 56 città e paesi della Russia.

A Mosca sono state collocate le targhe dedicate agli italiani Olinto Bertozzi (nel 2019, in Furmannyj pereulok 18) e Alice Negro (nel 2021 in Kapel’skij pereulok 13).

Nella banca dati delle vittime italiane di repressione in URSS, a cura di Elena Dundovich, Francesca Gori e Emanuela Guercetti, è possibile trovare informazioni relative a Olinto Bertozzi e Alice Negro.

Olinto Bertozzi, figlio di Andrea. Nato a Serra di Tornano (FO) il 4 dicembre 1902.



Di origine operaia, lavora come radiotecnico. Si iscrive al PSI nel 1918, nel 1921 diventa membro del PCI. Nel maggio 1921 è coinvolto in uno scontro a fuoco in cui resta ucciso un fascista e nel giugno 1922 viene condannato a 13 anni e due mesi di reclusione. Liberato il 9 luglio 1930, espatria illegalmente nel gennaio 1931 e si reca in Francia. Nel 1931 va in URSS per studiare. Alla fine di quell’anno torna in Francia dove viene arrestato e costretto a trasferirsi in Svizzera. Nel luglio e nel novembre 1932 viene arrestato anche dalla polizia svizzera ed espulso in Germania. Attraverso la Francia torna in URSS alla fine del 1932.

Giunto a Mosca, ottiene lo status di emigrato politico e una stanza in un appartamento in coabitazione in vicolo Furmannyj 18. Lavora come radiotecnico allo studio cinematografico Sojuzdetfil’m. Conosce Praskov’ja Stepanovna Pankratova, impiegata alla Casa dell’emigrato politico, dalla quale ha due figli, Olinto (n. 1935) e Andrea (n. 1937). Arrestato a Mosca il 16 febbraio 1938 con l’accusa di spionaggio a favore dell’Italia. Alla base dell’accusa le presunte deposizioni dell’amministratrice dello stabile Aleksandra Petrovna e della responsabile del reparto montaggio della Sojuzdetfil’m Julija Kogan, secondo le quali Bertozzi si sarebbe “più volte espresso negativamente sul modo di vivere e sul tenore di vita sovietico, mentre avrebbe dato un giudizio positivo sulle condizioni di vita in Occidente”.

Condannato alla pena capitale il 29 luglio 1938 da una commissione dell’NKVD e dalla Procura dell’URSS con l’accusa di spionaggio a favore dei servizi segreti italiani, in base all’art. 58-6. Fucilato il 20 agosto 1938 a Butovo. Riabilitato il 26 maggio 1956 dal Collegio militare della Corte suprema dell’URSS. Il 10 settembre 2019 il progetto Ultimo indirizzo ha posto una targa commemorativa in Furmannyj pereulok 18.

Fonti archivistiche: GARF, f. 10035, op. 1. D. P-23337; RGASPI, 513 2 69; APC,1921-1943, fasc. 1517; Archiv Memoriala, Mosca; ACS, CPC busta 585.


Alice Negro (pseudonimo: Luciano Lombardi). Nato a Tollegno (BI) il 6 aprile 1904.


Di famiglia operaia, dall’età di 14 anni tipografo alla tipografia sociale di Biella. Come il padre, iscritto prima al partito socialista e dal 1921 al PCd’I. È arrestato per aver partecipato a un comizio. Nel 1931 emigra in Francia, a Parigi frequenta gli emigrati politici e lavora come tipografo, chiede all’Ambasciata dell’URSS il visto e si reca a Leningrado attraverso la Finlandia. In Italia lascia i genitori, il fratello minore Aldo e il figlio del primo matrimonio Guglielmo. Giunge a Mosca, inviato dal partito comunista italiano, per studiare.

Nel novembre 1931 arriva in Urss. Frequenta la scuola MLŠ. Nel 1932 si iscrive alla VKP(b) e lavora alla tipografia n. 39 (pubblica le opere di Lenin in italiano). Nel 1932 sposa Maria Karš, dalla quale ha due figlie, Atea (n. 1934) e Lucia (1937). Nel 1933 è trasferito alla tipografia n. 7 Iskra Revoljucii, dove due anni dopo diventa vice-caporeparto. Chiede di uscire dall’URSS ma non ottiene il permesso dal PCI. Nel 1934 chiede la cittadinanza sovietica, che però gli viene rifiutata. Denunciato da un compagno di lavoro italiano, nel 1936 è espulso dalla VKP(b) e licenziato. Viene accusato di metodi capitalisti nella direzione della tipografia e di propaganda antisovietica. Nei successivi quattro anni cerca invano di essere reintegrato nel partito e trovare un impiego. Si rivolge più volte all’ambasciata italiana per ottenere il passaporto in sostituzione di quello italiano lasciato a Parigi e poter rientrare in Italia.

Arrestato una prima volta a Mosca nel 1937, ma subito dopo liberato, nel 1938 si presenta all’Ambasciata per ottenere il passaporto ma gli viene negato. Nel febbraio 1941 è di nuovo arrestato con l’accusa di propaganda trockista, intenzioni terroriste e rivelazione dei metodi di lavoro dell’NKGB. Condannato a 8 anni di lager il 16 settembre 1941 in base all’art. 58-8 e 58-10 dall’OSO dell’NKVD. Inviato all’ Usol’skij lager (territorio di Perm’). Muore il 27 maggio 1944 all’Usol’skij lager. Riabilitato il 28 maggio 1957 per decisione del Procuratore generale dell’URSS.

Fonti archivistiche: GARF f. 10035 op. 1 d. P – 32280; ACS, CPC busta 3512.

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