Il conflitto in Ucraina: né fascisti, né complotto

di Andreas Kappeler “Der Standard” 13-12-2014

DI ANDREAS KAPPELER

Der Standart.at, 12/12/2014

Di rado le opinioni sono divise come in questa questione: chi è responsabile della guerra tra Mosca e Kiev? Sei fraintendimenti della crisi ucraina e relativi fatti storici.

Non c’è attualmente un tema nella politica mondiale in cui fatti, fraintendimenti e propaganda disinvolta si confondano come nella crisi ucraina. Un tentativo di chiarimento

  1. La Federazione Russa non è l’Unione Sovietica.  E’ vero che formalmente ne è l’erede giuridico, tuttavia è solo uno degli Stati che ne hanno preso il posto e che alla fine del 1991 furono fondati sulla base delle quindici Repubbliche sovietiche. Benché Vladimir Putin sia incline a evocare il passato imperiale, la Russia non può vantare alcuna pretesa egemonica sull’ex territorio dell’Unione Sovietica. Al contrario tutti i quindici Stati a questa seguiti, tra cui l’Ucraina, sono Stati sovrani e godono degli stessi diritti. Questo fraintendimento si palesa anche nella diffusa equiparazione tra Russi e cittadini sovietici. Nella primavera del 1945 a marciare nelle strade di Vienna non furono soltanto “Russi” bensì soldati sovietici tra i quali numerosi Ucraini.
  2. Gli Ucraini non sono Russi. I due popoli parlano sì lingue affini e appartengono in maggioranza alla Chiesa ortodossa, sono però nazioni diverse. La nazione ucraina si è formata nell’ambito del regno lituano-polacco, e a metà del XVII secolo sussistette temporaneamente un potere unitario ucraino indipendente. Dopo che, alla fine del secolo XVIII, la maggior parte dei territori dell’Ucraina entrò a far parte dell’impero zarista, la costruzione nazionale ucraina subì un rallentamento, anche e soprattutto a seguito di una rigida politica di russificazione. Questa fu proseguita, dopo una fase di ucrainizzazione, negli anni Venti, e solamente con l’indipendenza dell’Ucraina riprese il processo di costruzione nazionale. Gli Ucraini sono dunque una nazione tardiva, come anche i Russi, che solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica hanno potuto disporre di un proprio Stato e svilupparsi come nazione.
  3. Il fatto che metà della popolazione dell’Ucraina sia di madrelingua russa non significa che i russofoni propugnino automaticamente un’unione delle loro regioni alla Russia. L’Ucraina è una nazione bilingue, e si definisce non come una nazione etno-linguistica, bensì come nazione politica sovra-etnica. Nel dicembre del 1991 il 90 per cento della popolazione si era espresso per l’indipendenza del Paese, e sulla base di tutti i sondaggi ancor oggi la grande maggioranza dei cittadini, anche nelle regioni orientali e meridionali, si dichiara per lo Stato ucraino. Solamente l’intervento militare della Russia ha fatto nascere un movimento separatista nell’Est del Paese. Nel movimento Euromaidan di Kiev si parlava molto in russo, ma altrettanto si parla russo nell’esercito ucraino che combatte contro i separatisti. Parecchi scrittori ucraini scrivono le loro opere in russo, il più noto di loro è Andrej Kurkov, ed è lui stesso a definirsi un patriota ucraino.
  4. Gli Ucraini russofoni non sono stati e non sono sottoposti ad alcuna politica di ucrainizzazione violenta, e tuttavia la lingua russa domina nell’Est e nel Sud del Paese anche dopo ventitre anni d’indipendenza. La Russia motiva il suo intervento militare con la difesa dei suoi “connazionali” (intendendo i cittadini ucraini russofoni) da rappresaglie. I rimproveri del presidente Putin e della propaganda secondo cui in Ucraina orientale avrebbero luogo “pulizie etniche” e sia in atto un genocidio sono del tutto campati in aria. La retorica etno-nazionalista rammenta però penosamente le rivendicazioni di specie etnica (völkisch) avanzate in Europa nella prima metà del secolo Ventesimo.
  5. A Kiev non governano dei “fascisti”, ma rappresentanti eletti di partiti che nella loro maggioranza sono di orientamento nazional-democratico. Non si può tuttavia negare che a Maidan e nei battaglioni di volontari siano rappresentati gruppi nazionalisti radicali, che è possibile definire “fascisti”. Difficile però trovare un Paese europeo che sia privo di forze di estrema destra, si pensi ad esempio alla Francia e all’Ungheria, ma anche alla Russia. Tra gli stessi leader autonominati delle “Repubbliche popolari” nel bacino del Don c’erano cittadini russi appartenenti a partiti estremisti nazionalisti di stampo neonazista. Ciò non significa che i gruppi estremisti in Ucraina (come in altri Paesi) non debbano essere presi sul serio.
  6. Il movimento filoccidentale di Maidan non è stato l’esito di una congiura contro la Russia istigata e finanziata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. E’ vero che le NGO in Ucraina sono state sostenute dall’Occidente, tuttavia Maidan con le sue centinaia di migliaia di dimostranti è stato un movimento spontaneo di disubbidienza della società civile. Dopo che si riuscì ad abbattere il presidente, la Russia intervenne militarmente, dato che una Maidan coronata da successo poteva essere assunta a modello dall’opposizione russa: una visione orrenda per l’autocrate Putin.

