Intervista a Niccolò Pianciola su Aleksej Naval’nyj

Professore associato di Storia alla Nazarbayev University a Nur-Sultan, Kazakhstan, esperto di colonizzazione russa in Asia e stalinismo

La condanna a tre anni e mezzo di carcere per Aleksej Naval’nyj, il più noto oppositore politico russo arrestato il 17 gennaio al suo rientro a Mosca da Berlino, dove era stato trasportato in agosto per essere curato da un avvelenamento, ha suscitato grandi proteste nel Paese, con scontri tra cittadini e polizia e oltre 5mila arresti, e ha causato una seria crisi diplomatica tra il Cremlino e l’Unione europea, che ne ha chieso il rilascio.
Per capire il suo ruolo nel panorama politico russo abbiamo intervistato Niccolò Pianciola, Professore associato di Storia alla Nazarbayev University a Nur-Sultan, Kazakhstan, esperto di colonizzazione russa in Asia e stalinismo, e uno dei componenti dell’associazione Memorial Italia, che in un appello ha chiesto al Presidente Vladimir Putin il rispetto dei diritti politici dell’opposizione, la garanzia dell’autonomia del potere giudiziario e la rinuncia a utilizzare la violenza delle Forze dell’Ordine contro i cittadini che protestano.

Chi è Aleksej Naval‘nyj: un blogger, un attivista o un politico che ha cambiato più volte posizione, da neoliberista a nazionalista e poi protagonista della guerra alla corruzione?

Naval’nyj è oggi, insieme naturalmente al Presidente Putin, il più importante politico russo. È però costretto a essere solo un attivista a causa delle barriere che il Cremlino pone alla sua partecipazione alle elezioni (le uniche elezioni importanti a cui è riuscito a partecipare sono state quello per il sindaco di Mosca nel 2013, dove ufficialmente avrebbe raccolto il 27% circa dei voti). Detto in poche parole, è un leader che è riuscito, all’interno di un sistema autoritario che monopolizza e controlla sia la competizione politica sia i media, a creare un canale di informazione indipendente, che raggiunge decine di milioni di persone con inchieste sul potere, e a catalizzare la mobilitazione di centinaia di migliaia di persone in azioni di protesta negli ultimi dieci anni, mirate a favorire l’apertura del sistema politico.

Naval’nyj è a capo di un’organizzazione politica con una presenza territoriale in decine di città della Russia, non solo a Mosca e San Pietroburgo. A me è capitato di notare i modesti uffici dell’organizzazione nel centro di Chabarovsk e Vladivostok, nell’Estremo Oriente russo, ad esempio. Questi uffici provinciali (una quarantina) sono stati creati nel 2017 per le elezioni presidenziali 2018. Dopo le elezioni (dalle quali Naval’nyj è stato bandito) sono rimasti attivi e sono in pratica diventati le sezioni permanenti della sua organizzazione: fanno inchieste di interesse locale e organizzano iniziative e manifestazioni. Insomma formano un partito, anche se non può dichiararsi tale.
Naval’nyj usa poi gli strumenti della rete (anni fa il suo blog, ora il suo canale YouTube, “Naval’nyj Live”, e i social media) per far arrivare i suoi messaggi ai cittadini russi, dato che la televisione è pressoché totalmente controllata dal potere, e in modo da raggiungere efficacemente il pubblico disperso nell’immenso Paese.

A Mosca, la sua “Fondazione per la lotta alla corruzione” è il centro della struttura politica, anche se dal punto di vista legale è una semplice organizzazione nonprofit. Ha una squadra di decine di persone che conducono vere e proprie inchieste di giornalismo investigativo e producono i video sul canale, in cui Navalnyj appare come presentatore e voce narrante.
Non è che Naval’nyj abbia cambiato più volte posizione politica, ma ha ricalibrato il suo messaggio a partire dall’inizio dello scorso decennio. È sempre stato parte dell’opposizione liberal-democratica al sistema di potere putiniano, fino al 2007 come membro del Partito Jabloko, con la cui allora dirigenza ha avuto divergenze politiche che hanno portato alla sua uscita. Provenendo dall’area liberale, tra 2007 e 2011 ha poi cercato di ampliare la sua base di consenso avvicinandosi ai nazionalisti. Ha partecipato alla loro annuale “Marcia russa” e ha anche prodotto un video orrendo contro gli immigrati caucasici in Russia. 

