Intervista di Arsenij Roginskij

Intervista di Arsenij Roginskij. Un'ispezione sotto forma di retata improvvisa.

Arsenij Roginskij: “Un’ispezione sotto forma di retata improvvisa”

Arsenij Roginskij, storico, presidente dell’Associazione internazionale “Memorial”: “Questo non ha niente a che fare con la legge…”

Svetlana Rejter: – E’ la prima volta che vengono da voi con un’ispezione della Procura?
– Qualche hanno fa è successo, sono venuti. Ma allora è stata una cosa di poco conto, leggera.
– E ora?
– Lasci che prima le racconti che cosa ho pensato: sarò breve, spero. Innanzitutto è da due giorni che provo un senso di imbarazzo: l’ho provato anche ieri, ma oggi non ha fatto altro che diventare più forte.
Mi hanno mandato l’elenco delle pubblicazioni riguardanti l’ispezione avvenuta da noi: sono davvero molte. E sono ancora di più le lettere e le telefonate. Sa, si prova sempre imbarazzo quando la gente parla non di quello che hai fatto, ma di quello che fanno a te. È una logica ferrea. Ovviamente lo capisco, sono “le cose che fanno notizia” e anche qualcos’altro.
Ma queste cose mi fanno male: nelle ultime tre settimane sono uscite due pubblicazioni a cui “Memorial” ha preso parte. Ce le ho sulla scrivania: sono “Gli elenchi delle fucilazioni di Stalin”, una storia molto ampia sugli elenchi delle fucilazioni firmati da Stalin in persona, e l’album “Il grande terrore”, uscito a Parigi. Sono avvenimenti per i quali si dà la vita e capisco di cosa valga la pena parlare in questo caso.
Noi invece siamo finiti al centro dell’attenzione non per le cose buone che abbiamo fatto, ma perché da noi sono arrivati i capi con le loro minacce.
– Quando sono arrivati?
– Sono arrivati ieri mattina, resteranno qui oggi e staranno da noi molto a lungo. La domanda è: in relazione a cosa avviene tutto questo? Mi sembra che questa domanda si divida in due parti. La prima riguarda il senso di questa ispezione. E la seconda riguarda le sue possibili conseguenze pratiche per noi.
Mi sembra che la seconda ragione sia insignificante e derivi dalla prima. Se parliamo del senso, è ovviamente legato a ciò che è sempre esistito, che nel periodo staliniano ha raggiunto il picco e che negli anni Duemila è tornato a rafforzarsi: lo stereotipo della mentalità di massa, diffuso dal potere, riguardo alla grande potenza circondata da nemici che vogliono sempre farle qualcosa di male. E all’interno del paese esiste una quinta colonna che lavora per questi nemici.
È lo stereotipo principale dello stalinismo, che si è conservato dopo la morte di Stalin, si è indebolito leggermente negli anni Novanta ed è rinato con forza negli anni Duemila.
Cosa fa il potere con questo stereotipo? Può lottare contro di esso, se vuole costruire un paese democratico, oppure può appoggiarlo. Il nostro potere ha scelto di appoggiare questo stereotipo. L’occidente è il nemico, gli USA il principale fra i nemici, la parte della quinta colonna è attribuita a varie forze. Negli ultimi tempi è stata attribuita alle organizzazioni non governative che ricevono un finanziamento estero.
Questo è il soggetto di base ed è da qui che spuntano queste attuali leggi isteriche: gli emendamenti alla legge sull’alto tradimento, la legge approvata in risposta all’elenco di Magnitskij, gli emendamenti alla legge sulle ONG.
– Potrebbe precisare quale è la sua posizione nei confronti dell’“atto Magnitskij”?
– La mia posizione sarebbe molto favorevole se l’atto non si estendesse soltanto alla Russia. Se questa legge si estendesse a un grande gruppo di paesi, significherebbe la reale vittoria delle idee dei diritti dell’uomo nella politica governativa. Se queste leggi venissero approvate anche da altri paesi, sarebbe una cosa molto buona.
