Kolyma

Descrizione: Album Kolyma

Nella regione dell’alto e medio corso della Kolyma, all’estremo limite nord-orientale della Siberia, i geologi scoprirono grandi giacimenti d’oro, di cui lo Stato aveva bisogno per attuare il suo progetto d’industrializzazione. Nel novembre 1931 si organizzò un trust statale per la realizzazione di strade e impianti industriali nella regione dell’alta Kolyma: il Dal’stroj.  Il territorio all’epoca era praticamente disabitato, e il governo decise di utilizzare i detenuti per colonizzarlo. Nell’aprile 1932 si creò il lager di rieducazione attraverso il lavoro del Nord-Est.

La superficie dei lavori era di circa 400.000 chilometri quadrati, e all’inizio degli anni ’50 raggiunse i 3 milioni di chilometri quadrati (quasi dieci volte la superficie dell’Italia).

I detenuti alla fine del 1932 erano oltre 11.000 all’inizio del 1934 erano quasi 30.000, negli anni ’40 nel territorio del Dal’stroj si trovavano più di 190.000 detenuti, circa metà dei quali erano condannati per “delitti controrivoluzionari”. Prima dell’inizio della guerra avevano costruito più di 1000 km di strade, la città e il porto di Magadan, tutta una serie di villaggi, miniere e fabbriche.  Dopo i primi anni la quantità di oro estratto cominciò a calcolarsi in tonnellate e decine di tonnellate l’anno.  La scarsità della razione e il lavoro insostenibile causarono un’alta mortalità fra i detenuti.  Negli anni del “Grande terrore” inoltre divennero frequenti le fucilazioni di massa. Dal 1937 al 1940 vennero portati alla Kolyma 70.000-80.000 detenuti l’anno, e molte decine di migliaia vi lasciarono la vita.

Con l’inizio della guerra il numero dei detenuti si ridusse sensibilmente, e all’inizio del 1944 ne erano rimasti poco più di 76.000. Nonostante ciò la produzione dell’oro, anziché diminuire, aumentò.

Dopo la guerra il numero dei detenuti ricominciò a crescere, fino a superare le 170.000 unità il 1° gennaio 1952. Per provvedere alle proprie necessità estraevano carbone, coltivavano i campi, costruivano nuove strade, accudivano i bambini e lavoravano nelle case dei dirigenti del lager e dei funzionari di partito, recitavano nel teatro di Magadan. Nello stesso territorio nel 1948 fu organizzato il Lager speciale n. 5, riservato quasi esclusivamente ai prigionieri politici, che all’inizio del 1952 contava più di 31.000 detenuti.  In tal modo la popolazione carceraria  del Dal’stroj superò le 200.000 persone.

L’amnistia dopo la morte di Stalin ridusse drasticamente il numero dei detenuti: all’inizio del 1954 ne rimanevano poco più di 88.000.  Era l’inizio della decadenza per i lager del Nord-Est.  All’inizio del 1956 ne sopravvivevano solo 6, con una popolazione di 40.000 detenuti, e nell’aprile dell’anno successivo furono chiusi tutti i lager superstiti della regione di Magadan.

Nei 35 anni della loro storia i lager del Dal’stroj videro passare più di 1.200.000 detenuti, più di 500.000 dei quali condannati per motivi politici.  Centinaia di migliaia vi lasciarono la vita, vittime del freddo, della fame e del lavoro insostenibile, delle fucilazioni e delle pallottole delle guardie.  Il nome stesso del fiume – Kolyma – divenne in russo sinonimo di lager.

[nggallery id=41 template=caption]

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz.

La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz con curatela di Luca Bernardini (Guerini e Associati, 2024). Una testimonianza al femminile sull’universo del Gulag e sugli orrori del totalitarismo sovietico. Arrestata nel 1945 a ventidue anni per la sua attività nell’AK (Armia Krajowa), l’organizzazione militare clandestina polacca, Anna Szyszko-Grzywacz viene internata nel lager di Vorkuta, nell’Estremo Nord della Siberia, dove trascorre undici anni. Nella ricostruzione dell’esperienza concentrazionaria, attraverso una descrizione vivida ed empatica delle dinamiche interpersonali tra le recluse e della drammatica quotidianità da loro vissuta, narra con semplicità e immediatezza la realtà estrema e disumanizzante del Gulag. Una realtà dove dominano brutalità e sopraffazione e dove la sopravvivenza per le donne, esposte di continuo alla minaccia della violenza maschile, è particolarmente difficile. Nell’orrore quotidiano raccontato da Anna Szyszko-Grzywacz trovano però spazio anche storie di amicizia e solidarietà femminile, istanti di spensieratezza ed emozioni condivise in una narrazione in cui alla paura e alla dolorosa consapevolezza della detenzione si alternano le aspettative e gli slanci di una giovane donna che non rinuncia a sperare, malgrado tutto, nel futuro. Anna Szyszko-Grzywacz nasce il 10 marzo 1923 nella parte orientale della Polonia, nella regione di Vilna (Vilnius). Entra nella resistenza nel settembre 1939 come staffetta di collegamento. Nel giugno 1941 subisce il primo arresto da parte dell’NKVD e viene rinchiusa nella prigione di Stara Wilejka. Nel luglio 1944 prende parte all’operazione “Burza” a Vilna come infermiera da campo. Dopo la presa di Vilna da parte dei sovietici i membri dell’AK, che rifiutano di arruolarsi nell’Armata Rossa, vengono arrestati e internati a Kaluga. Rilasciata, Anna Szyszko cambia identità, diventando Anna Norska, e si unisce a un’unità partigiana della foresta come tiratrice a cavallo in un gruppo di ricognizione. Arrestata dai servizi segreti sovietici nel febbraio 1945, viene reclusa dapprima a Vilna nel carcere di Łukiszki, e poi a Mosca alla Lubjanka e a Butyrka. In seguito alla condanna del tribunale militare a venti anni di lavori forzati, trascorre undici anni nei lager di Vorkuta. Fa ritorno in patria il 24 novembre 1956 e nel 1957 sposa Bernard Grzywacz, come lei membro della Resistenza polacca ed ex internato a Vorkuta, con cui aveva intrattenuto per anni all’interno del lager una corrispondenza clandestina. Muore a Varsavia il 2 agosto 2023, all’età di cento anni.

Leggi

Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione.

Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione. A cura di Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola (Viella Editrice, 2024). Il volume esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov. In copertina: Il 10 aprile 2022, Oleg Orlov, ex co-presidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, viene arrestato sulla Piazza Rossa a Mosca per avere manifestato la sua opposizione all’invasione dell’Ucraina con un cartello con la scritta “La nostra indisponibilità a conoscere la verità e il nostro silenzio ci rendono complici dei crimini” (foto di Denis Galicyn per SOTA Project).

Leggi