Dopo le proteste del 2011 e 2012 contro i brogli alle elezioni, si è però spostato al centro e non ha mai ripreso temi nazionalisti. Ha anzi attaccato gli estremisti nazionalisti di destra e ha condannato l’aggressione russa all’Ucraina. Sebbene si sia rifiutato di dichiararsi favorevole alla restituzione della Crimea all’Ucraina dopo l’annessione del 2014, della cui popolarità in Russia era cosciente, ha però sostenuto che fosse necessario un secondo referendum, in tal mondo negando implicitamente la validità del primo, organizzato sotto occupazione militare russa, e la legittimità dell’annessione stessa. Nel suo programma per le elezioni presidenziali del 2018 proponeva di diminuire il potere del presidente a vantaggio del parlamento, e il potere centrale a vantaggio delle unità amministrative regionali. In sostanza, la sua bussola politica mi pare sia sempre stata la ricerca di un consenso il più possibile ampio per la sua battaglia contro il sistema di potere consolidatosi in Russia attorno alla persona di Putin, in modo da rendere possibile, o per lo meno pensabile, una transizione verso un sistema politico aperto e verso uno stato di diritto. 

La corruzione è stata scelta come il tema centrale dell’attività di giornalismo investigativo della sua squadra,anche perché è un tema capace di coalizzare un consenso politicamente trasversale, e mobilitare i cittadini al di là delle loro convinzioni ideologiche. Ma, cosa più importante, perché è un modo per rendere visibile il sistema di potere vigente in Russia, basato sul controllo politico delle ricchezze del Paese e delle sue più importanti aziende statali, e della loro redistribuzione all’interno dell’elite. Dunque le accuse di “populismo” rivolte a Naval’nyjdovute al fatto che si concentrerebbe “solo” sulla corruzione (a parte il fatto che non è così) sottovalutano il valore politico delle sue inchieste sul tema.

Quali forze lo sostengono e quanto è ampio il suo seguito tra la popolazione?

È molto difficile dire con precisione quale sia la sua popolarità. Gli ultimi sondaggi del Centro Levada, l’unica organizzazione indipendente di sondaggi di opinione in Russia, attualmente assegnano a Naval’nyj l’appoggio del 20% della cittadinanza. Il primo punto basilare da capire è però che nell’attuale ecosistema informativo russo, l’opinione di coloro che si informano soprattutto dalla TV (ancora la maggioranza dei cittadini, soprattutto nelle fasce d’età avanzate), non può che avere una visione distorta del personaggio, posto che venga nominato. Dunque i sondaggi di opinione, anche quelli fatti bene, devono essere interpretati in questo contesto. Quel che è certo è che Naval’nyj è molto più popolare tra i giovani e tra coloro che si informano su internet, rispetto alle fasce d’età più anziane e più pronte a recepire il punto di vista del regime.

Il secondo punto fondamentale è che tra coloro che sono scesi in piazza “per Naval’nyj”, molti l’hanno fatto per mostrare la loro volontà di non rassegnarsi a vivere sotto un regime politico autoritario, che preclude il diritto a manifestare liberamente, e che tenta perfino di avvelenare i leader politici che aspirano alla presidenza. Insomma, molti di coloro che sono scesi in piazza “per Naval’nyj” in queste settimane (impossibile dire quanti) probabilmente non lo voterebbero, in un contesto di elezioni e informazione libere e aperte, dove l’offerta politica fosse lasciata libera di differenziarsi e di presentare le proprie proposte ai cittadini.