Ma torniamo alle nostre leggi. Nessuno sa come mettere in pratica la legge sugli agenti stranieri.
– A quel che capisco, dal punto di vista giuridico è praticamente impossibile.
– Ma no, tutto è possibile! Se ce ne freghiamo del diritto e lo calpestiamo, se distruggiamo la logica, se il nero lo chiamiamo bianco, alla fine si riuscirà ovviamente a far tutto. Ma farlo non è comunque così semplice. Nell’atmosfera di isteria collettiva degli ultimi mesi si continua a sentire: come è possibile che la legge sia entrata in vigore, ma non venga messa in pratica!
L’approvazione stesa di questa legge ha creato nella società un’atmosfera particolare, ha cominciato a frantumarla e dividerla, e sta fomentando l’ostilità della popolazione verso le ONG di vario tipo. È apparso il “nomignolo” di “agente straniero”.
Alcuni deputati saltano su a gridare: “Eccoli lì, quelli sono agenti! E anche quelli, e quegli altri!”
La legge sugli agenti stranieri è come uno spauracchio, un mostro che ci divide gli uni dagli altri.
A metà febbraio Putin ha detto qualcosa al comitato dell’FSB riguardo al fatto che le leggi da noi non vengono messe in pratica: tutti capiscono di che legge stesse parlando. Dopo di che, succede quello che succede: vengono rilasciati i mandati della procura a tutte le regioni e comincia un’ispezione di massa.
Capisce bene che non siamo soli, siamo in tanti! Un gran numero di ONG è sottoposto alle forme più disparate di ispezione: in alcuni posti cominciano a studiare la letteratura che si trova sullo scaffale dietro al direttore dell’ufficio che li accoglie. Cercano “elementi di estremismo”. Ad altri chiedono le lastre: “perché in fondo avete a che fare con il pubblico”. A qualcuno dicono: “Cominciamo l’ispezione dell’edificio”.
Non ci sono state perquisizioni da nessuna parte ed è comprensibile: queste procedure avvengono dopo l’insorgere di processi penali. La domanda principale è come queste ispezioni si ripercuotano sulle ONG russe.
– In cosa consiste l’ispezione?
– Ieri sono comparsi da noi i rappresentanti di tre enti: la procura, il Ministero della Giustizia e l’Agenzia delle Imposte. Hanno annunciato di dover fare un’ispezione all’organizzazione chiamata “Memorial Internazionale”. Hanno preteso molti documenti diversi: dai regolamenti e dai verbali delle riunioni del Consiglio di Amministrazione ai contratti di assunzione, l’elenco dell’organico, i fogli paga.
E poi: il libro delle note spese, i budget di tutti gli anni, le delibere delle commissioni di revisione, le relazioni degli audit, alcuni documenti di cui non avevo mai neanche sospettato l’esistenza: il registro dei movimenti dei libretti del lavoro, per esempio.
– Potevate rifiutarvi di mostrare i documenti?
– Ho chiesto agli uomini arrivati da noi: “Perché siete venuti?” Mi hanno risposto: “La procura generale ha dato disposizioni a quelle regionali perché vengano fatte ispezioni”. Cioè ci sono tre importanti enti statali e la cosa senza precedenti di questa storia è che questi enti si sono presentati contemporaneamente, tutti insieme.
Veniamo continuamente controllati, ma questa ispezione è complessa, inaspettata, nessuno ci aveva avvisato. È la prima volta che avviene in quasi 25 anni di lavoro. Perché?
È noto che la procedura agisce sulla base di una segnalazione. Se io ho fatto una denuncia contro di lei dicendo che lei nasconde della droga, la procura deve reagire. A noi hanno solo chiesto i documenti perché fossero ispezionati, niente di più. Ma che mal di testa ci fanno venire!
Dall’inizio degli anni Duemila il potere ha subissato le ONG di un’enorme quantità di richieste per quanto riguarda la documentazione. Dicono che le organizzazioni commerciali non si sognino neanche questa incredibile quantità di scartoffie.
