Michail Chodorkovskij, La mia lotta per la libertà

Un uomo solo contro il regime di Putin. Articoli, dialoghi, interviste Traduzione di Giulia Marcucci Venezia, Marsilio, 2012

Il milionario contro lo Zar. Kodorkovskij: la mia scelta di restare in Russia

di Adriano Sofri, La Repubblica, 15/02/2012

Esce una raccolta di interventi, interviste e corrispondenze dell’oligarca messo in prigione da Putin.
“Mi pento ogni giorno di non essere andato all’estero. Ma in realtà non è così: perché non avrei potuto vivere” .

L’hanno trasferito dal confine con la Cina a quello con la Finlandia, l’hanno condannato a 13 anni.
Era a Boston col figlio, quando fu chiaro che cosa lo aspettava, decise di rientrare. Ora non chiede la grazia.

C’è un gran romanzo russo. Una fortuna colossale e improvvisa, e una rovina ancora più improvvisa. Il cinismo e la futilità del Cremlino. La conversione del protagonista. E la galera, la galera moscovita e siberiana e careliana. È un romanzo d’appendice, come i classici russi, quando l’autore scriveva mese per mese per sbarcare il lunario, e non sapeva ancora come sarebbe andata a finire. In questa circostanza, ciascuno di noi può condividere, in una piccolissima quota, la responsabilità dell’autore. Bisogna riassumere le puntate precedenti. I protagonisti sono due – benché dietro ci sia l’eterna Russia. Uno è Vladimir Putin, ed è quello che vince. A marzo sarà rieletto Presidente, per la terza volta formalmente, dopo il farsesco balletto col piccolo Medvedev. Forse non sarà rieletto al primo turno, e le strade si riempiono di gente che gli grida di andarsene. Lìaltro è quello che prende gli schiaffi, Michail Kodorkovskij. L’hanno trasferito da una prigione al confine con la Cina a una al confine con la Finlandia, l’hanno condannato a 13 anni – ne ha scontati già nove – prima per aver truffato il fisco, poi per aver rubato 213 milioni di tonnellate di petrolio (rileggete, prego) e per riciclaggio. Quando Putin lo fece arrestare (arbitrariamente, ha sentenziato Strasburgo) aveva quarant’anni ed era l’uomo più ricco della Russia. Ora ne ha 48. Ci si può appassionare alla sua storia per due ragioni. La prima è che è un uomo perseguitato, che reagisce con coraggio e ha tramutato l’orrore della prigionia in un’occasione per cambiare se stesso. E intanto per capire che “fare soldi a palate” non è il senso della vita: deduzione trita, se non venisse da uno che li aveva fatti a palate. La seconda ragione è che dal carcere prende parte alla lotta sul futuro della Russia nel mondo con lucidità e autorevolezza.

C’è un prezioso documentario su di lui, del tedesco Cyril Tuschi, presentato l’anno scorso a Berlino. Da noi esce un libro che raccoglie suoi articoli, interviste e corrispondenze con scrittrici e scrittori russi. Si intitola La mia lotta per la libertà (Marsilio). «Le parole da dietro le sbarre hanno un’importanza particolare», scrive il curatore. È vero, ma bisogna stare attenti a non farne un torto a chi le pronuncia. A leggerle anche “come se” non venissero da dietro alle sbarre.

Lui riassume così, nel 2005: «A me personalmente la Russia ha dato molto. Negli anni ì’70-’80 mi ha dato un’istruzione di cui andar fieri. Negli anni ’90 ha fatto di me l’uomo postsovietico più ricco. In questo decennio mi ha portato via la proprietà e mi ha messo in carcere, offrendomi la possibilità di specializzarmi ulteriormente, questa volta in argomenti umanistici e universali».

Kodorkovskij era il “padrone” della Yukos, la seconda compagnia petrolifera dopo Gazprom, comprata a prezzo di saldo grazie alla fedeltà a Eltsin, e portata a un formidabile successo. Era uno dei “sette oligarchi”. A differenza degli altri, finanziò pubblicamente partiti di opposizione, e disse in faccia a Putin che bisognava piantarla con la corruzione. La sua disgrazia, e dei suoi collaboratori, cominciò da lì. Si disse che volesse vendere la Yukos alla Exxon. Si sostenne (lo si fa ancora, anche da noi) che, per complicità di ebreo – è di padre ebreo – l’avesse già venduta ai Rothschild. Si insinuò che avesse commissionato omicidi per interesse – occasione, chissà, di un terzo processo futuro. Kodorkovskij era a Boston con suo figlio quando fu chiaro che cosa lo aspettava, e scelse di rientrare in Russia, per non abbandonare il suo vice, Platon Lebedev, accomunato a lui nelle accuse, e per non perdere il rispetto di sé. Ha sempre escluso di chiedere la grazia. «Il potere, chissà perché, considera il “pentimento” una condizione obbligatoria di grazia. Non pecco di eccessivo orgoglio, ma confessare delitti mai commessi per me è inammissibile».

