L’eredità del passato nella Russia del presente

25 ottobre 2012 Conferenza di Arsenij Roginskij Facoltà di Scienze politiche - Università degli Studi di Pisa

Conferenza di Arsenij Roginskij
presidente dell’ Associazione Memorial Mosca

Università degli Studi di Pisa – Facoltà di Scienze politiche
via Serafini 3 -Pisa
aula 1 -Polo Carmignani

giovedì 25 ottobre – ore 10.30

visualizza e scarica il PDF della locandina

Analogie e differenze tra il movimento del dissenso e le proteste di oggi

Fino al dicembre 2011 sembrava che la Russia si fosse adattata al governo di Putin, che a protestare contro il sistema autoritario nel paese fosse solo un ristretto gruppo di non conformisti incorreggibili che lentamente, ma costantemente, venivano emarginati dalla vita sociale. Ne erano una dimostrazione evidente le azioni di protesta che di volta in volta organizzavano i gruppi politici dell’opposizione. Queste azioni raccoglievano l’adesione di alcune centinaia di persone per lo più giovani radicali. Il risveglio della società civile russa, indignata dai rozzi brogli elettorali, ci ha colti di sorpresa.

La popolazione si è sentita offesa e ferita, e lesa nei suoi diritti. Queste proteste continuano ormai da un anno intero, senza fermarsi. Questi meeting di piazza raccolgono in media dalle 30.000 alle 100.000 persone. A partecipare sono soprattutto i giovani, ma anche le vecchie generazioni. Io e i miei vecchi compagni che avevamo partecipato alle iniziative del dissenso, ci ritrovavamo  insieme ai giovani alle manifestazioni di piazza e indossavamo insieme agli altri i nastri bianchi, simbolo della protesta. È molto interessante per me raccontare e cercare di spiegare questo fenomeno non come politologo o sociologo, ma come partecipante e osservatore, e confrontarlo con quello della nostra dissidenza degli anni ’60-‘70 in Unione Sovietica.

Il nucleo  centrale del movimento del dissenso, che si sviluppa dal ‘65  fino alla metà degli anni ’70,  era rappresentato dalla  questione della tutela dei diritti umani. L’attività del dissenso del periodo sovietico non si esprimeva solo attraverso proteste di tipo politico, ma era strettamente legata alla cultura.

Il movimento per la tutela dei diritti civili si batteva anche per  l’affermazione della libertà di espressione nell’arte e nella letteratura. Gli artisti organizzavano mostre clandestine di pittura astrata nei propri appartamenti;  scrittori e giornalisti pubblicavano i loro articoli nei cosiddetti samizdat (pubblicazioni stampate e diffuse clandestinamente), che poi circolavano di mano in mano. Quale fu la risposta del potere sovietico? Iniziarono arresti di massa e persecuzioni. Il movimento dei diritti civili  nacque proprio per difendere quegli intellettuali e artisti che venivano perseguitati dal regime. Questo  movimento si fondava su  alcuni principi fondamentali. Il primo era il divieto assoluto  di ricorrere alla violenza dopo le molte violenze subite nel  XX secolo durante il periodo del terrore staliniano, della guerra e del gulag.

Il secondo era la lotta per il riconoscimento della legalità del movimento di opposizione  e questo rappresentava una novità nel panorama dell’Unione Sovietica perché  subito dopo la rivoluzione dell’Ottobre 1917  l’opposizione al governo era stata relegata nell’illegalità e privata della libertà di espressione. La forma principale di protesta era inviare una lettera aperta al governo con le richieste dei dissidenti.

Un’ altra forma importante di contestazione erano le manifestazioni di piazza puramente simboliche da cui non ci si aspettava di ottenere risultati concreti. La novità consisteva nella nuova lingua usata dai dissidenti: la lingua del diritto. Per la prima volta ci si rivolgeva al potere usando la lingua del diritto.

I dissidenti si sono rapidamente ritagliati uno spazio  al di fuori del contesto sociale sovietico, costituendo un universo chiuso regolato da propri  codici sociali e morali e da propri rituali di comportamento ed esprimendosi nello spazio pubblico attraverso il samizdat e il tamizdat (testi pubblicati all’estero). Si può dire che la comunità dei dissidenti (e si trattava proprio di una comunità nella quale lo scambio di informazioni e di contatti interpersonali erano molto intensi) costituiva di per sé un modello di società civile. Non c’è dubbio che fosse proprio un modello di comunità che nella sua essenza non contemplava nessun rapporto con la società.

