L’eredità del passato nella Russia del presente

25 ottobre 2012 Conferenza di Arsenij Roginskij Facoltà di Scienze politiche - Università degli Studi di Pisa

Conferenza di Arsenij Roginskij
presidente dell’ Associazione Memorial Mosca

Università degli Studi di Pisa – Facoltà di Scienze politiche
via Serafini 3 -Pisa
aula 1 -Polo Carmignani

giovedì 25 ottobre – ore 10.30

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Analogie e differenze tra il movimento del dissenso e le proteste di oggi

Fino al dicembre 2011 sembrava che la Russia si fosse adattata al governo di Putin, che a protestare contro il sistema autoritario nel paese fosse solo un ristretto gruppo di non conformisti incorreggibili che lentamente, ma costantemente, venivano emarginati dalla vita sociale. Ne erano una dimostrazione evidente le azioni di protesta che di volta in volta organizzavano i gruppi politici dell’opposizione. Queste azioni raccoglievano l’adesione di alcune centinaia di persone per lo più giovani radicali. Il risveglio della società civile russa, indignata dai rozzi brogli elettorali, ci ha colti di sorpresa.

La popolazione si è sentita offesa e ferita, e lesa nei suoi diritti. Queste proteste continuano ormai da un anno intero, senza fermarsi. Questi meeting di piazza raccolgono in media dalle 30.000 alle 100.000 persone. A partecipare sono soprattutto i giovani, ma anche le vecchie generazioni. Io e i miei vecchi compagni che avevamo partecipato alle iniziative del dissenso, ci ritrovavamo  insieme ai giovani alle manifestazioni di piazza e indossavamo insieme agli altri i nastri bianchi, simbolo della protesta. È molto interessante per me raccontare e cercare di spiegare questo fenomeno non come politologo o sociologo, ma come partecipante e osservatore, e confrontarlo con quello della nostra dissidenza degli anni ’60-‘70 in Unione Sovietica.

Il nucleo  centrale del movimento del dissenso, che si sviluppa dal ‘65  fino alla metà degli anni ’70,  era rappresentato dalla  questione della tutela dei diritti umani. L’attività del dissenso del periodo sovietico non si esprimeva solo attraverso proteste di tipo politico, ma era strettamente legata alla cultura.

Il movimento per la tutela dei diritti civili si batteva anche per  l’affermazione della libertà di espressione nell’arte e nella letteratura. Gli artisti organizzavano mostre clandestine di pittura astrata nei propri appartamenti;  scrittori e giornalisti pubblicavano i loro articoli nei cosiddetti samizdat (pubblicazioni stampate e diffuse clandestinamente), che poi circolavano di mano in mano. Quale fu la risposta del potere sovietico? Iniziarono arresti di massa e persecuzioni. Il movimento dei diritti civili  nacque proprio per difendere quegli intellettuali e artisti che venivano perseguitati dal regime. Questo  movimento si fondava su  alcuni principi fondamentali. Il primo era il divieto assoluto  di ricorrere alla violenza dopo le molte violenze subite nel  XX secolo durante il periodo del terrore staliniano, della guerra e del gulag.

Il secondo era la lotta per il riconoscimento della legalità del movimento di opposizione  e questo rappresentava una novità nel panorama dell’Unione Sovietica perché  subito dopo la rivoluzione dell’Ottobre 1917  l’opposizione al governo era stata relegata nell’illegalità e privata della libertà di espressione. La forma principale di protesta era inviare una lettera aperta al governo con le richieste dei dissidenti.

Un’ altra forma importante di contestazione erano le manifestazioni di piazza puramente simboliche da cui non ci si aspettava di ottenere risultati concreti. La novità consisteva nella nuova lingua usata dai dissidenti: la lingua del diritto. Per la prima volta ci si rivolgeva al potere usando la lingua del diritto.

