Archangelsk: archivisti e storici nel mirino

Dichiarazione di Memorial Internazionale in difesa di storici e archivisti di Archangel'sk accusati...

 

Dichiarazione di Memorial International

 
            La procedura penale avviata contro il titolare della cattedra dell’Università Statale del Pomor’e, M. N. Suprun, e il direttore del Centro Informativo della Direzione degli Affari Interni della Regione di Archangel’sk, il colonnello A.V. Dudarev, è assolutamente inconcepibile. Il Prof. Suprun è accusato della raccolta di materiali di archivio per il database dei polacchi e dei tedeschi deportati nelle colonie nella Regione di Archangel’sk negli anni ’40, mentre il colonnello Dudarev di averla resa possibile. In altre parole, il primo è accusato di aver svolto la sua attività professionale e il secondo di aver assolto ai suoi doveri d’ufficio.

            Il fondamento per l’istruzione del procedimento è assurdo: le informazioni sui deportati sono interpretati dall’inquirente come «informazioni personali riservate», e l’inserimento di queste informazioni nel database come «violazione della privacy».

            Tuttavia, il tipo di informazioni raccolto dai collaboratori dell’Università del Pomor’e grazie ai materiali dell’archivio del Centro Informativo della Direzione Affari Interni di Archangel’sk non si distingue minimamente da quelle contenute nella maggior parte dei Libri della Memoria delle vittime della repressione politica, pubblicati in gran numero per tutta la Russia.

            Si tratta di dati biografici essenziali – data e luogo di nascita, periodo e carattere della repressione, professione, stato civile, ecc. ecc. In tutta la Russia sono circa 300 i Libri della Memoria compilati, i dati relativi sono stati riuniti in un CD edito da «Memorial», che contiene oltre 2,5 milioni di nomi.

            I Libri della Memoria dedicati agli scomparsi durante la Seconda Guerra Mondiale, e i relativi database del Ministero della Difesa, accessibili al pubblico, contengono una quantità di nomi notevolmente superiore – circa 10 milioni – e molte più informazioni: non solo la data di nascita e di morte, ma anche il luogo di residenza prima della deportazione, stato di famiglia, ecc. –

            Questo tipo di informazioni è presente in qualsiasi pubblicazione storica ed enciclopedica, in molte raccolte commentante di carattere storico-documentario.

            Adottare i criteri degli inquirenti di Archangel’sk sui dati personali riservati porterebbe a ritirare tempestivamente dalla circolazione tutte queste pubblicazioni e a istruire procedimenti penali contro i relativi autori e redattori.

            Difficile, persino da immaginare, una tale conclusione. L’infondatezza delle accuse à lampante. Il riferimento alla Legge sulla difesa dei dati personali è del tutto inconsistente: sin dal primo articolo è specificato che tale legge non si applica alle informazioni di archivio. In aggiunta, ricordiamo che la pubblicazione dei nomi è prescritta direttamente dalla Legge sulla riabilitazione delle vittime della repressione politica.

            Siamo certi che se ad Archangel’sk si dovesse arrivare in tribunale, il processo si chiuderebbe immediatamente per insussistenza di reato.

            Tuttavia, il fatto stesso che questo procedimento sia stato avviato e le perquisizioni che l’hanno accompagnato, unitamente al sequestro dei computer e dei duplicati dei documenti storici possono seriamente complicare il lavoro dei ricercatori della storia patria e in parte gli editori dei Libri della Memoria. Saranno pochi gli storici disposti a sobbarcarsi una tale mole di lavoro, se in più la fatica viene abbinata al rischio di persecuzioni da parte dei servizi di sicurezza. I direttori degli archivi a loro volta potrebbero interpretare il procedimento di Archangelsk come un segnale, indirizzato loro dall’alto (ci auguriamo che non sia effettivamente così) e cessare la collaborazione con le organizzazioni scientifiche e della società civile per la redazione dei Libri della Memoria delle vittime.

            Come risultato, il lavoro sui Libri della Memoria rischiano di venire danneggiati irrimediabilmente.

            Quanto accaduto ad Archangel’sk suscita particolare inquietudine alla luce delle recenti tendenze di copertura dello stalinismo e di silenzio sui crimini del regime comunista.

            È possibile, tuttavia, che si tratti semplicemente di un residuo duro a morire della mania di segretezza ereditata dall’Unione Sovietica. Ma questo morbo è pericoloso: la chiusura dell’accesso agli archivi priva la Russia della sua storia, la priva della memoria: i fondamenti di una normale autocoscienza nazionale.

            Il lavoro di M.N. Suprun e A.V. Dudarev mira al ristabilimento della verità nella storia patria e deve ricevere dallo Stato il massimo sostegno, invece che essere soggetta a persecuzioni infondate.