Il parassitismo della classe dirigente, avverte, condanna la Russia a retrocedere nell’economia delle materie prime. La crisi demografica farà sì che la Siberia e l’Estremo Oriente siano popolate da immigrati cinesi, che prenderanno il sopravvento nei commerci e nello sfruttamento delle risorse. Compila – con la precisione contabile di un manager internazionale, e anche con la megalomania di un giacobino incarcerato («secondo i miei calcoli, la cui qualità è limitata dalle condizioni di una cella comune nella colonia penale di Krasnokamensk») – programmi scrupolosi di governo, fondati sul passaggio a una repubblica parlamentare-presidenziale, da un’economia del tubo del petrolio al sapere, e soprattutto a uno Stato di diritto.

Nei suoi pensieri si troveranno indizi utili sul tema losco e complicato del “nazionalismo” russo, tornato così attuale nella nuova opposizione. «La storia russa ci insegna che la perdita di una deferenza totale e rigorosa verso il nostro Stato conduce inesorabilmente il paese al caos, alla ribellione, alla rivoluzione». E poiché lo Stato è confiscato da una «burocrazia famelica, sarà una folla inferocita che si riverserà in strada gridando: “Avete promesso panem et circenses. Ebbene, dove sono?!”. Allora la democrazia diventerà ingovernabile…» (2004). Nel 2005 pubblica il primo di tre articoli più strettamente politici, “Svolta a sinistra”: «Le esplosioni sociali non avvengono dove si verifica un collasso economico, ma dove è giunto il momento di distribuire i frutti della crescita economica, non là dove più o meno tutti sono uguali nella miseria, ma dove l’uno per cento dei ricchi e il nove per cento dei relativamente benestanti si sono nettamente staccati dal novanta per cento dei poveri e, ancora più importante, dei sottomessi». La sinistra secondo lui è l’istruzione gratuita, la pensione adeguata, l’elezione diretta dei governatori, il limite di un mandato per i deputati. E anche “espressione che striderà alle nostre orecchie – «paternalismo statale e democrazia». Scorge la “svolta a sinistra” nelle rivoluzioni delle rose in Georgia, dei tulipani gialli in Kirghizistan, arancione in Ucraina. Nel 2008, la crisi finanziaria e la vittoria di Obama (che sta agli Usa, osserva spiritosamente, un po’ come Gorbaciov stette all’Urss) gli sembrano inverare la previsione della “svolta a sinistra” per “il mondo intero”. «Nell’economia globale anche i meccanismi di regolazione devono essere globali, e non lo sono (…). Nell’economia neoliberale le decisioni sono state prese da strutture sempre più supernazionali (le compagnie, ma anche il FMI e la Banca mondiale), mentre la responsabilità delle conseguenze sociali è toccata ai governi nazionali e ai contribuenti». L’economia reale dovrà riprendere i suoi diritti nella gara col virtuale. Fra poco, è la conclusione, «Keynes sarà più richiesto di Friedman e Hayek». Vincerà un “neosocialismo” liberale, sul modello scandinavo. (Oggi però, prima la Svezia e adesso la Finlandia, hanno perso i loro governi socialdemocratici).

La questione della democrazia in Russia riguarda prima di tutto una magistratura indipendente. «La riforma giudiziaria – scrive nel 2009 – nella Russia di oggi deve precedere quella politica». E si spinge a dire – curioso da orecchiare dalla nostra provincia – che una casta di professionisti della giustizia non plagiabili, «un corporativismo, non importa se la parola non piace, è la condizione per l’istituzione di un tribunale autonomo, per la prima volta nella storia russa». I “dialoghi” con gli scrittori fanno emergere un’umanità fiera e antieroica. Scrive a B. Akunin: «Mi mettono in cella d’isolamento. Me ne infischio. Ho smesso di avere paura… È cominciata l’epoca della responsabilità personale di un uomo dinanzi alle sue azioni. Ciascuno può scegliere se partecipare o meno alle vigliaccate». Si pente di non essere andato all’estero? «Sì, mi pento ogni giorno. No, perché andandomene non avrei potuto vivere».

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Aleksej Gorinov. L’ultima dichiarazione del 29 novembre 2024.