Da quando il regime sovietico ha cominciato a vacillare fino alla sua dissoluzione è passato circa un quarto di secolo. E’ nata in Russia nel frattempo una società civile? Sono in molti a dubitarne, anche se si riconosce la presenza di germogli della società civile, costituiti dalle organizzazioni  non governative, ma la collocazione e il ruolo di queste organizzazioni nella vita politica del paese sembrano ancora insignificanti. La crisi del parlamentarismo del 1993, l’inconsistenza della democrazia degli anni del potere di El’cin, l’epoca di Putin, con il controllo capillare e pervasivo dello Stato, l’evidente inerzia della popolazione sembravano confermare questo scetticismo. Ma nel dicembre dello scorso anno questa società civile che sembrava inesistente è scesa in  piazza  alla Bolotnaja. E a manifestare non erano  tanto  gli attivisti di organizzazioni sociali o di gruppi politici dell’opposizione, quanto una moltitudine di persone unite dal comune senso della responsabilità civile. Perciò per me paragonare la protesta dei dissidenti con la protesta attuale significa confrontare le caratteristiche del “modello di società civile” dissidente con la realizzazione di questo modello nello spazio sociale odierno, mettendo in risalto un insieme di analogie e differenze.

  •  Il punto di partenza.

Come ho già detto, l’attività dei dissidenti, legata alla difesa dei diritti, si allargò fino a comprendere la questione generale dello stato dei diritti civili e politici nell’Unione Sovietica, inclusa la problematica dell’affermazione della libertà artistica.

Nel 2011 la situazione era diversa perché il punto di partenza è stata la protesta contro i massicci brogli elettorali alle elezioni parlamentari.

Ho la sensazione che la maggioranza delle persone scese in piazza fossero consapevoli che se anche non ci fossero stati i brogli, “il partito al potere” avrebbe comunque vinto, ma non con quella schiacciante maggioranza. La protesta è stata provocata non tanto dai risultati del voto, quanto dalla violazione delle regole elettorali. In altre parole le persone, consapevoli dei  propri diritti giuridici, reagivano alla violazione di questi. Questo fatto può essere considerato non una ripetizione delle forme di protesta del dissenso, bensì una sua evoluzione. Le proteste di oggi sono cominciate dal punto in cui si erano fermate quelle dei dissidenti degli anni ’70.

  • Il rapporto tra attività di protesta e risultati

Le azioni di massa dell’ultimo anno sono azioni puramente di protesta e in questo senso sono simili alle lettere aperte dei difensori dei diritti civili che venivano diffuse  attraverso i samizdat.

Oggi i movimenti di protesta si trovano in una condizione diversa perché hanno la possibilità di realizzare progetti culturali, scientifici e didattici. Quindi hanno maggiore libertà. Chiedono al potere solo di poter lavorare in libertà e autonomia, impiegando le loro risorse. L’azione politico-sociale si concretizza in forma di richieste, o di suggerimenti al potere. Ma queste richieste e questi suggerimenti non sono recepiti oggi  da chi li esprime come utopie senza speranza, ma come scenari alternativi per il futuro con concrete possibilità di realizzazione se non oggi, nei prossimi anni.

Il movimento di opposizione attuale ha finalità concrete. Le persone che  monitoravano i seggi nei giorni delle elezioni erano le stesse che svolgevano attività di volontariato nelle zone alluvionate del Kuban’, nel sud della Russia.

In un certo senso possiamo dire che rispetto alla dissidenza degli anni ’70, oggi c’è stato uno straordinario progresso.

  • Chi erano i dissidenti degli anni ‘60 e chi scende oggi a manifestare nelle piazze?

La comunità del dissenso è il risultato della fusione di due gruppi sociali e culturali distinti.