            Richiediamo pertanto la restituzione immediata delle copie dei documenti d’archivio, delle banche dati e dei computer sequestrati in seguito alle perquisizioni.

            Richiediamo inoltre la cessazione del procedimento penale contro M.N. Suprun e A.V. Dudarev.

La Direzione dell’Associazione Internazionale Memorial

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Pubblichiamo la traduzione dell’articolo ‘Mom, I’m probably going to die soon’: Russian teenager in prison for anti-Putin flyers says cellmate brutally beat him della testata giornalistica indipendente russa Meduza. L’immagine è tratta dal canale Telegram dedicato al sostegno per Arsenij Turbin: Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!). In una recente lettera Arsenij Turbin, sedicenne russo condannato a scontare cinque anni in un carcere minorile con l’accusa di terrorismo, ha raccontato alla madre di avere subito abusi fisici e psicologici durante la detenzione. I sostenitori di Turbin, che hanno pubblicato un estratto della sua lettera su Telegram, sospettano che oltre ad aggredirlo, i compagni di cella gli stiano rubando il cibo. Ecco cosa sappiamo. Arsenij Turbin è stato condannato a cinque anni di carcere minorile nel giugno 2024, quando aveva ancora 15 anni. Secondo gli inquirenti governativi, nell’estate del 2023 Arsenij si era unito alla legione Libertà per la Russia, un’unità filoucraina composta da cittadini russi e, su loro preciso ordine aveva iniziato a distribuire volantini che criticavano Vladimir Putin. Turbin dichiara di non essersi mai unito alla legione e di avere distribuito i volantini di sua iniziativa. Il Centro per i diritti umani Memorial ha dichiarato Turbin prigioniero politico. Al momento Turbin si trova in detenzione preventiva in attesa dell’appello contro la sua condanna. Nell’estratto di una lettera inviata a sua madre pubblicato lunedì (1 ottobre) nel gruppo Telegram Svobodu Arseniju! (Libertà per Arsenij!), l’adolescente scrive che un compagno di cella di nome Azizbek lo ha picchiato più volte. “Questa sera, dopo le 18:00, uno dei miei compagni di cella mi ha dato due pugni in testa mentre ero a letto”, ha scritto. “La situazione è davvero difficile, brutta davvero. Azizbek mi ha colpito e poi ha detto che stanotte mi inc***. Sarà una lunga nottata. Ma resisterò.” Turbin scrive anche che in carcere lo hanno catalogato come “incline al terrorismo” per il reato che gli contestano (“partecipazione a organizzazione terroristica”). In un post su Telegram i sostenitori di Turbin hanno ipotizzato che i suoi compagni di cella gli stessero rubando il cibo: nelle sue lettere chiedeva sempre alla madre pacchi di viveri, mentre questa volta le ha scritto che non ne aveva bisogno. La madre di Turbin, Irina Turbina, martedì ha riferito a Mediazona che il figlio è stato messo in isolamento dal 23 al 30 settembre. Dalla direzione della prigione le hanno detto che era dovuto a una “lite” tra Turbin e i suoi compagni di cella e che tutti e quattro i prigionieri coinvolti erano stati puniti con l’isolamento. Irina Turbina ha anche detto che il personale del carcere non le ha permesso di parlare con Arsenij al telefono e che l’ultima volta che hanno parlato è stata a inizio settembre. La madre ha raccontato l’ultimo incontro con suo figlio al sito Ponjatno.Media: “Quando sono andata a trovarlo l’11 settembre non l’ho riconosciuto. Non era mai particolarmente allegro neanche le volte precedenti che l’ho visto, certo, ma almeno aveva ancora speranza, era ottimista: aspettava l’appello e credeva che qualcosa di buono l’avremmo ottenuto. L’11 settembre, invece, Arsenij aveva le lacrime agli occhi. Mi ha detto: ‘Mamma, ti prego, fai tutto il possibile, tirami fuori di qui. Sto davvero, davvero male qui’.” “Mamma, probabilmente morirò presto”, ha continuato a riferire la madre, citando il figlio. Ha poi detto di avere inoltrato la lettera a Eva Merkačeva, membro del Consiglio presidenziale russo per i diritti umani, chiedendole di intervenire. Secondo le informazioni di Mediazona, ad Arsenij è stato finalmente permesso di parlare con sua madre al telefono l’8 ottobre. Le avrebbe detto che il suo aggressore era stato trasferito in un’altra cella il giorno prima e che si trovava bene con gli altri compagni di cella. Aggiornamento del 20 ottobre dal canale Telegram Svobodu Arseniju!: “Questa settimana Arsenij non ha mai telefonato”. La madre riferisce di averlo sentito l’ultima volta l’8 ottobre scorso. 25 ottobre 2024

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