Interventi, processo e fucilazione
a cura di Fausto Malcovati;
traduzioni di Silvana de Vidovich ed Emanuela Guercetti.
Firenze, La Casa Usher, 2011.
Vsevolod Mejerchol’d viene arrestato nel giugno del 1939. Processato, torturato, viene fucilato il 2 febbraio 1940. Questo libro riunisce documenti, in parte inediti anche in Russia, degli ultimi quattro anni della sua vita: sono raccolti i discorsi stenografati degli anni 1936-1939, il dibattito inerente alla chiusura del suo teatro nel 1937, alcuni atti del processo (interrogatori, autoconfessione), le lettere dal carcere ai politici.
Il regista, in una serie di discorsi, in pubblici dibattiti, riunioni politiche, assemblee di lavoratori dello spettacolo, congressi di uomini di teatro, difende le proprie scelte, spiega i principi ispiratori della propria attività registica afferma coraggiosamente la propria coerenza di uomo di partito e insieme di uomo di teatro, la propria fedeltà alla grande utopia della Rivoluzione bolscevica. Sempre più emarginato, reagisce ammettendo i propri errori, chiedendo con disarmante ingenuità di poter continuare il proprio lavoro nella direzione richiesta dal partito. L’arresto e la fucilazione concludono una delle pagine più tragiche della vita artistica di quegli anni.
Vsevolod E. Mejerchol’d, L’ultimo atto. Interventi, processo e fucilazione, A cura di Fausto Malcovati, Edizione La casa Husher, Firenze, 2011, pagg. 250, € 22,00
Recensione di Marcello Flores
E’ un libro bello, terribile e molto importante questo curato da Fausto Malcovati, che ci presenta i più importanti interventi pubblici dell’ultima fase della vita di Mejerchol’d e gli stenogrammi dei suoi interrogatori e delle lettere che scrisse alle maggiori autorità dell’Urss prima di essere fucilato nel 1940. Scopriamo dall’interno del sistema culturale imposto da Stalin già nei primi anni Trenta e poi radicalizzato nel 1934, cosa abbia significato per gli scrittori, gli artisti, gli intellettuali, la nuova terribile svolta che nel 1937 porta al Grande Terrore. Nell’arco di poco più di tre anni, dallo scritto «Mejerchol’d contro il mejerchol’dismo» del marzo 1936 – in cui accanto a un’autocritica formale si ribadisce, con la coraggiosa difesa di Šostakovič, la propria idea estetica di intreccio tra forma e contenuto – all’intervento al I Congresso dei registi sovietici del giugno 1939 – in cui alla vigilia del suo arresto Mejerchol’d viene applaudito più volte dai delegati in platea ma attaccato violentemente da tutti i pochi che interverranno dal palco – vediamo i limiti sempre più ristretti di azione cui è costretto uno dei grandi artisti della Rivoluzione, che non aveva mai preso posizione contro il regime se non per rivendicare la libertà dell’artista e della sua necessaria sperimentazione. Malcovati sottolinea come il 1936, con la creazione nel gennaio del Comitato per gli Affari Artistici, costituisca un anno decisivo e terribile non solo per l’intera società sovietica ma per l’arte in particolare; perché la battaglia per il realismo socialista, imposta al I Congresso degli scrittori nel 1934, diventa adesso sempre più adeguazione conformista ai dettami dei burocrati culturali, che agiscono spesso – e lo si vede nella polemica contro Mejerchol’d di Kerzencev, ad esempio – anche per personali motivi di invidia e di grettezza culturale. Mejerchol’d, insieme a Šostakovič e Ejzenštejn, costituisce l’ultima barriera per il trionfo pieno del bigottismo propagandistico imposto dal realismo socialista e, più sfortunato di loro, pagherà con l’arresto e la fucilazione l’essersi voluto sottoporre in modo sostanzialmente formale ma non sostanziale alle accuse mosse contro di lui. C’è ancora, nei suoi ultimi interventi, la convinzione di poter continuare nell’equilibrio appreso durante l’imporsi dello stalinismo e nella prima parte degli anni ’30, tra obbedienza formale e ricerca di spazi anche piccoli di mantenimento di autonomia culturale; e solo troppo tardi la percezione che ancora una nuova fase si è aperta, quella apparentemente incomprensibile di un inutile Grande Terrore che assoggetta ancora di più una società già normalizzata e piegata. Gli interrogatori e poi le ultime lettere di Mejerchol’d in cui ritratta le confessioni estorte con la tortura sono un ulteriore e penetrante squarcio nella comprensione di questa ultima e terribile fase del dominio staliniano. Il tentativo, insieme paranoico e accuratamente pragmatico, di costringere un’intera società a introiettare e assumere convinta, interiorizzandoli, i valori imposti dal regime comunista, non solo per timore o conformismo ma per intima convinzione. Questa ultima grande battaglia aveva bisogno degli intellettuali, degli scrittori e degli artisti, come mediatori per convincere il popolo, come veri «ingegneri di anime» come aveva detto qualche anno prima imponendo il realismo socialista. E a chi non si piegava a quest’ultimo scopo non restava che la resa di fronte al terrore e alla violenza di un regime sempre più totalitario. Il materiale raccolto in questo volume, in parte inedito perfino in Russia, è davvero di un valore grandissimo, tradotto con grande capacità e intelligenza da Silvana de Vidovich ed Emanuela Guercetti. Nella sua bella e lunga introduzione Malcovati si conferma uno dei più acuti indagatori della cultura sovietica, riuscendo a intrecciare le vicende culturali e personali dei protagonisti – Mejerchol’d in questo caso – con il più generale contesto della storia sovietica e delle sue continue trasformazioni.
(Da “Sfogliando la Russia”, maggio 2012)