“Papiny pis’ma”, a cura di Memorial

Il libro è composto da 17 biografie di uomini che hanno subito detenzioni e condanne negli anni Trenta...

Papiny pis’ma
ed. Memorial Russia
pp. 240

Il libro è composto da 17 biografie di uomini che hanno subito detenzioni e condanne negli anni Trenta, costretti a trascorrere periodi più o meno lunghi nei campi di lavoro e lager sovietici. Sebbene il retroterra e le storie personali siano molto diverse, si ritrovano nei loro destini alcuni tratti comuni: innanzitutto le voci che parlano tramite le lettere sono tutte di padri e mariti, uomini che pongono in cima alla loro scala valoriale la famiglia e gli affetti.

Secondariamente, le persone che compongono questo inusuale epistolario appartengono alla classe medio-alta, sono validi professionisti – architetti, medici, biologi, fisici – la cui vita, fino a un certo punto di successo (carriera, famiglia), è stata poi brutalmente interrotta dall’ondata di terrore, arresti e deportazioni che ha invaso la storia sovietica tra gli anni Venti e Trenta del XX secolo.

La conclusione delle varie biografie varia da soggetto a soggetto: alcuni di loro tornano a casa e riescono a ricostruirsi una vita famigliare e professionale, ripartendo proprio da dove era stata sconvolta; altri (la maggior parte) muoiono nei campi per stenti, fame, malattie, o fucilati.

Irina Sherbakova coglie nell’Introduzione a “Papiny pis’ma” un nodo fondamentale del libro: «La domanda che molti figli rivolgono in modo diretto o indiretto nelle lettere è la domanda della colpa; se essa infatti non esiste, significa che si sta verificando una terribile ingiustizia nei confronti del padre e di tutta la famiglia. E se quindi la verità è irraggiungibile, si può dire che il crudele potere sia il colpevole? Così nasce un tormentoso sdoppiamento, sia nei padri sia nei figli e molti di loro non riuscirono a superarla nel corso di tutta la vita». Da qui emerge con forza il senso di duplicità o ambiguità di molti prigionieri dei campi, i quali mantenevano intatta la fede nel comunismo, nella stella rossa e nella bontà dell’ideologia, benché si professassero innocenti e puri di fronte alle condanne subite.

Questo sdoppiamento si riscontra a livello generazionale e costituisce uno dei paradossi (e delle spine nel fianco) della Russia di oggi. Così la raccolta di lettere non rappresenta soltanto una testimonianza del passato, un oggetto lontano di cui fare pallida memoria, ma diventa voce e orizzonte di dialogo delle dinamiche socio-politiche della Federazione Russa del III millennio.

Lo ricorda anche una delle figlie destinatarie della corrispondenza: «A mio parere questi documenti e lettere rappresentano un interesse storico. È importante conservarle per i contemporanei e per i posteri; per fare in modo che tutto questo non si ripeta». Non si tratta quindi di un’operazione orientata al passato, ma più che mai radicata nel presente (e nel futuro) di un Paese sempre più legato al nostro per questioni economiche, ma anche culturali e sociali.

Rifuggendo ogni tipo di retorica e intento didascalico “Papiny pis’ma” è un libro pieno di vita, di speranza e di grazia, luminoso nella sua capacità di raccontare una delle più terribili tragedie del Novecento con l’unica arma in grado di sconfiggere il tempo e la morte: l’amore.