Il primo gruppo era formato da giovani marginali, poeti non pubblicati, artisti d’avanguardia, vecchi rappresentanti del dissenso e del mondo del samizdat che provengono dallo spazio sociale sovietico. Alla metà degli anni ‘60 molti di loro  avevano già alle spalle vari anni di esperienza di dura opposizione al KGB, al partito e al Komsomol  e alcuni di essi avevano conosciuto i lager  e gli ospedali psichiatrici… Il secondo gruppo era formato invece da persone realizzate nella loro professione: professori universitari, intellettuali, redattori,  e persino membri dell’ Unione degli Scrittori. Il movimento per la difesa dei diritti cominciò con la fusione di questi due gruppi in una comunità di dissenso.

Adesso il quadro è molto simile. C’è un gruppo di giovani manifestanti che scendono in piazza ormai da alcuni  anni che non temono di essere arrestati più volte e poi rilasciati dopo qualche giorno. Come negli anni ’70, esiste anche un secondo gruppo molto più numeroso formato da giovani, ma anche da persone più mature, non ideologizzate, considerate estranee alla politica. Sono persone di successo, di ceto medio-alto che scendono in piazza perché sentono lesi i loro diritti. Ma c’è anche una grande differenza.   Oggi, per esempio,  un professore che scende in piazza a manifestare il giorno seguente torna tranquillamente  a far lezione all’università, mentre in passato sarebbe stato immediatamente licenziato. Questo è un cambiamento rilevante che ha un impatto molto incisivo sul movimento di protesta.

Anche la composizione ideologica dei movimenti di protesta attuali è estremamente diversificata come ai tempi dei dissidenti.  Ci sono estremisti di sinistra e di destra:  i “nazional-bolscevichi” di Eduard Limonov, gli attivisti dell’”avanguardia della gioventù rossa” di Sergej Udal’cov, gli ultranazionalisti e i giovani anti-fascisti, ecc. Ed esiste inoltre una chiara maggioranza di persone che simpatizzano con le idee liberali o semplicemente con gruppi estranei alla politica, ancora  una volta come all’inizio degli anni ’70.

Vi è infine un’altra grande  differenza rispetto al passato. Prima, pur nella eterogeinità socio-culturale e ideologica, esisteva nella comunità del dissenso un’unità di fondo: i dissidenti avevano un unico scopo comune e odiavano  tutti il potere sovietico. Non contava a quale gruppo appartenessero. Erano uniti. Ora invece è diverso: nelle piazze si marcia insieme, ma sotto bandiere diverse, guardandosi con diffidenza e talvolta con ostilità. E questo è comprensibile. Finché il movimento di protesta rimaneva solo un modello chiuso di società civile le differenze ideologiche avevano un ruolo irrilevante, convenzionale. Nella società civile reale questo fattore ha invece una rilevante importanza. Ma dovremmo far tesoro della lezione del  passato e stabilire delle regole comuni per il nuovo movimento così come era accaduto all’epoca del dissenso. I vecchi dissidenti queste regole le avevano: ammettevano qualunque critica, opinione, idea, ma rifiutavano categoricamente il ricorso alla violenza e alla propaganda della violenza. Ma sfortunamente, negli ultimi vent’anni la violenza ha cessato di essere un tabù.

4. Il contesto tecnologico delle proteste di allora e di oggi.  Esiste un’opinione secondo la quale gli aderenti al movimenti di protesta attuali rappresenterebbero “ il partito di internet” che si contrappone  “partito della televisione” filogovernativo. Lo stesso vale l’analogia  tra internet e il samizdat. Con una piccola grande differenza: il samizdat raggiungeva poche migliaia di persone, mentre internet raggiunge milioni di partecipanti della protesta civile e dell’opposizione politica. Non è un  caso che ora il potere cerchi di controllare questo nuovo strumento di comunicazione, rendendosi conto  che senza un controllo su internet non è più in grado con gli strumenti tradizionali di controllare tutto il paese. Se questa analogia è corretta, e lo è, significa che il movimento di protesta e di opposizione politica può estendersi all’intero territorio del paese.

5. Il rapporto tra la componente politica e quella civile della protesta.

La maggioranza dei dissidenti degli anni ’70 era completamente estranea alla politica, e non solo alla politica intesa in senso ristretto come lotta per il potere, ma anche anche al concetto di politica come arte di perseguire obiettivi sociali concreti. Considerava la protesta solo come un atto morale e non come un atto di opposizione politica.