I dissidenti si sono rapidamente ritagliati uno spazio  al di fuori del contesto sociale sovietico, costituendo un universo chiuso regolato da propri  codici sociali e morali e da propri rituali di comportamento ed esprimendosi nello spazio pubblico attraverso il samizdat e il tamizdat (testi pubblicati all’estero). Si può dire che la comunità dei dissidenti (e si trattava proprio di una comunità nella quale lo scambio di informazioni e di contatti interpersonali erano molto intensi) costituiva di per sé un modello di società civile. Non c’è dubbio che fosse proprio un modello di comunità che nella sua essenza non contemplava nessun rapporto con la società.

Da quando il regime sovietico ha cominciato a vacillare fino alla sua dissoluzione è passato circa un quarto di secolo. E’ nata in Russia nel frattempo una società civile? Sono in molti a dubitarne, anche se si riconosce la presenza di germogli della società civile, costituiti dalle organizzazioni  non governative, ma la collocazione e il ruolo di queste organizzazioni nella vita politica del paese sembrano ancora insignificanti. La crisi del parlamentarismo del 1993, l’inconsistenza della democrazia degli anni del potere di El’cin, l’epoca di Putin, con il controllo capillare e pervasivo dello Stato, l’evidente inerzia della popolazione sembravano confermare questo scetticismo. Ma nel dicembre dello scorso anno questa società civile che sembrava inesistente è scesa in  piazza  alla Bolotnaja. E a manifestare non erano  tanto  gli attivisti di organizzazioni sociali o di gruppi politici dell’opposizione, quanto una moltitudine di persone unite dal comune senso della responsabilità civile. Perciò per me paragonare la protesta dei dissidenti con la protesta attuale significa confrontare le caratteristiche del “modello di società civile” dissidente con la realizzazione di questo modello nello spazio sociale odierno, mettendo in risalto un insieme di analogie e differenze.

  •  Il punto di partenza.

Come ho già detto, l’attività dei dissidenti, legata alla difesa dei diritti, si allargò fino a comprendere la questione generale dello stato dei diritti civili e politici nell’Unione Sovietica, inclusa la problematica dell’affermazione della libertà artistica.

Nel 2011 la situazione era diversa perché il punto di partenza è stata la protesta contro i massicci brogli elettorali alle elezioni parlamentari.

Ho la sensazione che la maggioranza delle persone scese in piazza fossero consapevoli che se anche non ci fossero stati i brogli, “il partito al potere” avrebbe comunque vinto, ma non con quella schiacciante maggioranza. La protesta è stata provocata non tanto dai risultati del voto, quanto dalla violazione delle regole elettorali. In altre parole le persone, consapevoli dei  propri diritti giuridici, reagivano alla violazione di questi. Questo fatto può essere considerato non una ripetizione delle forme di protesta del dissenso, bensì una sua evoluzione. Le proteste di oggi sono cominciate dal punto in cui si erano fermate quelle dei dissidenti degli anni ’70.

  • Il rapporto tra attività di protesta e risultati

Le azioni di massa dell’ultimo anno sono azioni puramente di protesta e in questo senso sono simili alle lettere aperte dei difensori dei diritti civili che venivano diffuse  attraverso i samizdat.

Oggi i movimenti di protesta si trovano in una condizione diversa perché hanno la possibilità di realizzare progetti culturali, scientifici e didattici. Quindi hanno maggiore libertà. Chiedono al potere solo di poter lavorare in libertà e autonomia, impiegando le loro risorse. L’azione politico-sociale si concretizza in forma di richieste, o di suggerimenti al potere. Ma queste richieste e questi suggerimenti non sono recepiti oggi  da chi li esprime come utopie senza speranza, ma come scenari alternativi per il futuro con concrete possibilità di realizzazione se non oggi, nei prossimi anni.

Il movimento di opposizione attuale ha finalità concrete. Le persone che  monitoravano i seggi nei giorni delle elezioni erano le stesse che svolgevano attività di volontariato nelle zone alluvionate del Kuban’, nel sud della Russia.

In un certo senso possiamo dire che rispetto alla dissidenza degli anni ’70, oggi c’è stato uno straordinario progresso.