Naval’nyj è tre cose contemporaneamente.
Innanzitutto, in quanto sopravvissuto a un tentativo di assassinio politico, è una cartina di tornasole per caratterizzare questo regime agli occhi della parte più informata della sua cittadinanza.
In secondo luogo, in quanto leader maggiormente carismatico, coraggioso ed efficace dell’opposizione, è un catalizzatore del dissenso: appoggiare le sue iniziative è per molti cittadini un modo per mostrare il malcontento nei confronti dell’attuale sistema di potere vigente in Russia, un Paese in cui l’opposizione “ufficiale”, quella dei partiti cui è permesso partecipare alle elezioni, è da tempo cooptata nel sistema di potere dominato da Putin.
Infine, in quanto figura pubblica con una storia di prese di posizioni politiche negli ultimi dieci-quindici anni, Naval’nyj può essere localizzato nello spettro politico su posizioni di “centro-destra”.

Ma oggi le prime due “persone pubbliche” di Naval’nyj sono incomparabilmente più rilevanti politicamente della terza. Inoltre, come ho già ricordato, le sue posizioni hanno avuto un’evoluzione nel corso del tempo. Chi oggi, in pubblico, mette una ipoteticamente immutata appartenenza ideologica di Naval’nyj su un piatto della bilancia in un preteso “giudizio equilibrato”, rischia di echeggiare le correnti di opinione e di interesse che in Italia e altrove vedono con favore il putinismo, per affinità ideologica o interessi d’affari.

Se per sostegno si intende quello economico, è noto che Naval’nyj sia finanziato dal crowdfunding in rete per le sue varie iniziative, e da imprenditori russi in esilio che lo appoggiano, primo fra tutti Boris Zimin, che ha anche pagato il trasporto di Navalnyj in coma da Omsk all’ospedale di Berlino. Le accuse di essere finanziato da governi stranieri sono state lanciate senza alcuna prova.

La sua battaglia potrebbe contribuire a mettere in crisi l’attuale blocco di potere?

La battaglia di Naval’nyj è di lungo periodo, da circa un decennio ha una forte risonanza nazionale e internazionale. Naval’nyj ha ottenuto una grande vittoria nella battaglia della comunicazione grazie alla straordinaria inchiesta del sito investigativo Bellingcat e grazie al fatto che per una serie improbabile di circostanze il tentativo di assassinarlo non è andato a buon fine. Ma da qui a mettere in crisi l’attuale “blocco di potere” la strada sembra essere ancora lunga. Finché non ci saranno defezioni significative all’interno della classe dirigente, è alquanto improbabile che il regime rischi di cadere. E forse l’unico modo per incoraggiare una spaccatura all’interno dell’attuale classe dirigente sarebbero accordi che permettano loro di mantenere almeno parte delle loro ricchezze, e forse anche del loro potere.

Al contrario, tra le altre cose Naval’nyj sostiene da tempo la necessità di una ljustracija (“ripulitura”) dopo la transizione a un regime politico democratico, ovvero una politica di interdizione di massa dai pubblici uffici per coloro che si siano macchiati di crimini (corruttivi o peggio) durante il precedente regime. Ma affinché ci siano defezioni e un dialogo come questo possa cominciare, l’opposizione dovrebbe riuscire a indebolire la coalizione di interessi oggi al potere ben più di quanto abbia potuto fare finora. 

L’attuale tattica di Naval’nyj è quello che lui definisce “voto intelligente”: mobilitare gli elettori che vogliono un cambiamento e una apertura del sistema politico perché votino, in elezioni a tutti i livelli amministrativi, dai comuni al parlamento nazionale, il candidato o la candidata che abbia le maggiori possibilità di battere, nel collegio elettorale dato, quello di Russia Unita, il partito del potere, che ha attualmente una ampia maggioranza alla Duma. Questo vuol dire, per molti, votare persone che non voterebbero mai in un sistema politico aperto.

Difficile dire quanto questa tattica possa dare fastidio al regime; certo potrebbe rendere più difficile la gestione, da parte del Cremlino, dei partiti che attualmente siedono nella Duma, i quali o hanno la funzione di creare l’illusione di un finto pluralismo politico e di disinnescare parte dei dissenso, o sono stati da tempo cooptati all’interno del sistema.
Per ora il “voto intelligente” ha dato buoni risultati alle elezioni municipali a Tomsk, in Siberia, e risultati più modesti in altre elezioni locali. L’obiettivo principale dello sforzo organizzativo della fondazione-partito di Naval’nyj sono però le elezioni per la Duma, previste il prossimo settembre.