Il 29 novembre 2024 il tribunale militare di Vladimir ha emesso la sentenza del nuovo procedimento penale contro Aleksej Gorinov, consigliere municipale di Mosca, che è stato condannato a tre anni di reclusione in colonia penale di massima sicurezza per “giustificazione del terrorismo”. La condanna va ad aggiungersi ai sette anni già comminati nel 2022 per “fake news sull’esercito”. Foto di copertina: Dar’ja Kornilova. Foto: SOTAvision. BASTA UCCIDERE. FERMIAMO LA GUERRA. Aleksej Gorinov è avvocato e attivista e dal 2017 consigliere municipale presso il distretto Krasnosel’skij di Mosca. Nei primi anni Novanta era deputato per il partito Russia Democratica, ma nel 1993, durante la crisi costituzionale e il duro confronto tra il presidente El’cin e il Soviet supremo, decide di lasciare la politica. Negli ultimi vent’anni Gorinov ha lavorato come avvocato d’impresa e della pubblica amministrazione in ambito civile e ha fornito assistenza legale agli attivisti tratti in arresto durante le manifestazioni politiche. È fra gli ideatori della veglia-memoriale continua, con fiori e fotografie, sul ponte Moskvoreckij, luogo dell’omicidio di Boris Nemcov. Il 15 marzo 2022, durante un’assemblea ordinaria del Consiglio di zona del distretto Krasnosel’skij, Gorinov deplora pubblicamente l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe esortando “la società civile a fare ogni possibile sforzo per fermare la guerra”. Il 26 aprile viene arrestato ex art. 207.3 del Codice penale russo, noto anche come “legge sulle fake news”. Il tribunale del distretto Meščanskij ritiene che ci siano le prove che Gorinov abbia “diffuso informazioni deliberatamente false su quanto compiuto dalle Forze armate russe”, con le aggravanti di essere “in una posizione ufficiale e per motivi d’odio e ostilità”. Gorinov è il primo cittadino russo a ricevere una pena detentiva per essersi espresso contro la guerra. Già in occasione dell’ultima udienza del primo processo Aleksej Gorinov ha avuto modo, come prevede il sistema giudiziario russo, di pronunciare un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), in altre parole la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a, cui abbiamo avuto modo di dare voce grazie a Paolo Pignocchi e al progetto Proteggi le mie parole. Venerdì scorso, in occasione dell’ultima udienza del secondo processo ai suoi danni, Aleksej Gorinov ha pronunciato una seconda “ultima dichiarazione” che traduciamo in italiano. Sono stato per tutta la vita uno strenuo oppositore di aggressioni, violenza e guerre, e ho consacrato la mia vita esclusivamente ad attività di pace come la scienza, l’insegnamento, la pubblica istruzione e l’attività amministrativa e sociale in veste di deputato, difensore dei diritti umani, membro di commissioni elettorali e osservatore e supervisore del processo elettorale stesso. Mai avrei pensato di vivere abbastanza per constatare un tale livello di degrado del sistema politico del mio Paese e della sua politica estera, un periodo in cui tanti cittadini favorevoli alla pace e contrari alla guerra – in un numero che ormai è di qualche migliaio – vengono accusati di calunnia ai danni delle Forze armate e di giustificazione del terrorismo, e per questo vengono processati. Ci avviamo a concludere il terzo anno di guerra, il terzo anno di vittime e distruzione, di privazioni e sofferenze per milioni di persone cui, in territorio europeo, non si assisteva dai tempi della Seconda guerra mondiale. E non possiamo tacere. Ancora alla fine dello scorso aprile, il nostro ex ministro della difesa ha annunciato che le perdite della parte ucraina nel conflitto armato in corso ammontavano a 500.000 persone. Guardatelo, quel numero, e pensateci! Quali perdite, invece, ha subito la Russia, che secondo le fonti ufficiali avanza con successo costante per tutto il fronte? Continuiamo a non saperlo. E soprattutto, chi ne risponderà, poi? E a che pro succede tutto questo? Il nostro governo e coloro che lo sostengono nelle sue aspirazioni militariste hanno fortemente voluto questa guerra, che ora è arrivata anche nei nostri territori. Una cosa mi verrebbe da chiedere: vi pare che la nostra vita sia migliorata? Sono questi il benessere e la sicurezza che auspicate per il nostro Paese e per la sua gente? Oppure non l’avevate previsto, nei vostri calcoli, un simile sviluppo della situazione? A oggi, però, le risposte a queste domande non si pongono a chi ha deciso questa guerra e continua a uccidere, a chi ne fa propaganda e assume mercenari per combatterla, ma a noi, cittadini comuni della Russia che alziamo la voce contro la guerra e per la pace. Una risposta che paghiamo con la nostra libertà se non, alcuni, con la vita. Appartengo alla generazione ormai uscente di persone con genitori che hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale e, alcuni, le sono sopravvissuti con tutte le difficoltà del caso. La loro generazione, ormai passata, ci ha lasciato in eredità il compito di preservare la pace a ogni costo, come quanto di più prezioso abbiamo noi che abitiamo su questa Terra. Noi, invece, abbiamo snobbato le loro richieste e abbiamo spregiato la memoria di quelle persone e delle vittime della guerra suddetta. La mia colpa, in quanto cittadino del mio Paese, è di avere permesso questa guerra e di non essere riuscito a fermarla. Vi chiedo di prenderne atto, nel verdetto. Tuttavia, vorrei che la mia colpa e la mia responsabilità fossero condivise anche da chi questa guerra l’ha iniziata, vi ha partecipato e la sostiene, e da chi perseguita coloro che si battono per la pace. Continuo a vivere con la speranza che un giorno questo avverrà. Nel frattempo, chiedo perdono al popolo ucraino e ai miei concittadini che per questa guerra hanno sofferto. Nel processo in cui sono stato accusato e giudicato per avere detto espressamente che era necessario porre fine alla guerra, ho già dato piena voce alle mie considerazioni su questa vile impresa umana. Posso solo aggiungere che la violenza, l’aggressione generano solo altra violenza di ritorno, e nulla più. Questa è la vera causa delle nostre disgrazie, delle nostre sofferenze, di perdite senza senso di vite umane, della distruzione di infrastrutture civili e industriali, di case e abitazioni. Fermiamo questo massacro cruento che non serve né

