12 – 14 settembre 2014, convegno organizzato dal Centro Studi Vasilij Grossman e dalla Dom russkogo zarubežija im. A.I. Solženicyna, Mosca
Intervista a Irina Ščerbakova di Memorial
Grossman, indigesto a Putin.
A mezzo secolo dalla scomparsa, lo scrittore russo Vasilij Grossman, morto il 14 settembre 1964, non è più un autore vietato nel suo Paese, ma resta per molti versi uno straniero in patria. Non a caso è a firma italiana il convegno internazionale organizzato a Mosca dal Centro studi Vasilij Grossman di Torino, che sta completando la catalogazione e la digitalizzazione di tutte le sue opere e della letteratura secondaria in italiano, inglese e russo. Il romanzo principale di Grossman, Vita e destino (edito in Italia da Adelphi), resta un insuperabile affresco della vita in Unione Sovietica durante la Seconda guerra mondiale, ma anche di alcuni snodi fondamentali del XX secolo. Grossman tratteggia la comune furia ideologica di nazismo e comunismo, che nel romanzo emerge in un celebre dialogo tra il guardiano di un lager tedesco e un prigioniero, commissario dell’Armata rossa. O il dramma dell’individuo davanti al potere, che si presenta con il suo volto repressivo o con la «forza ipnotica di idee grandiose». Ma anche l’irriducibilità dell’uomo, che in ogni situazione può mantenere la sua dignità. Nelle pagine di Vita e destino , completato nel 1960, Grossman mette in scena innanzitutto il suo dramma di autore che, come i suoi personaggi, cooperò a lungo con il regime fino a quando, dopo la morte di Stalin, scrisse il romanzo che lo metteva in rotta di collisione con i vertici comunisti. Il dattiloscritto fu sequestrato dal Kgb e Grossman morì pochi anni dopo. Il volume, edito nel frattempo all’estero, uscì in Urss solo nel 1988. Oggi in Russia il suo posto tra i grandi della letteratura resta controverso: «Dopo il crollo dell’ideologia socialista — spiega Irina Sherbakova della Fondazione Memorial di Mosca — Putin è impegnato nella costruzione di una nuova identità nazionalista, che passa attraverso la strumentalizzazione della vittoria contro il nazismo per riabilitare il mito di Stalin e della grande guerra patriottica». Ma Vita e destino è irriducibile a questa narrazione. «Lo Stalin diGrossman è un tiranno che usò la vittoria per estendere ancor più la sua dittatura su altre nazioni e sulla Russia stessa». Nel romanzo, la guerra e il Gulag sono «facce diverse di una sola tragedia» per il popolo russo, che paga un prezzo di sangue altissimo solo per ritrovarsi ancora sotto il giogo di un regime non poi così diverso da quello contro cui aveva combattuto. C’è infine il tema dell’antisemitismo (la madre di Grossman, che era ebreo, fu uccisa dai nazisti durante la Shoah) con cui la società russa fatica ancora a fare i conti. Però oggi di Grossman si può parlare liberamente e i suoi libri si trovano in tutte le librerie di Mosca. «Nella Russia di Putin — spiega Sherbakova — Grossman non è certo censurato, si possono pubblicare libri e fare convegni. C’è un grande interesse per questo autore: Vita e destino è stato addirittura inserito tra le letture consigliate nelle scuole. Ma non è questo il punto. In un certo senso il governo oggi non ha più bisogno di censurare: a differenza di quanto accadeva fino a qualche decennio fa, non è la letteratura il veicolo principale attraverso il quale si forma la consapevolezza del popolo, e la gente ha smesso di riversarsi nelle città solo per andare a teatro come faceva un tempo. L’impatto del romanzo sarebbe stato molto più dirompente se fosse stato pubblicato, anche in forma clandestina, negli anni Sessanta. Oggi la mentalità comune la fa la televisione, che è completamente controllata dal governo». Nel 2013 il primo canale della tv russa ha trasmesso un adattamento in dodici puntate di Vita e Destino . È stato un enorme successo, ma chi conosceva il libro è rimasto con l’amaro in bocca: ogni accenno ai campi di concentramento tedeschi e russi era sparito, lasciando spazio solo alle vicende della guerra e dell’assedio di Stalingrado. Grossman, che tanto aveva amato il popolo russo, a fianco del quale aveva combattuto come corrispondente di guerra, resta così un personaggio scomodo, lucida testimonianza di una indomabile fede nella libertà dell’individuo. In una lettera a Maksim Gorkij, lamentandosi perché uno dei suoi primi romanzi era stato bollato come «controrivoluzionario», scrisse: «Ho scritto quello che ho visto… Forse è una verità cruda. Ma la verità non può mai essere controrivoluzionaria».
Tommaso Piffer © RIPRODUZIONE RISERVATA
Da “Corriere della Sera” del 13/09/14