  • Chi erano i dissidenti degli anni ‘60 e chi scende oggi a manifestare nelle piazze?

La comunità del dissenso è il risultato della fusione di due gruppi sociali e culturali distinti.

Il primo gruppo era formato da giovani marginali, poeti non pubblicati, artisti d’avanguardia, vecchi rappresentanti del dissenso e del mondo del samizdat che provengono dallo spazio sociale sovietico. Alla metà degli anni ‘60 molti di loro  avevano già alle spalle vari anni di esperienza di dura opposizione al KGB, al partito e al Komsomol  e alcuni di essi avevano conosciuto i lager  e gli ospedali psichiatrici… Il secondo gruppo era formato invece da persone realizzate nella loro professione: professori universitari, intellettuali, redattori,  e persino membri dell’ Unione degli Scrittori. Il movimento per la difesa dei diritti cominciò con la fusione di questi due gruppi in una comunità di dissenso.

Adesso il quadro è molto simile. C’è un gruppo di giovani manifestanti che scendono in piazza ormai da alcuni  anni che non temono di essere arrestati più volte e poi rilasciati dopo qualche giorno. Come negli anni ’70, esiste anche un secondo gruppo molto più numeroso formato da giovani, ma anche da persone più mature, non ideologizzate, considerate estranee alla politica. Sono persone di successo, di ceto medio-alto che scendono in piazza perché sentono lesi i loro diritti. Ma c’è anche una grande differenza.   Oggi, per esempio,  un professore che scende in piazza a manifestare il giorno seguente torna tranquillamente  a far lezione all’università, mentre in passato sarebbe stato immediatamente licenziato. Questo è un cambiamento rilevante che ha un impatto molto incisivo sul movimento di protesta.

Anche la composizione ideologica dei movimenti di protesta attuali è estremamente diversificata come ai tempi dei dissidenti.  Ci sono estremisti di sinistra e di destra:  i “nazional-bolscevichi” di Eduard Limonov, gli attivisti dell’”avanguardia della gioventù rossa” di Sergej Udal’cov, gli ultranazionalisti e i giovani anti-fascisti, ecc. Ed esiste inoltre una chiara maggioranza di persone che simpatizzano con le idee liberali o semplicemente con gruppi estranei alla politica, ancora  una volta come all’inizio degli anni ’70.

Vi è infine un’altra grande  differenza rispetto al passato. Prima, pur nella eterogeinità socio-culturale e ideologica, esisteva nella comunità del dissenso un’unità di fondo: i dissidenti avevano un unico scopo comune e odiavano  tutti il potere sovietico. Non contava a quale gruppo appartenessero. Erano uniti. Ora invece è diverso: nelle piazze si marcia insieme, ma sotto bandiere diverse, guardandosi con diffidenza e talvolta con ostilità. E questo è comprensibile. Finché il movimento di protesta rimaneva solo un modello chiuso di società civile le differenze ideologiche avevano un ruolo irrilevante, convenzionale. Nella società civile reale questo fattore ha invece una rilevante importanza. Ma dovremmo far tesoro della lezione del  passato e stabilire delle regole comuni per il nuovo movimento così come era accaduto all’epoca del dissenso. I vecchi dissidenti queste regole le avevano: ammettevano qualunque critica, opinione, idea, ma rifiutavano categoricamente il ricorso alla violenza e alla propaganda della violenza. Ma sfortunamente, negli ultimi vent’anni la violenza ha cessato di essere un tabù.

4. Il contesto tecnologico delle proteste di allora e di oggi.  Esiste un’opinione secondo la quale gli aderenti al movimenti di protesta attuali rappresenterebbero “ il partito di internet” che si contrappone  “partito della televisione” filogovernativo. Lo stesso vale l’analogia  tra internet e il samizdat. Con una piccola grande differenza: il samizdat raggiungeva poche migliaia di persone, mentre internet raggiunge milioni di partecipanti della protesta civile e dell’opposizione politica. Non è un  caso che ora il potere cerchi di controllare questo nuovo strumento di comunicazione, rendendosi conto  che senza un controllo su internet non è più in grado con gli strumenti tradizionali di controllare tutto il paese. Se questa analogia è corretta, e lo è, significa che il movimento di protesta e di opposizione politica può estendersi all’intero territorio del paese.