Oggi la situazione è molto diversa perché i meeting e le manifestazioni di piazza sono azioni politiche, oltre tutto nel dicembre 2011 dopo l’ondata di proteste è sorta un’intera rete di associazioni  che si sono autoproposte per coordinare la protesta. E in questi comitati di coordinamento un ruolo importante è quello assunto dai leader dei gruppi dell’opposizione politica. Per loro si tratta di una vera lotta politica che ha l’obiettivo di rimuovere l’attuale leadership politica al potere; nella partecipazione ai meeting e alle dimostrazioni vedono l’unica via d’uscita dalla condizione marginale in cui sono stati relegati dal regime putiniano.

Ma gli obiettivi della protesta della maggioranza dei gruppi  che scendono in piazza sono più complessi. Chi protesta vuole dei cambiamenti: come obiettivo minimo le dimissioni di Putin e del suo entourage e come obiettivo massimo il cambiamento del regime politico. Ma la maggior parte di loro sono persone con un senso sviluppato della realtà e della creatività. Nei meeting che organizzano si sentono protagonisti di un’azione che riveste per loro un grande significato. I cartelli con la scritta “Putin vattene” hanno un significato simbolico come lo aveva per i dissidenti del ‘68 la sottoscrizione di petizioni per la revisione dei processi. In un certo senso è un semplice ribellarsi all’arroganza del potere e alla condizione di emarginazione dalla vita politica e civile. Ho l’impressione che a contare di più per loro non siano tanto i risultati elettori quanto il sentirsi offesi nei loro diritti di cittadini dagli abusi giudiziari e dai brogli elettorali e dalla mirabile gestione del potere putiniana.

Come i dissidenti dell’epoca sovietica esprimono innanzi tutto la loro protesta contro il potere, indipendentemente dalla certezza di ottenere risultati politici. Tuttavia, a differenza dei dissidenti degli anni ’70, non sono inclini a considerare la situazione come tragica, e in mancanza di risultati evidenti delle azioni di protesta, non si abbandonano a una visione pessimistica della realtà.  E’ come se fossero al di fuori della storia, essendosi formati nei tumultuosi anni ’90  sanno che in un certo senso tutto prima o poi cambierà, se non oggi, far una decina d’anni.  Verso i leader dell’opposizione hanno un atteggiamento nel migliore dei casi cauto e scettico a prescindere dai risultati politici effettivamente conseguiti.

Si tratta quindi di una forma di protesta civile che ha finalità e obiettivi concreti. In questo senso l’esperienza esistenziale dei dissidenti costituisce un punto di partenza per il movimento di protesta attuale, che si amplifica acquisendo un nuovo slancio e nuovi significati. La protesta civile è diventata un fattore politico significativo nella vita del paese, anche se non è riusciuta a elaborare dei meccanismi in grado di produrre un nuovo pensiero politico. Le idee di questo nuovo movimento scatenano reazioni da un lato reazioni incontrollate da parte dell’establishment putiniano (e ciò potrebbe essere un fattore negativo), ma dall’altro una fiducia non dichiarata, ma evidente dei manifestanti, della possibilità di costruire un futuro  migliore per il paese. Questo movimento non ha un programma politico ben definito.

Il potere sta tentando in tutti i modi di emarginare, reprimere, soffocare i gruppi di protesta, ma secondo me questa volta non avrà vita facile.


Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Aleksej Gorinov. L’ultima dichiarazione del 29 novembre 2024.

