Dopo il 1929, quando Stalin divenne leader indiscusso all’interno del partito comunista bolscevico, si sviluppò in Unione Sovietica un complesso sistema concentrazionario creato al fine di reclutare, attraverso campagne di terrore sempre più perfezionate, manodopera forzata da impiegare nella colonizzazione della regioni più remote dell’Unione Sovietica ricche di materie prime. L’origine del GULag è dunque strettamente legata all’obiettivo di modernizzazione del paese che il gruppo dirigente staliniano si prefisse rappresentando nello stesso tempo anche un efficace strumento funzionale al controllo capillare della società sovietica e alla sua epurazione da eventuali avversari del regime.
Tra gli inizi degli anni Trenta e il 1953, anno della morte del grande tiranno, furono creati sul territorio sovietico circa 500 lager ciascuno dei quali poteva accogliere da poche decine di individui sino a centinaia di migliaia di detenuti. Allo stato attuale della documentazione si calcola che furono circa tra i 22 e i 27 milioni le persone che, per brevi o lunghi periodi, furono vittime del sistema repressivo sovietico. Nei campi di lavoro forzato, i cosiddetti Ispravitel’no-Trudovye Lagerja, i detenuti lavoravano in condizioni disumane, a temperature che in alcune regioni, durante l’inverno, scendevano anche fino a 50 gradi sottozero, malvestiti, denutriti, oggetto di violenze indiscrimanate da parte delle guardie.
L’esperienza concentrazionaria che essi vissero fu estremamente differenziata: essi conobbero, a seconda dei casi, lager di transito, campi di lavoro, di punizione, campi per criminali e lager per prigionieri politici, campi per bambini, lager per donne. Ovunque il livello di sofferenza umana fu altissimo.
Dopo il 1953, il calo vistoso del tasso di produttività e l’infittirsi delle ribellioni nei campi, indussero la nuova dirigenza chruščëviana a un ripensamento sull’utilità del complesso sistema penitenziario sovietico. Così tra il 1956 e il 1958 la quasi totalità dei lager venne smantellata.
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