 

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Pubblichiamo la traduzione dell’articolo ‘Mom, I’m probably going to die soon’: Russian teenager in prison for anti-Putin flyers says cellmate brutally beat him della testata giornalistica indipendente russa Meduza. L’immagine è tratta dal canale Telegram dedicato al sostegno per Arsenij Turbin: Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!). In una recente lettera Arsenij Turbin, sedicenne russo condannato a scontare cinque anni in un carcere minorile con l’accusa di terrorismo, ha raccontato alla madre di avere subito abusi fisici e psicologici durante la detenzione. I sostenitori di Turbin, che hanno pubblicato un estratto della sua lettera su Telegram, sospettano che oltre ad aggredirlo, i compagni di cella gli stiano rubando il cibo. Ecco cosa sappiamo. Arsenij Turbin è stato condannato a cinque anni di carcere minorile nel giugno 2024, quando aveva ancora 15 anni. Secondo gli inquirenti governativi, nell’estate del 2023 Arsenij si era unito alla legione Libertà per la Russia, un’unità filoucraina composta da cittadini russi e, su loro preciso ordine aveva iniziato a distribuire volantini che criticavano Vladimir Putin. Turbin dichiara di non essersi mai unito alla legione e di avere distribuito i volantini di sua iniziativa. Il Centro per i diritti umani Memorial ha dichiarato Turbin prigioniero politico. Al momento Turbin si trova in detenzione preventiva in attesa dell’appello contro la sua condanna. Nell’estratto di una lettera inviata a sua madre pubblicato lunedì (1 ottobre) nel gruppo Telegram Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!), l’adolescente scrive che un compagno di cella di nome Azizbek lo ha picchiato più volte. “Questa sera, dopo le 18:00, uno dei miei compagni di cella mi ha dato due pugni in testa mentre ero a letto”, ha scritto. “La situazione è davvero difficile, brutta davvero. Azizbek mi ha colpito e poi ha detto che stanotte mi inc***. Sarà una lunga nottata. Ma resisterò.” Turbin scrive anche che in carcere lo hanno catalogato come “incline al terrorismo” per il reato che gli contestano (“partecipazione a organizzazione terroristica”). In un post su Telegram i sostenitori di Turbin hanno ipotizzato che i suoi compagni di cella gli stessero rubando il cibo: nelle sue lettere chiedeva sempre alla madre pacchi di viveri, mentre questa volta le ha scritto che non ne aveva bisogno. La madre di Turbin, Irina Turbina, martedì ha riferito a Mediazona che il figlio è stato messo in isolamento dal 23 al 30 settembre. Dalla direzione della prigione le hanno detto che era dovuto a una “lite” tra Turbin e i suoi compagni di cella e che tutti e quattro i prigionieri coinvolti erano stati puniti con l’isolamento. Irina Turbina ha anche detto che il personale del carcere non le ha permesso di parlare con Arsenij al telefono e che l’ultima volta che hanno parlato è stata a inizio settembre. La madre ha raccontato l’ultimo incontro con suo figlio al sito Ponjatno.Media: “Quando sono andata a trovarlo l’11 settembre non l’ho riconosciuto. Non era mai particolarmente allegro neanche le volte precedenti che l’ho visto, certo, ma almeno aveva ancora speranza, era ottimista: aspettava l’appello e credeva che qualcosa di buono l’avremmo ottenuto. L’11 settembre, invece, Arsenij aveva le lacrime agli occhi. Mi ha detto: ‘Mamma, ti prego, fai tutto il possibile, tirami fuori di qui. Sto davvero, davvero male qui’.” “Mamma, probabilmente morirò presto”, ha continuato a riferire la madre, citando il figlio. Ha poi detto di avere inoltrato la lettera a Eva Merkačeva, membro del Consiglio presidenziale russo per i diritti umani, chiedendole di intervenire. Secondo le informazioni di Mediazona, ad Arsenij è stato finalmente permesso di parlare con sua madre al telefono l’8 ottobre. Le avrebbe detto che il suo aggressore era stato trasferito in un’altra cella il giorno prima e che si trovava bene con gli altri compagni di cella. Aggiornamento del 20 ottobre dal canale Telegram Svobodu Arseniju!: “Questa settimana Arsenij non ha mai telefonato”. La madre riferisce di averlo sentito l’ultima volta l’8 ottobre scorso. 25 ottobre 2024

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