Ucraina. Il genocidio dimenticato
Ettore Cinnella
Della Porta Editori
2015, pagg. 297
Alessandro Vitale
Università degli Studi, Milano
Non avrebbe potuto cogliere un momento più adatto Ettore Cinnella, uno dei più competenti e acuti storici dell’Europa Orientale viventi in Italia, per dare alle stampe questo libro eccezionale e dettagliato (basato su documenti provenienti da cinque Paesi), dedicato all’Holodomor, il genocidio per fame degli Ucraini, del 1932-33, pianificato a tavolino da Stalin. La crisi ucraina e le resistenze alle pretese di dominazione dall’esterno che hanno riempito le cronache internazionali degli ultimi tre anni sono infatti comprensibili solo tenendo conto anche di queste terrificanti pagine di storia. Tralasciarle o censurarle, come è accaduto in Italia per decenni (il caso più eclatante è stato la mancata pubblicazione, rifiutata dagli editori, dell’opera più importante sul tema, quella di Robert Conquest, The Harvest of Sorrow – Raccolto di dolore – uscita solo nel 2004 grazie all’opera di Federigo Argentieri), ha prodotto gravi vuoti nella conoscenza e comprensione (con conseguente appoggio – come nota l’Autore nell’introduzione – alle attuali ragioni imperiali di Mosca) di una lunga e tormentata vicenda storica come quella ucraina, delle motivazioni della sua lotta armata antisovietica negli anni Quaranta e Cinquanta, dell’insofferenza per la dominazione della Russia moscovita e del suo regime politico, affetto da pesanti continuità storiche, da continue restaurazioni autocratico-totalitarie e centralizzatrici e da enormi difficoltà di riforma, sotto gli occhi di tutti. Quella pagina di storia, dalla quale l’Ucraina non si è mai più risollevata, ha comportato infatti effetti devastanti e permanenti sul popolo ucraino e sulla sua economia agricola, dalle immense potenzialità ancora sprecate, a venticinque anni dalla dissoluzione dell’Urss. Il tema del Holodomor – carestia terroristica ai danni del proprio popolo nell’Urss staliniana (circa quattro milioni di morti: ma la stima è per difetto), autentico “democidio” (annientamento per mano di una classe politica del popolo che domina, non in guerra: Rudolph J. Rummel) – perpetrato per imporre le collettivizzazioni annientando le resistenze contadine e vero genocidio, in quanto misura per punire la riluttanza nazionale ucraina al dominio del Cremlino, è stato a lungo occultato in Occidente, anche da chi non lo liquidò sbrigativamente per motivi ideologici come “menzogna controrivoluzionaria”. I documenti, soprattutto quelli emersi dagli archivi dell’ex Urss dopo il 1989, hanno permesso tuttavia di ricostruire gli avvenimenti e di individuare precise responsabilità politiche nello sterminio per fame nelle campagne ucraine in quei due anni terrificanti. Cinnella descrive con maestria incomparabile, da autentico storico attento alle cause e agli effetti e con straordinaria capacità di sintesi, una vicenda molto complessa e sconvolgente (per un resoconto dettagliato rimangono però imprescindibili i classici sul tema, a partire da quello di Conquest), sulla quale circolano ancora versioni edulcorate, concilianti e assolutorie (la collettivizzazione favorì “il progresso economico” dell’Urss e trasformò i “rozzi contadini” in cittadini di uno Stato moderno efficiente) o poco chiare. L’attenzione ai documenti (anche all’altamente probabile logica dei tasselli mancanti), consente all’Autore di ricostruire i reali intenti dei padroni del Cremlino (tenendo conto anche della situazione internazionale dell’epoca) che nel 1932-33 scatenarono una guerra micidiale di annientamento contro i contadini ucraini e le loro terre fertilissime (le “terre nere”), devastate da pratiche parassitarie di Stato, violente e di rapina. La statalizzazione integrale dell’agricoltura e gli insopportabili obblighi di ammassi dei raccolti furono accompagnati dall’accerchiamento dei villaggi, sbarrando i confini occidentali ucraini per impedire la fuga degli affamati, bloccando i villaggi per impedire l’esodo nelle città, negando con la propaganda la realtà di quella brutale e sistematica violenza, impedendo i soccorsi organizzati da coloro che erano al corrente della situazione e accompagnando il tutto con deportazioni, fucilazioni, saccheggi ordinati da politici lontani, rozzi, ignoranti e incompetenti. Il quadro è quello di un’ecatombe, della discesa all’inferno per milioni di persone volutamente massacrate dopo essere state ridotte al cannibalismo e alla regressione allo stato ferino. Una “capolavoro” del sistema sovietico: la condanna alla morte per fame in alcune fra le più ricche regioni agricole d’Europa, per “dare una lezione ai contadini ucraini”. Sull’organizzazione sistematica di questa fame di massa – per contadini medi e poveri regrediti allo stato servile, resistenti alle collettivizzazioni e alle espropriazioni, sempre più solidali con la decimata intellighentzija ucraina deportata e sterminata, con i patrioti del periodo di Petljura e con gli avanzi dell’armata anarchica di Machno, che combattè contro i bolscevichi, ma anche con i comunisti ucraini insofferenti della spaventosa politica staliniana – non ci sono più dubbi. La storiografia ormai ha prodotto una serie sterminata di prove e di testimonianze sulla fusione fra le motivazioni “di Stato” e collettivizzatrici della carestia provocata ad arte e quelle etnonazionali di punizione degli Ucraini insofferenti a una simile brutale dominazione, che sprofonderà l’Ucraina in uno stato di distruzione del proprio patrimonio agricolo e zootecnico e a livelli di sviluppo infinitamente inferiori a quelli del periodo zarista, dai quali non riuscirà più a uscire. Stalin identificava il problema nazionale ucraino con quello contadino. La presunta renitenza dei contadini ucraini a consegnare tutto il grano venne infatti esplicitamente imputata al loro “nazionalismo”. Per questo Cinnella scrive correttamente di “genocidio sociale e nazionale”, che nel caso ucraino delle grandi carestie forma un conglomerato inscindibile, spiegabile anche con la logica dello statalismo integrale e la sua politica di sottomissione senza appelli e di omogeneizzazione forzata. Il libro fornisce poi un quadro avvincente della progressiva e traumatica scoperta della verità, in particolare fra i veri studiosi dell’Europa orientale, attraverso lo studio delle testimonianze, delle carte sopravvissute e oggi consultabili e della demografia. Un processo lento e difficile, di ben altra dignità e serietà scientifica rispetto alle interpretazioni accademiche ideologiche a lungo imperanti in Occidente, diffuse dalle camarille universitarie dominanti. Ed è anche indirettamente un omaggio alla storiografia più seria, fonte di autentica conoscenza, indifferente alle convenienze, alle ideologie che vanno per la maggiore, alle congiure del silenzio, ai tentativi di occultare la verità, alla propaganda assimilata acriticamente e ai servilismi intellettuali. La vicenda descritta da Cinnella consente poi di comprendere alcune delle radici storiche cruciali della voragine ancora esistente fra la coscienza nazionale ucraina e la Russia del Cremlino, erede dell’autocrazia moscovita e dell’ubriacatura “prussiana” nella costruzione dello Stato moderno, che si ritrova quasi integralmente nella mentalità restauratrice dei giorni nostri. Fornisce inoltre un mare di ragioni per pensare cosa avrebbe potuto diventare l’Ucraina nel Novecento e ai giorni nostri, senza tutto quello che sotto quel settantennale regime massacratore, genocida e liberticida, distruttore di risorse, di talenti e di potenzialità, ha sopportato e subito.