Alla fine abbiamo raccolto tre faldoni di documenti per i tre enti: ogni documento andava prima trovato, poi autenticato, controllato, inserito nel faldone. Un lavoro terribile!
Ho parlato per otto ore con gli ispettori: a tutte le domande rispondono “non sappiamo niente”, ma si ha la sensazione che il finanziamento estero sia quello che li preoccupa più di tutto il resto.
– L’ispezione ha una durata ben definita?
– Quando arrivano con ispezioni pianificate, nell’ordinanza sono prescritti molto precisamente i termini. Una ispezione della procura sotto forma di una retata improvvisa, invece, può durare all’infinito.
Capisce l’assurdo: consegniamo ogni anno le relazioni sulla nostra attività al Ministero della Giustizia, le pubblichiamo sul sito; i documenti fiscali li consegniamo all’Agenzia delle Entrate! Lì sono indicate tutte le fonti di finanziamento, sono segnate tutte le cifre, e dall’ultimo rendiconto non è avvenuto niente di nuovo.
Immaginiamoci che, dopo aver analizzato i nostri rendiconti, arrivino alla conclusione che ci occupiamo di attività politica. E dato che riceviamo finanziamenti esteri (li riceviamo e non siamo intenzionati a rifiutarli; fra l’altro ho raccontato agli ispettori a quali fondi ho inviato nuove domande), immaginiamo che giungano alla conclusione che dobbiamo registrarci come “agenti stranieri”. Questo è uno dei possibili risultati dell’ispezione.
Potrebbe esserci un altro risultato, e anche questo è abbastanza ripugnante. In una contabilità così estesa non ci possono non essere errori e sbagli di qualche tipo da parte nostra; li trovano e possono fare quello che vogliono: da un’ordinanza per la rettifica degli errori fino alla chiusura dell’organizzazione attraverso un processo. È possibile anche che danneggino in qualche modo la nostra reputazione.
– Ieri da voi è venuta per l’appunto una troupe di NTV.
– Sì, in contemporanea con l’ispezione. A dirla tutta, nel bel mezzo dell’ispezione. Siamo rimasti sbalorditi dalla sfacciataggine che finora avevo visto solo in “Anatomia della protesta”: si infilano dentro con la telecamera, fanno domande. Pensavamo che gli inviati della Procura fossero arrivati con una squadra per le riprese, non credevamo che fossero giornalisti.
Quelli della Procura ci hanno detto: “No, non c’entrano con noi”. Allora abbiamo detto all’operatore: “Ragazzi, andate via”. No, hanno continuato a infiltrarsi, hanno fatto irruzione nella stanza, fino a che qualcuno degli inviati della Procura non ha detto: “La Procura di Mosca non ha dato il permesso alle riprese”.
Allora sono usciti dallo studio dove eravamo noi e poi a lungo, con la polizia, hanno tentato di farli uscire dall’edificio.
– E lei ha detto loro: “Siete la propaganda surkoviana”?
– Fa ridere dirlo, ma quei tempi non lontani si ricordano come un periodo relativamente ben definito. E più tranquillo. Non c’era questa isteria ed era sempre chiaro da chi dipendeva tutto.
Capivi che, se erano arrivati a un’organizzazione come “Memorial”, non poteva non esserci Surkov di mezzo. E ora invece chissà chi e cosa sta dietro queste persone. E chi prenderà una decisione. Non è escluso, d’altra parte, che su di noi una decisione sia già stata presa: non si sa solamente quale sia.
– Se vi proporranno di registrarvi come agenti stranieri, accetterete?
– No. Per noi è impossibile, capisce? Non solo perchè è una menzogna. E perché non ha niente a che fare con la legge. Siamo “Memorial”. Sappiamo quante persone, in quale anno, hanno confessato sotto tortura di essere spie e agenti stranieri. Sappiamo come strappavano da loro queste confessioni. Nella nostra memoria storica l’espressione “agente straniero” ha solo un significato. È il nostro stesso sangue che non ce lo permetterà: dopo questo non riuscirei più neanche a dormire tranquillamente.