 

Andreas Kappeler “Der Standard”  13-12-2014

Andreas Kappeler (71 anni) è professore emerito di Storia dell’Europa dell’Est all’Università di Vienna. E’ apparsa di recente la quarta edizione riveduta della sua Kleine Geschichte der Ukraine (Breve storia dell’Ucraina).

Traduzione di Carlo Mainol

 

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Verona, 14 novembre 2024. Il caso Sandormoch.

Giovedì 14 novembre alle 16:00 nell’aula co-working del dipartimento di lingue e letterature straniere dell’università di Verona la nostra presidente Giulia De Florio terrà il seminario Riscrivere la storia, proteggere la memoria: il caso di Sandormoch. Giulia De Florio e Andrea Gullotta hanno curato per Stilo Editrice la traduzione italiana del volume Il caso Sandormoch: la Russia e la persecuzione della memoria di Irina Flige, presidente di Memorial San Pietroburgo. Del volume hanno voluto parlare Martina Napolitano, Stefano Savella, Francesco Brusa e Maria Castorani. Nell’immagine il monumento in pietra presente all’ingresso del cimitero di Sandormoch sul quale si legge l’esortazione “Uomini, non uccidetevi”. Foto di Irina Tumakova / Novaja Gazeta.

Leggi

Pisa, 8-29 novembre 2024. Mostra “GULag: storia e immagini dei lager di Stalin”.

Il 9 novembre 1989 viene abbattuto il Muro di Berlino e nel 2005 il parlamento italiano istituisce il Giorno della Libertà nella ricorrenza di quella data, “simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”. Per l’occasione, l’assessorato alla Cultura del Comune di Pisa porta a Pisa la mostra GULag: storia e immagini dei lager di Stalin. La mostra, a cura di Memorial Italia, documenta la storia del sistema concentrazionario sovietico illustrata attraverso il materiale documentario e fotografico proveniente dagli archivi sovietici e descrive alcune delle principali “isole” di quello che dopo Aleksandr Solženicyn è ormai conosciuto come “arcipelago Gulag”: le isole Solovki, il cantiere del canale Mar Bianco-Mar Baltico (Belomorkanal), quello della ferrovia Bajkal-Amur, la zona mineraria di Vorkuta e la Kolyma, sterminata zona di lager e miniere d’oro e di stagno nell’estremo nordest dell’Unione Sovietica, dal clima rigidissimo, resa tristemente famosa dai racconti di Varlam Šalamov. Il materiale fotografico, “ufficiale”, scattato per documentare quella che per la propaganda sovietica era una grande opera di rieducazione attraverso il lavoro, mostra gli edifici in cui erano alloggiati i detenuti, la loro vita quotidiana e il loro lavoro. Alcuni pannelli sono dedicati a particolari aspetti della vita dei lager, come l’attività delle sezioni culturali e artistiche, la propaganda, il lavoro delle donne, mentre altri illustrano importanti momenti della storia sovietica come i grandi processi o la collettivizzazione. Non mancano una carta del sistema del GULag e dei grafici con i dati statistici. Una parte della mostra è dedicata alle storie di alcuni di quegli italiani che finirono schiacciati dalla macchina repressiva staliniana: soprattutto antifascisti che erano emigrati in Unione Sovietica negli anni Venti e Trenta per sfuggire alle persecuzioni politiche e per contribuire all’edificazione di una società più giusta. Durante il grande terrore del 1937-38 furono arrestati, condannati per spionaggio, sabotaggio o attività controrivoluzionaria: alcuni furono fucilati, altri scontarono lunghe pene nei lager. La mostra è allestita negli spazi della Biblioteca Comunale SMS Biblio a Pisa (via San Michele degli Scalzi 178) ed è visitabile da venerdì 8 novembre 2024, quando verrà inaugurata, alle ore 17:00, da un incontro pubblico cui partecipano Elena Dundovich (docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Pisa e socia di Memorial Italia), Ettore Cinnella (storico dell’Università di Pisa) e Marco Respinti (direttore del periodico online Bitter Winter). Introdotto dall’assessore alla cultura Filippo Bedini e moderato da Andrea Bartelloni, l’incontro, intitolato Muri di ieri e muri di oggi: dal gulag ai laogai, descriverà il percorso che dalla rievocazione del totalitarismo dell’Unione Sovietica giunge fino all’attualità dei campi di rieducazione ideologica nella Repubblica Popolare Cinese. La mostra resterà a Pisa fino al 28 novembre.

