Il lavoro assorbiva quasi del tutto la vita dei detenuti. Nella maggior parte dei lager il lavoro forzato durava dalle dodici alle quindici ore, a seconda delle stagioni. La vita nelle baracche, dove il termometro scendeva spesso sotto i 30 o i 40°, o al contrario era caldo e umido in modo insopportabile, era tutta segnata dalla lotta per la sopravvivenza: bisognava sopravvivere al freddo soprattutto, alla fame, alle malattie provocate per lo più dalla debilitazione e dalla mancanza d’igiene, alla violenza dei capisquadra reclutati tra i peggiori delinquenti, al controllo dei guardiani e alle angherie dei secondini. Il tempo che restava era impiegato a procurarsi la legna per la stufa, qualcosa in più da mangiare, a parlare con i compagni di sventura, a cercare di tenersi puliti.
Olena Apčel, studiosa e soldata ucraina: “L’imperialismo russo si combatte anche ribellandosi alla pigrizia intellettuale”
“Da una parte ci stiamo difendendo da un nemico dieci volte più forte, astuto e subdolo, dall’altra siamo costantemente costretti a giustificarci qui in Europa. Dobbiamo, come alla scuola elementare, raccontare la storia del Novecento con una mappa in mano, una storia non deformata dalla propaganda moscovita”.