Traduzione di Elena Freda Piredda

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Verona, 14 novembre 2024. Il caso Sandormoch.

Giovedì 14 novembre alle 16:00 nell’aula co-working del dipartimento di lingue e letterature straniere dell’università di Verona la nostra presidente Giulia De Florio terrà il seminario Riscrivere la storia, proteggere la memoria: il caso di Sandormoch. Giulia De Florio e Andrea Gullotta hanno curato per Stilo Editrice la traduzione italiana del volume Il caso Sandormoch: la Russia e la persecuzione della memoria di Irina Flige, presidente di Memorial San Pietroburgo. Del volume hanno voluto parlare Martina Napolitano, Stefano Savella, Francesco Brusa e Maria Castorani. Nell’immagine il monumento in pietra presente all’ingresso del cimitero di Sandormoch sul quale si legge l’esortazione “Uomini, non uccidetevi”. Foto di Irina Tumakova / Novaja Gazeta.

Leggi

Pisa, 8-29 novembre 2024. Mostra “GULag: storia e immagini dei lager di Stalin”.

Il 9 novembre 1989 viene abbattuto il Muro di Berlino e nel 2005 il parlamento italiano istituisce il Giorno della Libertà nella ricorrenza di quella data, “simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”. Per l’occasione, l’assessorato alla Cultura del Comune di Pisa porta a Pisa la mostra GULag: storia e immagini dei lager di Stalin. La mostra, a cura di Memorial Italia, documenta la storia del sistema concentrazionario sovietico illustrata attraverso il materiale documentario e fotografico proveniente dagli archivi sovietici e descrive alcune delle principali “isole” di quello che dopo Aleksandr Solženicyn è ormai conosciuto come “arcipelago Gulag”: le isole Solovki, il cantiere del canale Mar Bianco-Mar Baltico (Belomorkanal), quello della ferrovia Bajkal-Amur, la zona mineraria di Vorkuta e la Kolyma, sterminata zona di lager e miniere d’oro e di stagno nell’estremo nordest dell’Unione Sovietica, dal clima rigidissimo, resa tristemente famosa dai racconti di Varlam Šalamov. Il materiale fotografico, “ufficiale”, scattato per documentare quella che per la propaganda sovietica era una grande opera di rieducazione attraverso il lavoro, mostra gli edifici in cui erano alloggiati i detenuti, la loro vita quotidiana e il loro lavoro. Alcuni pannelli sono dedicati a particolari aspetti della vita dei lager, come l’attività delle sezioni culturali e artistiche, la propaganda, il lavoro delle donne, mentre altri illustrano importanti momenti della storia sovietica come i grandi processi o la collettivizzazione. Non mancano una carta del sistema del GULag e dei grafici con i dati statistici. Una parte della mostra è dedicata alle storie di alcuni di quegli italiani che finirono schiacciati dalla macchina repressiva staliniana: soprattutto antifascisti che erano emigrati in Unione Sovietica negli anni Venti e Trenta per sfuggire alle persecuzioni politiche e per contribuire all’edificazione di una società più giusta. Durante il grande terrore del 1937-38 furono arrestati, condannati per spionaggio, sabotaggio o attività controrivoluzionaria: alcuni furono fucilati, altri scontarono lunghe pene nei lager. La mostra è allestita negli spazi della Biblioteca Comunale SMS Biblio a Pisa (via San Michele degli Scalzi 178) ed è visitabile da venerdì 8 novembre 2024, quando verrà inaugurata, alle ore 17:00, da un incontro pubblico cui partecipano Elena Dundovich (docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Pisa e socia di Memorial Italia), Ettore Cinnella (storico dell’Università di Pisa) e Marco Respinti (direttore del periodico online Bitter Winter). Introdotto dall’assessore alla cultura Filippo Bedini e moderato da Andrea Bartelloni, l’incontro, intitolato Muri di ieri e muri di oggi: dal gulag ai laogai, descriverà il percorso che dalla rievocazione del totalitarismo dell’Unione Sovietica giunge fino all’attualità dei campi di rieducazione ideologica nella Repubblica Popolare Cinese. La mostra resterà a Pisa fino al 28 novembre.

Leggi

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz.

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz con curatela di Luca Bernardini (Guerini e Associati, 2024). Una testimonianza al femminile sull’universo del Gulag e sugli orrori del totalitarismo sovietico. Arrestata nel 1945 a ventidue anni per la sua attività nell’AK (Armia Krajowa), l’organizzazione militare clandestina polacca, Anna Szyszko-Grzywacz viene internata nel lager di Vorkuta, nell’Estremo Nord della Siberia, dove trascorre undici anni. Nella ricostruzione dell’esperienza concentrazionaria, attraverso una descrizione vivida ed empatica delle dinamiche interpersonali tra le recluse e della drammatica quotidianità da loro vissuta, narra con semplicità e immediatezza la realtà estrema e disumanizzante del Gulag. Una realtà dove dominano brutalità e sopraffazione e dove la sopravvivenza per le donne, esposte di continuo alla minaccia della violenza maschile, è particolarmente difficile. Nell’orrore quotidiano raccontato da Anna Szyszko-Grzywacz trovano però spazio anche storie di amicizia e solidarietà femminile, istanti di spensieratezza ed emozioni condivise in una narrazione in cui alla paura e alla dolorosa consapevolezza della detenzione si alternano le aspettative e gli slanci di una giovane donna che non rinuncia a sperare, malgrado tutto, nel futuro. Anna Szyszko-Grzywacz nasce il 10 marzo 1923 nella parte orientale della Polonia, nella regione di Vilna (Vilnius). Entra nella resistenza nel settembre 1939 come staffetta di collegamento. Nel giugno 1941 subisce il primo arresto da parte dell’NKVD e viene rinchiusa nella prigione di Stara Wilejka. Nel luglio 1944 prende parte all’operazione “Burza” a Vilna come infermiera da campo. Dopo la presa di Vilna da parte dei sovietici i membri dell’AK, che rifiutano di arruolarsi nell’Armata Rossa, vengono arrestati e internati a Kaluga. Rilasciata, Anna Szyszko cambia identità, diventando Anna Norska, e si unisce a un’unità partigiana della foresta come tiratrice a cavallo in un gruppo di ricognizione. Arrestata dai servizi segreti sovietici nel febbraio 1945, viene reclusa dapprima a Vilna nel carcere di Łukiszki, e poi a Mosca alla Lubjanka e a Butyrka. In seguito alla condanna del tribunale militare a venti anni di lavori forzati, trascorre undici anni nei lager di Vorkuta. Fa ritorno in patria il 24 novembre 1956 e nel 1957 sposa Bernard Grzywacz, come lei membro della Resistenza polacca ed ex internato a Vorkuta, con cui aveva intrattenuto per anni all’interno del lager una corrispondenza clandestina. Muore a Varsavia il 2 agosto 2023, all’età di cento anni.

Leggi