5. Il rapporto tra la componente politica e quella civile della protesta.

La maggioranza dei dissidenti degli anni ’70 era completamente estranea alla politica, e non solo alla politica intesa in senso ristretto come lotta per il potere, ma anche anche al concetto di politica come arte di perseguire obiettivi sociali concreti. Considerava la protesta solo come un atto morale e non come un atto di opposizione politica.

Oggi la situazione è molto diversa perché i meeting e le manifestazioni di piazza sono azioni politiche, oltre tutto nel dicembre 2011 dopo l’ondata di proteste è sorta un’intera rete di associazioni  che si sono autoproposte per coordinare la protesta. E in questi comitati di coordinamento un ruolo importante è quello assunto dai leader dei gruppi dell’opposizione politica. Per loro si tratta di una vera lotta politica che ha l’obiettivo di rimuovere l’attuale leadership politica al potere; nella partecipazione ai meeting e alle dimostrazioni vedono l’unica via d’uscita dalla condizione marginale in cui sono stati relegati dal regime putiniano.

Ma gli obiettivi della protesta della maggioranza dei gruppi  che scendono in piazza sono più complessi. Chi protesta vuole dei cambiamenti: come obiettivo minimo le dimissioni di Putin e del suo entourage e come obiettivo massimo il cambiamento del regime politico. Ma la maggior parte di loro sono persone con un senso sviluppato della realtà e della creatività. Nei meeting che organizzano si sentono protagonisti di un’azione che riveste per loro un grande significato. I cartelli con la scritta “Putin vattene” hanno un significato simbolico come lo aveva per i dissidenti del ‘68 la sottoscrizione di petizioni per la revisione dei processi. In un certo senso è un semplice ribellarsi all’arroganza del potere e alla condizione di emarginazione dalla vita politica e civile. Ho l’impressione che a contare di più per loro non siano tanto i risultati elettori quanto il sentirsi offesi nei loro diritti di cittadini dagli abusi giudiziari e dai brogli elettorali e dalla mirabile gestione del potere putiniana.

Come i dissidenti dell’epoca sovietica esprimono innanzi tutto la loro protesta contro il potere, indipendentemente dalla certezza di ottenere risultati politici. Tuttavia, a differenza dei dissidenti degli anni ’70, non sono inclini a considerare la situazione come tragica, e in mancanza di risultati evidenti delle azioni di protesta, non si abbandonano a una visione pessimistica della realtà.  E’ come se fossero al di fuori della storia, essendosi formati nei tumultuosi anni ’90  sanno che in un certo senso tutto prima o poi cambierà, se non oggi, far una decina d’anni.  Verso i leader dell’opposizione hanno un atteggiamento nel migliore dei casi cauto e scettico a prescindere dai risultati politici effettivamente conseguiti.

Si tratta quindi di una forma di protesta civile che ha finalità e obiettivi concreti. In questo senso l’esperienza esistenziale dei dissidenti costituisce un punto di partenza per il movimento di protesta attuale, che si amplifica acquisendo un nuovo slancio e nuovi significati. La protesta civile è diventata un fattore politico significativo nella vita del paese, anche se non è riusciuta a elaborare dei meccanismi in grado di produrre un nuovo pensiero politico. Le idee di questo nuovo movimento scatenano reazioni da un lato reazioni incontrollate da parte dell’establishment putiniano (e ciò potrebbe essere un fattore negativo), ma dall’altro una fiducia non dichiarata, ma evidente dei manifestanti, della possibilità di costruire un futuro  migliore per il paese. Questo movimento non ha un programma politico ben definito.

Il potere sta tentando in tutti i modi di emarginare, reprimere, soffocare i gruppi di protesta, ma secondo me questa volta non avrà vita facile.


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