Leggi

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz.

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz con curatela di Luca Bernardini (Guerini e Associati, 2024). Una testimonianza al femminile sull’universo del Gulag e sugli orrori del totalitarismo sovietico. Arrestata nel 1945 a ventidue anni per la sua attività nell’AK (Armia Krajowa), l’organizzazione militare clandestina polacca, Anna Szyszko-Grzywacz viene internata nel lager di Vorkuta, nell’Estremo Nord della Siberia, dove trascorre undici anni. Nella ricostruzione dell’esperienza concentrazionaria, attraverso una descrizione vivida ed empatica delle dinamiche interpersonali tra le recluse e della drammatica quotidianità da loro vissuta, narra con semplicità e immediatezza la realtà estrema e disumanizzante del Gulag. Una realtà dove dominano brutalità e sopraffazione e dove la sopravvivenza per le donne, esposte di continuo alla minaccia della violenza maschile, è particolarmente difficile. Nell’orrore quotidiano raccontato da Anna Szyszko-Grzywacz trovano però spazio anche storie di amicizia e solidarietà femminile, istanti di spensieratezza ed emozioni condivise in una narrazione in cui alla paura e alla dolorosa consapevolezza della detenzione si alternano le aspettative e gli slanci di una giovane donna che non rinuncia a sperare, malgrado tutto, nel futuro. Anna Szyszko-Grzywacz nasce il 10 marzo 1923 nella parte orientale della Polonia, nella regione di Vilna (Vilnius). Entra nella resistenza nel settembre 1939 come staffetta di collegamento. Nel giugno 1941 subisce il primo arresto da parte dell’NKVD e viene rinchiusa nella prigione di Stara Wilejka. Nel luglio 1944 prende parte all’operazione “Burza” a Vilna come infermiera da campo. Dopo la presa di Vilna da parte dei sovietici i membri dell’AK, che rifiutano di arruolarsi nell’Armata Rossa, vengono arrestati e internati a Kaluga. Rilasciata, Anna Szyszko cambia identità, diventando Anna Norska, e si unisce a un’unità partigiana della foresta come tiratrice a cavallo in un gruppo di ricognizione. Arrestata dai servizi segreti sovietici nel febbraio 1945, viene reclusa dapprima a Vilna nel carcere di Łukiszki, e poi a Mosca alla Lubjanka e a Butyrka. In seguito alla condanna del tribunale militare a venti anni di lavori forzati, trascorre undici anni nei lager di Vorkuta. Fa ritorno in patria il 24 novembre 1956 e nel 1957 sposa Bernard Grzywacz, come lei membro della Resistenza polacca ed ex internato a Vorkuta, con cui aveva intrattenuto per anni all’interno del lager una corrispondenza clandestina. Muore a Varsavia il 2 agosto 2023, all’età di cento anni.

Leggi