Leggi

Roma, 5 dicembre 2024. Memorial Italia a Più libri più liberi.

Memorial Italia partecipa a Roma all’edizione 2024 di Più libri più liberi con la presentazione di Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione, ultimo volume della collana curata per Viella Editrice. Il regime putiniano e il nazionalismo russo: giovedì 5 dicembre alle 18:00 presso la Nuvola, Roma EUR, in sala Elettra, saranno presentati i volumi, pubblicati da Viella Editrice, Il nazionalismo russo. Spazio postsovietico e guerra all’Ucraina, a cura di Andrea Graziosi e Francesca Lomastro, e Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione, a cura dei nostri Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola. Intervengono Riccardo Mario Cucciolla, Francesca Gori, Andrea Graziosi, Andrea Romano. Coordina Carolina De Stefano. Il volume Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov.

Leggi

Bari, 26 novembre 2024. Proiezione del film documentario “The Dmitriev Affair”.

Martedì 26 novembre alle 20:30, presso il Multisala Cinema Galleria di Bari, Andrea Gullotta, vicepresidente di Memorial Italia, presenta il film documentario The Dmitriev Affair, scritto e diretto dalla regista olandese Jessica Gorter e sottotitolato in italiano. Jurij Dmitriev è uno storico e attivista, direttore di Memorial Petrozavodsk. Negli anni Novanta scopre un’enorme fossa comune in cui sono sepolte migliaia di vittime del Grande Terrore. Nella radura boschiva di Sandormoch, in Carelia, inaugura un cimitero commemorativo e riesce a raccogliere persone di varie nazionalità intorno a un passato complesso e conflittuale. Da sempre schierato contro il governo della Federazione Russa, nel 2014 Dmitriev condanna apertamente l’invasione della Crimea. Da allora inizia per lui un calvario giudiziario che lo porta a essere condannato a tredici anni e mezzo di reclusione. Il documentario di Jessica Gorter, realizzato nel 2023, racconta con passione e precisione la sua tragica vicenda. Gabriele Nissim, ha letto per Memorial Italia l’ultima dichiarazione di Jurij Dmitriev, pronunciata l’8 luglio 2020, come parte del progetto 30 ottobre. Proteggi le mie parole. Irina Flige, storica collaboratrice di Memorial San Pietroburgo, ha raccontato la storia della radura di Sandormoch nel volume Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria, pubblicato da Stilo Editrice e curato da Andrea Gullotta e Giulia De Florio. La proiezione è a ingresso libero ed è uno degli incontri previsti dall’undicesima edizione del festival letterario Pagine di Russia, organizzato dalla casa editrice barese Stilo in collaborazione con la cattedra di russo dell’Università degli Studi di Bari. Quest’anno il festival è inserito nella programmazione del progetto Prin 2022 PNRR (LOST) Literature of Socialist Trauma: Mapping and Researching the Lost Page of European Literature ed è dedicato al concetto di trauma nella cornice della letteratura russa del Novecento sorta dalle repressioni sovietiche.

Leggi