Ci sono altri oppositori di rilievo in Russia e che rapporti hanno con Naval‘nyj?

La maggior parte dei gruppi e gruppetti politici con piattaforme variamente liberali e democratiche chiaramente identificano Naval’nyj come l’unico leader politico capace di mobilitare la popolazione verso un’apertura del sistema politico, che è anche il loro obiettivo preliminare minimo, dunque lo seguono. Ad esempio alcuni stretti collaboratori di Boris Nemcov, l’oppositore a Putin assassinato nel 2015 di fronte al Cremlino, ora lavorano con Naval’nyj.
Poi ci sono altri gruppi, soprattutto di estrema sinistra e di estrema destra, che invece accusano Nava’lnyj di essere un traditore al soldo degli americani (riecheggiando la linea del regime), oppure al contrario un nazionalista di destra. Quest’ultima “linea”, quella “di sinistra”, è quella che ha avuto più eco anche da noi, non senza, probabilmente, un qualche aiuto da parte della macchina propagandistica del Cremlino attiva in rete e sui social media.

Poi in Russia ci sono oppositori liberali, che sono critici nei confronti di Naval’nyj. Mi riferisco in particolare all’economista Grigorij Javlinskij, leader storico di Jabloko, che ha criticato la sua strategia, accusandolo di essere populista e nazionalista. Al di là di accuse personali viziate dalla loro inimicizia di lunga data, l’ulteriore critica secondo cui la tattica di Naval’nyj potrebbe portare irresponsabilmente ad un inasprimento del regime, piuttosto che a una sua caduta, sembra meno facilmente ignorabile. Tutta la strategia dell’organizzazione di Naval’nyj è basata sul fatto che il regime putiniano non abbia né la forza né la volontà di trasformarsi in qualcosa di più simile ad altri regimi presenti nello spazio post-sovietico, come quello di Lukashenko in Bielorussia, o all’interno della stessa Federazione Russa, come quello di Kadyrov in Cecenia, dove il grado di violenza e repressione è ben più alto. Spero davvero che non sarà così, ma non è escluso che su questo Javlinskij possa finire per aver ragione.

Ritiene che le autorità russe abbiano paura non tanto di Navalnyj, ma soprattutto delle proteste, segno di un malcontento che potrebbe dilagare e compromettere il sistema?

Le autorità sono preoccupate per la capacità di Naval’nyj di mobilitare i cittadini alla protesta attiva, e per la sua capacità di contrastare efficacemente l’autorappresentazione del regime, raggiungendo decine di milioni di persone, cosa che non solo nessun altro politico, ma nessun’altra organizzazione mediatica in Russia riesce a fare (il Centro Levada stima che circa un quarto dei cittadini russi abbiano visto sul canale YouTube “Naval’nyj Live” il video sul palazzo di Putin sul Mar Nero).

Chi sono i manifestanti scesi in piazza, nonostante la dura repressione delle forze di polizia?

Sono cittadini di più di cento città in Russia, da Mosca a San Pietroburgo ai capoluoghi di provincia nel Caucaso (non in Cecenia però, ovviamente). Se a Mosca pare che i manifestanti siano stati poche decine di migliaia, in capoluoghi di circa un milione di abitanti come Krasnodar, sono stati un paio di migliaia, e poche centinaia nei centri più piccoli. Una mobilitazione politicamente significativa, ma la cui scala non è sufficiente a mettere davvero in crisi il regime. La dirigenza del “partito” di Naval’nyj l’ha capito e ha proclamato che non chiamerà più la gente in piazza nell’immediato futuro, mentre si concentrerà sul lavoro preparatorio per le elezioni parlamentari.

È una protesta politicizzata o solo l’espressione di un disagio diffuso contro la corruzione e l’arbitrio?