Il 29 novembre 2024 il tribunale militare di Vladimir ha emesso la sentenza del nuovo procedimento penale contro Aleksej Gorinov, consigliere municipale di Mosca, che è stato condannato a tre anni di reclusione in colonia penale di massima sicurezza per “giustificazione del terrorismo”. La condanna va ad aggiungersi ai sette anni già comminati nel 2022 per “fake news sull’esercito”. Foto di copertina: Dar’ja Kornilova. Foto: SOTAvision. BASTA UCCIDERE. FERMIAMO LA GUERRA. Aleksej Gorinov è avvocato e attivista e dal 2017 consigliere municipale presso il distretto Krasnosel’skij di Mosca. Nei primi anni Novanta era deputato per il partito Russia Democratica, ma nel 1993, durante la crisi costituzionale e il duro confronto tra il presidente El’cin e il Soviet supremo, decide di lasciare la politica. Negli ultimi vent’anni Gorinov ha lavorato come avvocato d’impresa e della pubblica amministrazione in ambito civile e ha fornito assistenza legale agli attivisti tratti in arresto durante le manifestazioni politiche. È fra gli ideatori della veglia-memoriale continua, con fiori e fotografie, sul ponte Moskvoreckij, luogo dell’omicidio di Boris Nemcov. Il 15 marzo 2022, durante un’assemblea ordinaria del Consiglio di zona del distretto Krasnosel’skij, Gorinov deplora pubblicamente l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe esortando “la società civile a fare ogni possibile sforzo per fermare la guerra”. Il 26 aprile viene arrestato ex art. 207.3 del Codice penale russo, noto anche come “legge sulle fake news”. Il tribunale del distretto Meščanskij ritiene che ci siano le prove che Gorinov abbia “diffuso informazioni deliberatamente false su quanto compiuto dalle Forze armate russe”, con le aggravanti di essere “in una posizione ufficiale e per motivi d’odio e ostilità”. Gorinov è il primo cittadino russo a ricevere una pena detentiva per essersi espresso contro la guerra. Già in occasione dell’ultima udienza del primo processo Aleksej Gorinov ha avuto modo, come prevede il sistema giudiziario russo, di pronunciare un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), in altre parole la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a, cui abbiamo avuto modo di dare voce grazie a Paolo Pignocchi e al progetto Proteggi le mie parole. Venerdì scorso, in occasione dell’ultima udienza del secondo processo ai suoi danni, Aleksej Gorinov ha pronunciato una seconda “ultima dichiarazione” che traduciamo in italiano. Sono stato per tutta la vita uno strenuo oppositore di aggressioni, violenza e guerre, e ho consacrato la mia vita esclusivamente ad attività di pace come la scienza, l’insegnamento, la pubblica istruzione e l’attività amministrativa e sociale in veste di deputato, difensore dei diritti umani, membro di commissioni elettorali e osservatore e supervisore del processo elettorale stesso. Mai avrei pensato di vivere abbastanza per constatare un tale livello di degrado del sistema politico del mio Paese e della sua politica estera, un periodo in cui tanti cittadini favorevoli alla pace e contrari alla guerra – in un numero che ormai è di qualche migliaio – vengono accusati di calunnia ai danni delle Forze armate e di giustificazione del terrorismo, e per questo vengono processati. Ci avviamo a concludere il terzo anno di guerra, il terzo anno di vittime e distruzione, di privazioni e sofferenze per milioni di persone cui, in territorio europeo, non si assisteva dai tempi della Seconda guerra mondiale. E non possiamo tacere. Ancora alla fine dello scorso aprile, il nostro ex ministro della difesa ha annunciato che le perdite della parte ucraina nel conflitto armato in corso ammontavano a 500.000 persone. Guardatelo, quel numero, e pensateci! Quali perdite, invece, ha subito la Russia, che secondo le fonti ufficiali avanza con successo costante per tutto il fronte? Continuiamo a non saperlo. E soprattutto, chi ne risponderà, poi? E a che pro succede tutto questo? Il nostro governo e coloro che lo sostengono nelle sue aspirazioni militariste hanno fortemente voluto questa guerra, che ora è arrivata anche nei nostri territori. Una cosa mi verrebbe da chiedere: vi pare che la nostra vita sia migliorata? Sono questi il benessere e la sicurezza che auspicate per il nostro Paese e per la sua gente? Oppure non l’avevate previsto, nei vostri calcoli, un simile sviluppo della situazione? A oggi, però, le risposte a queste domande non si pongono a chi ha deciso questa guerra e continua a uccidere, a chi ne fa propaganda e assume mercenari per combatterla, ma a noi, cittadini comuni della Russia che alziamo la voce contro la guerra e per la pace. Una risposta che paghiamo con la nostra libertà se non, alcuni, con la vita. Appartengo alla generazione ormai uscente di persone con genitori che hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale e, alcuni, le sono sopravvissuti con tutte le difficoltà del caso. La loro generazione, ormai passata, ci ha lasciato in eredità il compito di preservare la pace a ogni costo, come quanto di più prezioso abbiamo noi che abitiamo su questa Terra. Noi, invece, abbiamo snobbato le loro richieste e abbiamo spregiato la memoria di quelle persone e delle vittime della guerra suddetta. La mia colpa, in quanto cittadino del mio Paese, è di avere permesso questa guerra e di non essere riuscito a fermarla. Vi chiedo di prenderne atto, nel verdetto. Tuttavia, vorrei che la mia colpa e la mia responsabilità fossero condivise anche da chi questa guerra l’ha iniziata, vi ha partecipato e la sostiene, e da chi perseguita coloro che si battono per la pace. Continuo a vivere con la speranza che un giorno questo avverrà. Nel frattempo, chiedo perdono al popolo ucraino e ai miei concittadini che per questa guerra hanno sofferto. Nel processo in cui sono stato accusato e giudicato per avere detto espressamente che era necessario porre fine alla guerra, ho già dato piena voce alle mie considerazioni su questa vile impresa umana. Posso solo aggiungere che la violenza, l’aggressione generano solo altra violenza di ritorno, e nulla più. Questa è la vera causa delle nostre disgrazie, delle nostre sofferenze, di perdite senza senso di vite umane, della distruzione di infrastrutture civili e industriali, di case e abitazioni. Fermiamo questo massacro cruento che non serve né

Leggi

Roma, 5 dicembre 2024. Memorial Italia a Più libri più liberi.

Memorial Italia partecipa a Roma all’edizione 2024 di Più libri più liberi con la presentazione di Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione, ultimo volume della collana curata per Viella Editrice. Il regime putiniano e il nazionalismo russo: giovedì 5 dicembre alle 18:00 presso la Nuvola, Roma EUR, in sala Elettra, saranno presentati i volumi, pubblicati da Viella Editrice, Il nazionalismo russo. Spazio postsovietico e guerra all’Ucraina, a cura di Andrea Graziosi e Francesca Lomastro, e Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione, a cura dei nostri Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola. Intervengono Riccardo Mario Cucciolla, Francesca Gori, Andrea Graziosi, Andrea Romano. Coordina Carolina De Stefano. Il volume Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov.

Leggi

Bari, 26 novembre 2024. Proiezione del film documentario “The Dmitriev Affair”.

Martedì 26 novembre alle 20:30, presso il Multisala Cinema Galleria di Bari, Andrea Gullotta, vicepresidente di Memorial Italia, presenta il film documentario The Dmitriev Affair, scritto e diretto dalla regista olandese Jessica Gorter e sottotitolato in italiano. Jurij Dmitriev è uno storico e attivista, direttore di Memorial Petrozavodsk. Negli anni Novanta scopre un’enorme fossa comune in cui sono sepolte migliaia di vittime del Grande Terrore. Nella radura boschiva di Sandormoch, in Carelia, inaugura un cimitero commemorativo e riesce a raccogliere persone di varie nazionalità intorno a un passato complesso e conflittuale. Da sempre schierato contro il governo della Federazione Russa, nel 2014 Dmitriev condanna apertamente l’invasione della Crimea. Da allora inizia per lui un calvario giudiziario che lo porta a essere condannato a tredici anni e mezzo di reclusione. Il documentario di Jessica Gorter, realizzato nel 2023, racconta con passione e precisione la sua tragica vicenda. Gabriele Nissim, ha letto per Memorial Italia l’ultima dichiarazione di Jurij Dmitriev, pronunciata l’8 luglio 2020, come parte del progetto 30 ottobre. Proteggi le mie parole. Irina Flige, storica collaboratrice di Memorial San Pietroburgo, ha raccontato la storia della radura di Sandormoch nel volume Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria, pubblicato da Stilo Editrice e curato da Andrea Gullotta e Giulia De Florio. La proiezione è a ingresso libero ed è uno degli incontri previsti dall’undicesima edizione del festival letterario Pagine di Russia, organizzato dalla casa editrice barese Stilo in collaborazione con la cattedra di russo dell’Università degli Studi di Bari. Quest’anno il festival è inserito nella programmazione del progetto Prin 2022 PNRR (LOST) Literature of Socialist Trauma: Mapping and Researching the Lost Page of European Literature ed è dedicato al concetto di trauma nella cornice della letteratura russa del Novecento sorta dalle repressioni sovietiche.

Leggi