Quella delle scorse settimane è sicuramente stata una protesta di opposizione politica all’attuale sistema di potere, e alla figura di Putin. Basta ascoltare gli slogan scanditi durante le manifestazioni, peraltro totalmente pacifiche, e leggere i cartelli branditi dai manifestanti. La corruzione e l’arbitrio, che si aggiungono a una difficile congiuntura economica anche per la pandemia, sono tutti fattori che spingono verso la politicizzazione. Del resto, che una cospicua minoranza del Paese sia politicamente ostile a chi è al potere è fisiologico in ogni paese e sotto ogni sistema politico. Ci sono però classi dirigenti che non possono permettersi di lasciare il potere, dato che rischiano di perdere qualcosa di più dell’attuale posizione politica o amministrativa.

Quanto è determinante l’uso dei social network da parte degli oppositori?

Più che i social network, i canali Telegram hanno una funzione importante nella distribuzione di informazioni e nel coordinamento delle proteste. Ma in generale, senza internet, e dunque certo anche i social network, le proteste sarebbero molto più difficilmente organizzabili, e l’opinione pubblica non avrebbe fonti alternative di informazioni.

Come è la situazione di Memorial in Russia, ci sono condizionamenti alle sue attività e alla libertà di prendere posizione su fatti come l’arresto di Naval’nyj?

Memorial è stata ufficialmente etichettata come “agente straniero” fin dal 2016, in base a una legge che stigmatizza le organizzazioni che raccolgono donazioni anche dall’estero, in sostanza accusandole di essere al soldo del nemico esterno (tipicamente gli Stati Uniti). In questi anni Memorial è stata multata numerose volte, e certamente questa pressione è un deterrente che può essere usato per rendere la vita difficile all’organizzazione. In ogni caso prese di posizione sono possibili e sono state rese pubbliche: Memorial il 4 febbraio ha fatto una dichiarazione di appoggio alle proteste. L’autoritarismo dell’attuale sistema di potere russo non mira a silenziare completamente tutte le voci critiche, ma a intimidirle e a spingerle nell’irrilevanza all’interno dell’ecosistema informativo.

Riguardo alla Memoria del GULag e delle vittime delle repressioni del passato, quale è l’atteggiamento delle autorità e dei cittadini?

Le repressioni non sono negate, ma in onore di Stalin si erigono ancora busti in giro per la Russia, in quanto leader del Paese durante la Seconda guerra mondiale. C’è una legge del 2014 che limita la possibilità di portare avanti ricerche libere da condizionamenti politici proprio sulla Seconda guerra mondiale, che è il principale tema usato dallo Stato per rafforzare l’orgoglio nazionale e consolidare il consenso per il potere. La legge rende unreato penale “diffondere informazioni intenzionalmente false sulle attività dell’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale”.

La vittoria del 1945 del resto è stata la principale fonte di legittimazione del regime sovietico per tutta la seconda metà dello scorso secolo. Dunque il putinismo segue su questo una politica della memoria in continuità con il brezhnevismo. Anche sulle repressioni, l’attività di ricercatori indipendenti può andare incontro a ritorsioni che paiono politicamente motivate. Il caso più importante è quello di Jurij Dmitriev, storico attivista di Memorial e protagonista di importanti ritrovamenti di fosse comuni di vittime del regime staliniano, ora imprigionato con una condanna per pedofilia in base a prove che possiamo definire eufemisticamente piuttosto labili.

Niccolò Pianciola è professore associato di Storia alla Nazarbayev University a Nur-Sultan, Kazakhstan. Ha studiato a Torino e Napoli e ha insegnato all’Università di Trento per quattro anni e poi a Hong Kong, alla Lingnan University, per i successivi dieci. Ha pubblicato libri e articoli sulla colonizzazione russa in Asia, sullo stalinismo, sugli spostamenti forzati di popolazione in età contemporanea, sulla storia ambientale dell’Asia Centrale, e sulla storia delle aree di confine tra impero russo e Cina.

a cura di Viviana Vestrucci, Comunicazione Gariwo

 

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